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Georg Friedrich Händel, Alcina
★★★★★
Aix-en-Provence, Grand Théâtre de Provence, 10 luglio 2015
(live streaming)
Le metamorfosi di Alcina
Appena uscita dal letto in cui ha consumato la notte d’amore con Ruggiero, Alcina si reca in uno dei due laboratori attigui dove giace il corpo del precedente amante pronto per essere trasformato in animale impagliato. La sorella Morgana vive invece la sua sessualità abbandonandosi alle pratiche SM e canta la prima aria dell’opera «O s’apre il riso» legata al letto e «Tornami a vagheggiar” frustata da Ricciardo/Bradamante mentre i suoi vocalizzi sono mugolii di piacere.
Quando Alcina dice a Ruggiero «Mostra il bosco, il fonte, il rio» ai nuovi venuti, li rende spettatori del suo amplesso col paladino sotto lo sguardo affranto di Ricciardo/Bradamante e anche qui le variazioni del da capo mimano fedelmente l’orgasmo della donna. La Mitchell non si è poi spinta molto in là: nel teatro barocco «il bosco, il fonte, il rio» erano metafore sessuali ben note al pubblico di allora, codici che si son viceversa persi nel secolo del Romanticismo e qui la regista inglese non fa che recuperarli per il pubblico moderno. Tutta la scena è improntata a grande erotismo, ma Ruggiero qui è quella totale antitesi del sexy che è Philippe Jaroussky e non c’è quindi pericolo che si degeneri nel porno soft, nonostante la dedizione di Patricia Petibon.
Comunque non è l’erotismo la chiave di lettura di questa inquietante regia di Katie Mitchell – che aveva messo in scena qui ad Aix quell’altrettanto inquietante moderno capolavoro che è Written on Skin di George Benjamin e anche la scenografia tagliata in vari ambienti su due piani è la stessa. Qui le due sorelle incantatrici ridiventano vecchie come sono nella realtà quando passano dall’alcova (che qui prende il posto dello «speco» e della «deliciosa reggia» del libretto) ai laboratori bunker, dove sono sostituite da controfigure invecchiate. Ecco la magia del testo: due doppie porte che trasformano per sortilegio due vecchie sfatte in due giovani ammaliatrici mentre al piano superiore una grande macchina trasforma invece gli uomini in bestie e piante che verrano esibite in teche vetrate.
Se inizialmente sembra che La filosofia nel boudoir stia dietro l’angolo e questo sia un Händel secondo il marchese De Sade venuto a mandare inediti frisson al pubblico convenuto al Grand Théâtre per l’apertura del Festival di Aix-en-Provence, il tema della messa in scena della Mitchell in questo triste matriarcato delle due maghe è invece la vecchiaia e la solitudine coniugati al femminile. L’aspetto psicologico trascurato dall’opera barocca è qui recuperato dalla regista inglese che mette in scena dei personaggi femminili umanamente complessi e secondo una visione giustamente femminista.
Nella seconda parte delle due in cui lo spettacolo è diviso non c’è più tempo e voglia di giochi erotici – a parte un’altra frustatina quando Morgana chiede perdono a Oronte. Infatti il grande letto sparisce ed è il furore di Alcina abbandonata a dettare il passo del dramma. Per di più l’elixir magico non funziona più e non solo il potere, ma anche la giovinezza e la bellezza sono perse per sempre. Le due sorelle finiranno nelle teche e non si può non provare una grande pietà per loro alla fine.
Il timbro infantile di Jaroussky si adatta benissimo al ruolo di Ruggiero, questo giovane che il libretto ci presenta fin da subito ammollito fra le braccia della maga. Il cantante è fra tutti il più stilisticamente preciso e la bellezza e precisione della intonazione compensano la poca espressività. La sua resa di «Mi lusinga il dolce affetto», salutata dagli applausi calorosissimi del pubblico, non potrebbe essere più esatta.
All’opposto la Petibon, che dopo aver interpretato numerose volte la parte di Morgana ora ha il ruolo titolare, dimostra tutto il suo temperamento che raggiunge l’apice in quell’incredibile e sublime momento – non raro nel teatro del sassone, pensiamo anche solo a «Scherza infida» nell’Ariodante – di profondo strazio e furore trattenuto qui reso dalla regia con una specie di ralenti cinematografico, che è l’aria «Ah! mio cor! schernito sei!». E qui la vocalità del soprano francese è sempre eccellente, ma con momenti quasi espressionistici che si riflettono nelle note violentemente strappate in orchestra. Un momento di altissimo pathos che entusiasma oltre misura il pubblico alla fine della prima parte.
Eccellenti attori e cantanti sono anche quelli del resto del cast. Oberto qui è interpretato da un bravissimo dodicenne corista dei Tölzer Knaben di Vienna che con orsacchiotto di peluche e valigetta rende indicibilmente patetiche le sue due arie.
Sul podio della Freiburger Barockorkester c’è un Andrea Marcon la cui attenta concertazione supporta magnificamente i cantanti nella loro espressione di affetti ed evidenzia i colori cangianti della partitura pur ampiamente scorciata nei recitativi.
⸪