★★★★☆
Lo sfrontato erotismo dell’opera di Cavalli
Giasone si risveglia dopo una notte d’amore con una donna di cui non conosce il volto – scopriremo essere Medea che vedremo emergere poi tra le stesse lenzuola. Ancora intorpidito rievoca «i piaceri amorosi» di cui è ora sazio sul ritmo trascinato di una passacaglia: «Delizie mie care, ⎮ fermatevi qui: ⎮ non so più bramare, ⎮ mi basta così».
Nell’allestimento di Mariame Clément alla Vlaamse Opera di Anversa la scena in cui Giasone è languidamente sdraiato tra le lenzuola stropicciate mentre molteplici mani accarezzano il suo corpo nudo è l’epitome della sensualità della musica di questo lavoro di Francesco Cavalli del 1649 che fu lo spettacolo di maggior successo di tutto il secolo, ma ora per poter assistere a una rappresentazione di questa italianissima opera dobbiamo trasferirci nelle Fiandre o ancora più in là, essendo della Pinchgut Opera di Sydney un altro moderno allestimento in cui David Hansen nella stessa aria sta mollemente immerso nella schiuma di una vasca da bagno portata a spasso per la scena da baldi marinaretti. (Quanta strada è stata fatta nella messa in scena dell’opera barocca dagli scialbi Giasoni en travesti al primo impacciato e butirroso torso nudo).
Incomprensibile è che un lavoro come questo non venga oggi proposto nel nostro paese avendo tutte le caratteristiche di un’operazione di successo: la lingua, la “facilità” (in confronto a una qualsiasi altra opera del bel canto con i suoi pezzi chiusi), la vicenda piena di momenti diversi, il linguaggio moderno e allusivo.
Il Giasone è l’opera più rappresentativa (e più rappresentata) del Seicento. Qui Cavalli aggiorna le compagnie di teatro di allora sostituendo agli attori della commedia dell’arte attori che sapessero cantare. Dal punto di vista musicale poi il compositore fa tesoro delle sperimentazioni di recitativo declamato della Camerata Fiorentina innestandole in scenari che verranno portati in giro per le varie piazze d’Italia con enorme successo. La decina di partiture superstiti e la quarantina di edizioni del libretto testimoniano la fortuna dell’opera.
Il testo arguto e di piacevole lettura è di Giacinto Andrea Cicognini, il librettista più acclamato dell’epoca e autore dei melodrammi più popolari del tempo; oltre al Giasone è sua anche L’Orontea musicata dal Cesti.
Lo stesso Cicognini dopo una dedica, un sonetto, un «applauso poetico» e una nota «ai lettori e spettatori del dramma» ci informa finalmente dell’argomento. «Giasone, figlio d’Esone, fratello di Pelia re di Tessaglia, fu dal medesimo Pelia mandato a Colco all’acquisto del vello d’oro, che da Frisso era stato consacrato a Giove in quell’isola. Imbarcò su la nave di Argo con Ercole ed altri cavalieri, che poi furono detti argonauti. Passò per l’isola di Lenno, ed ivi godé Isifile regina di quell’isola con promessa di sposarla, ma per consiglio d’Ercole la lassò gravida e se n’andò a Colco. Isifile partorì due gemelli, Toante ed Euneo, dopo che gl’era convenuto fuggirsene di Lenno per aver salvato il vecchio Toante suo padre dalla comune uccisione di tutti gl’uomini di quell’isola, decretata dalle donne per desiderio di regnare; e in povero stato se ne andava pellegrinando, e giunse al fine nelle campagne su la foce d’Ibero, dove stava allattando i figli suoi e di Giasone. Giasone, sendo arrivato a Colco, fu veduto da Medea regina di quell’isola la quale di lui ardentemente s’innamorò e, renunziando agl’affetti passati fra lei ed Egeo re d’Atene, trovò modo d’esser goduta da Giasone, senza che esso sapesse con qual dama si giaceva. Restò gravida e partorì a suo tempo due gemelli, Filomelo e Pluto. Giasone, distratto dal nuovo amore verso la dama a lui incognita, dimorò in Colco un anno intiero, senza tentar l’impresa per la quale s’era in quell’isola trasferito, ma al fine, stimolato da gl’argonauti ed in specie da Ercole, diede il giuramento di farlo per un giorno determinato. Isifile intanto, avendo inteso che Giasone si ritrovava nell’isola di Colco, poche miglia distante della foce d’Ibero, ove essa dimorava, mandò Oreste suo confidente per accertarsene ed intendere le sue azioni. Sendo venuto il giorno nel quale Giasone doveva tentar l’acquisto del vello, volse la notte antecedente ritrovarsi con la dama da lui sino a quel tempo non conosciuta, ed Ercole, attendendo su lo spuntar dell’alba ch’egli, lasciati i piaceri amorosi, s’accingesse a quell’impresa, dà principio all’opera».
L’umorismo greve del grottesco e balbettante Demo
se farai del mio parlar strapazzo,
la mia forte bravura
saprà spezzarti il ca- il ca-
… il capo in queste mura.
[…]
Io di qua parto, e tu per altra via,
e t’aspetto a far pace all’o- all’o-
lo- lo- lo- lo- lo- lo-
ed aspetto a far pace all’o- all’o-
lo- lo- all’o- all’o-
all’osteria.
si affianca agli scoppiettanti versi degli altri numerosi personaggi di questa vicenda bizzarramente mitologica e quante volte viene voglia di controllare sul libretto originale che il testo cantato non sia un’invenzione estemporanea della regista visto che i versi del Cicognini sono tremendamente moderni, danno adito all’immaginazione più maliziosa e condensano in poche ore venti puntate di una telenovela. E alla fine di questo caos organizzato tutti i personaggi vengono etichettati e imballati in un container per consegnarli, chissà, all’eternità o all’oblio.
In questa produzione del 2010 del teatro fiammingo molti sono i punti di interesse.
Lo specialista di musiche barocche Federico Maria Sardelli suona con sapienza e gusto vari tipi di flauto a becco e dirige con partecipazione una smilza orchestra sinfonica cui si sono aggiunti alcuni strumenti d’epoca.
Il controtenore Christophe Dumaux con la sua innegabile presenza scenica e il timbro vellutato della voce si cala nei panni (spesso e volentieri ridotti) dell’eroe che si dimostra più interessato agli affari amorosi che all’impresa di recuperare il vello d’oro.
Katarina Bradić rende molto bene la sensualità e l’erotismo quasi furioso della sua Medea, così come Robin Johannsen le commoventi note della dolente Isifile. Ma tra le due si capisce perché Giasone preferisca la prima…
Dei rimanenti interpreti nei ruoli secondari, non sempre perfetti in quanto e dizione e musicalità, emerge il Demo stravagante di Filippo Adami, certamente aiutato dall’essere l’unico cantante italiano della compagnia.
La regia di Mariame Clément accentua molto sia l’erotismo (la sveltina del duetto di Oreste con Alinda ce la poteva però risparmiare) sia i caratteri buffoneschi dell’opera. La scena di Julia Hansen ricorda il deposito di un rigattiere di periferia e non si può certo definire bella. Divertenti i suoi costumi (Ercole vestito come un giocatore di Rugby, Demo con le orecchie e il naso da coniglio, Besso da cagnone) e certi particolari come la nave che spunta dal container con Giasone e Medea che fanno il verso ai protagonisti del Titanic cinematografico. Se barocco ha da essere, che barocco sia, deve aver pensato la regista.
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- Il Giasone, Alarcón/Sinigaglia, Ginevra, 25 gennaio 2017
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