Der fliegende Holländer

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Richard Wagner, Der fliegende Holländer (L’Olandese volante)

★★★☆☆

Londra, Royal Opera House, 24 febbraio 2015

(live streaming)

Al cinema con Terfel

Secondo appuntamento quest’anno dalla Royal Opera House. Questa volta tocca all’opera di Wagner e l’interesse principale di questa ripresa dell’allestimento del 2009 è la presenza nel ruolo principale di Bryn Terfel – a proposito, il cognome del baritono gallese abbiamo imparato si debba pronunciare ˈtεrvεl.

Non è la prima volta che Terfel dà voce al capitano costretto dalla maledizione a vagare per i sette mari senza sosta: è dal 2006 che ha aggiunto questo ai suoi ruoli wagneriani dopo il debutto nel 1998 come Wolfram nel Tannhäuser. Nel tempo la sua interpretazione è ancora migliorata e ha perso certi atteggiamenti istrionici. Ora è una presenza sinistra, ma tragicamente dolente e tormentata dal rimorso. Il baritono dà il dovuto peso a ogni parola e colore a ogni espressione, confermandosi tra i maggiori interpreti di oggi.

Adrianne Pieczonka è una Senta non giovanissima, dalla voce calda ma dagli acuti non eccezionali e non esagera nel sottolineare l’aspetto di morbosa ossessione del personaggio, che qui sembra non veder l’ora di abbandonare l’ambiente in cui vive, fosse anche col primo giramondo senza meta che capiti a tiro.

Degli altri interpreti si fa notare per presenza scenica il timoniere del versatile Ed Lyon, che per una volta abbandona le preferite opere barocche.

Dopo il discusso Lohengrin salisburghese, torna a dirigere Wagner l’attuale direttore musicale delle orchestre di Birmingham e di Boston, Andris Nelson, che sfrutta la sua giovanile energia per adempiere ai suoi doveri al di qua e al di là dell’Atlantico, ma diversamente dall’olandese non mostra segni di stanchezza. La sua è una direzione vigorosa e incisiva e la scelta di non interrompere l’esecuzione con un intervallo fa risaltare ancora di più l’impeto e l’unità di concezione del giovanile capolavoro wagneriano.

La regia di Tim Albery, ripresa da Daniel Dooner e con le scenografie di Michael Levine, ambienta la vicenda negli anni ’80: i marinai potrebbero scaricare container e le ragazze, che lavorano alle macchine da cucire di una azienda di manodopera a cottimo, appena possono si infilano i loro sgargianti vestiti in poliestere per fare bisboccia con qualche cassa di birra con i loro uomini. Non sorprende che Senta sogni di filarsela da questa situazione.

Il mare è assente in questa visione. È sicuramente da qualche parte di questo desolato porto del Mare del Nord, ma in scena a ricordarlo c’è solo una lunga pozza d’acqua, probabile scolo delle merci bagnate che vengono scaricate. La presenza delle navi è suggerita dalle pesanti gomene di ormeggio e dalla scala con cui l’olandese sale a bordo per l’ultima volta. Qui Senta non si getta in mare dalla rupe: sola sul molo prende in mano il modellino di nave dalla pozzanghera e crolla a terra. Deludente anticlimax a quello che la musica suggerisce in orchestra.

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