- Chailly/Herzog 1989
- Bartoletti/Lavia 2012
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★★☆☆☆
1. Il rischio di prendere sul serio il libretto
Nel libretto di Temistocle Solera i venticinque personaggi del dramma di Schiller Die Jungfrau von Orleans (La pulzella d’Orléans, 1801) sono ridotti a cinque, tre i principali. Mentre poi nel dramma originario Giovanna d’Arco si innamora di un nemico inglese, la protagonista del Solera s’innamora nientemeno che del re francese Carlo VII e, come nel testo di Schiller, non si immola sul rogo, ma muore in battaglia. Il libretto è stato definito «un cumulo d’incongruenze e un’offesa continua al buon gusto artistico e alla verità storica» (Carlo Gatti). In effetti l’inverosimiglianza e l’esagerazione sono una costante del pur efficace adattamento del Solera.
Nel libretto è esaltato un tema caro al compositore, quello del rapporto tra padre e figlia: qui Giacomo è il vilain della situazione, l’invasato che all’amore paterno sovrappone il suo fanatismo religioso. La figura di Giovanna viene investita di aspirazioni nazionalistiche (ora lo fa anche il partito del Front National in Francia!) che procurarono non pochi guai con la censura dell’epoca, essendo la sua vicenda una chiara metafora della situazione politica del paese. La legittimazione divina delle istanze patriottiche fu poi il motivo per cui a Roma l’opera fu data con un titolo e personaggi diversi. «La censura pretese una serie di cambiamenti, all’interno del libretto, che ci appaiono oggi molto interessanti per capire il metodo di lavoro dei censori. Nel caso di Giovanna D’Arco a essere colpito non fu tanto l’aspetto politico della vicenda, quanto quello religioso, sebbene l’unione di religione e politica (la Vergine che protegge la resistenza armata dei francesi) appaia molto salda nel testo di Solera. Via, quindi, tutti i riferimenti a “Iddio” (tranne quello nel duetto del III Atto tra Giovanna e Giacomo [«Sono ancor d’iddio l’eletta]) e a “Maria”: il primo diventa “Cielo” mentre la seconda diventa “la Pia”, con un chiaro riferimento all’immagine della Madonna dolente ai piedi della croce. Vennero visti con imbarazzo anche i riferimenti alla verginità di Giovanna e alla sua natura divina. Il personaggio ‘maschile’ e trasgressivo di Giovanna portò anche al cambiamento di versi che, in altro contesto, non sarebbero stati affatto censurati, con il risultato di condurre il povero Carlo a dichiarazioni d’amore esilaranti: nel duetto del I Atto la frase “Te mia sposa, te regina, | Donna, Francia chiamerà” venne mutato in un “Sol lo spirto mi concedi, | E all’incendio basterà”. Ancora, durante il suo delirio nello stesso duetto, Giovanna sente dirsi dal fantasma “Muori, o sacrilega”, mentre nella versione originale appare la ben più scomoda domanda “Sei pura e vergine?”. Anche la progressione con cui Giovanna è accusata da Giacomo nella piazza di Reims viene variata: nella versione originale Giacomo chiedeva se la pulzella fosse “pura e vergine”, prima in nome della Francia, poi in nome della Fede, quindi in nome di Maria. La censura, piuttosto incongruamente, fece chiedere a Giacomo “Non sacrilega sei tu?” prima in nome del Dio vindice, poi in nome dei parenti e quindi in nome della madre defunta di Giovanna» (Gabriele Cesaretti)
Prologo. Carlo VII piange sulle sorti della Francia; egli medita di abdicare in favore del re d’Inghilterra e racconta di un sogno in cui gli è apparsa la Vergine in una foresta, invitandolo a deporre l’elmo e la spada. Un coro gli ricorda che la foresta di Domrémy, durante la notte, si popola di demoni; Carlo decide di recarvisi ugualmente. Nella foresta, Giovanna d’Arco prega di fronte all’immagine della Vergine, assistita segretamente dal padre Giacomo, convinto che la figlia sia posseduta da spiriti maligni. In effetti, assopitasi, Giovanna è tentata dalle potenze infernali, ma gli spiriti eletti la esortano a combattere per salvare le sorti della Francia. Nel frattempo giunge Carlo che depone le armi ai piedi della fanciulla, la quale, risvegliatasi, lo invita a seguirla nella battaglia: affascinato, Carlo le obbedisce. Giacomo, che ha assistito alla scena, tenta invano di fermare la figlia.
Atto I. Nel campo inglese, i soldati commentano la sconfitta subita da parte dell’ esercito francese guidato da Giovanna; giunge Giacomo promettendo loro di consegnare colei che è stata causa della loro disfatta, essendo egli convinto che la figlia sia stata disonorata da Carlo. Giovanna, che intende tornare alla vita di sempre nella foresta, accanto al padre, comunica questa sua decisione a Carlo: il re vorrebbe che la giovane rimanesse al suo fianco ma, pur confessandogli di amarlo, Giovanna rifiuta, memore degli avvertimenti ricevuti nella foresta dagli spiriti che l’avevano messa in guardia dall’amor profano. Carlo non vuole cedere: egli riceverà la corona solo dalle mani di Giovanna. Mentre gli spiriti malvagi esultano per la vittoria ottenuta, Giovanna si avvia tristemente a compiere il rito.
Atto II. Sulla piazza di Reims, Giacomo attende, affranto, la fine della cerimonia dell’incoronazione. Carlo esce dalla cattedrale seguito da Giovanna e dichiara che sarà eretta una chiesa in onore di Giovanna, come per San Dionigi, patrono di Francia.
A quelle parole, Giacomo, incapace di trattenersi, accusa la figlia di avere rapporti con il demonio. Giovanna, conscia del suo colpevole amore terreno, non sa discolparsi. Nonostante Carlo creda alla sua innocenza, il popolo la rinnega e il padre la trascina verso il rogo purificatore, approntato dagli Inglesi.
Atto III. Giovanna è prigioniera nel campo degli Inglesi e assiste impotente alla battaglia con i Francesi: ella invoca il perdono di Dio, confessando di aver amato per un solo istante e offre la propria vita in cambio della vittoria dei Francesi. Finalmente convinto dell’innocenza della figlia, Giacomo libera Giovanna e lascia che si getti nel combattimento. Durante la battaglia, Giovanna salva la vita di Carlo, ma viene mortalmente ferita. Prima di spirare, invoca il perdono per il padre.
In meno di un mese, dal 9 dicembre 1844 al 6 gennaio 1845 Verdi intona il testo e inizia a strumentare l’opera mentre sono già in corso le prove in teatro. La sua settima opera debutta a Milano il 15 febbraio con successo di pubblico e riserve della critica. Dissidi con l’impresario teatrale interruppero la collaborazione di Verdi con La Scala in cui non furono più rappresentate prime delle sue opere se non l’Otello, mezzo secolo dopo.
Opera di transizione, la Giovanna d’Arco contiene musica che anticipa molti capolavori futuri, ma non ne ha l’intensità drammatica: le allucinazioni mistiche della ragazza non stimolano la vena del compositore e dietro quei coretti contrapposti di angeli e demoni con i loro ineffabili valzerini sembra beffardo spuntare il sogghigno di Offenbach: «Tu sei bella tu sei bella! Pazzerella, che fai tu? | Se d’amore perdi ‘l fiore, presto muore, non vien più. | Sorgi, e mira, te sospira la delira gioventù. | O figliuola, ti consola, è una fola Belzebù! | Quando agli anta l’ora canta pur ti vanta di virtù. | Tu sei bella tu sei bella! Pazzerella, che fai tu? […] Vittoria, vittoria!… Plaudiamo a Satàna, | e ammorzino i gridi l’eterna sventura… | vedete stoltezza di questa villana | che nunzia è del cielo, che dicesi pura! | Ma d’Eva, o superba, non eri tu schiatta?… | Già nostra sei fatta, già nostra sei fatta! | Lasciamo le tane, sprezziamo l’esiglio, | lanciamoci in alto con urla di scherno; | ai cembali, ai sistri stendiamo l’artiglio, | danziamo, danziamo la ridda d’inferno… | Non tosto Satàna si move alla giostra | la femmina è nostra, la femmina è nostra!»
Il corteo con cui inizia il second’atto, ad esempio – «Qui il Popolo viene diviso dai Soldati, che sostano in due ale. Cessato il canto, aprono la mossa i Suonatori, interrotti di tratto in tratto dalle grida di viva e dagli applausi; dopo vengono Fanciulle vestite di bianco che portano rami, poi Araldi, indi gli Alabardieri. Dietro a questi i Paggi, poi Magistrati in toga, Marescialli col bastone del comando; Grandi co’ la spada, co’ lo scettro, col pomo reale, co’ la corona, col manto e co’ la verga dei giudizi; Cavalieri e Dame coll’abito dell’ordine; Deputati ed altre Fanciulle che spargono fiori per via: finalmente Giovanna co’ la bandiera; ed, annunciato dal suono delle campane e dallo sparo delle artiglierie, il Re sotto un baldacchino portato dai Baroni. Cortigiani, Servitori e Soldatesca chiudono la processione. Entrati nel tempio, la musica cessa, e tutto è silenzio» – è molto simile musicalmente a quello del Macbeth, ma qui non ne ha la stralunata concisione.
Anche se nel dramma schilleriano non si parla di rogo, Herzog inizia la sua messa in scena con bagliori di fiamme sullo sfondo di una sinistra processione in questo spettacolo del 1989 a Bologna. In scena, perennemente in un semibuio funesto per la ripresa video, una roccia di cartapesta funge da capanna, da speco, da sacro monte, da altare. Purtroppo il regista prende tremendamente sul serio il libretto e non risparmia sull’effetto largamente kitsch dell’apoteosi finale (fuga di archi gotici, apparizione della Madonna, fumi bianchi, luce accecante, la pulzella sollevata in alto…) cui si arriva però con una totale assenza di regia attoriale, se non si intende con questa levare le mani al cielo o mandare sempre in giro il re e il padre ognuno con un ingombrante bastone pastorale. Non occorreva certo per evidenziare l’aspetto oratoriale del lavoro e la mancanza di azione della vicenda, nonostante battaglie, interrogatori da Inquisizione e quasi roghi. La statica è la branca della fisica che più analizza Herzog nelle pose dei cantanti (La Scola supera il record pavarottiano di immobilità statuaria), per di più addobbati in costumi a dir poco fantasiosi.
Chailly si sente in dovere di illuminare con entusiasmo ogni nota della partitura “riscoperta”, ma non tutto è oro nella musica della Giovanna. Fortunatamente c’è Bruson in uno dei personaggi su cui si è costruita la sua carriera. Il pubblico del Comunale e tutto per lui e le ovazioni con cui è festeggiato premiano anche i suoi tentativi di gioco scenico del tutto frustrati dalla regia. Nel ruolo della protagonista si poteva meritare di più di una Susan Dunn dal timbro non felice, mancanza di legato e smarrimenti nell’intonazione. Totale l’indifferenza con cui vive la parte, la stessa di Vincenzo La Scola, in verità, che pure dispiega una vocalità più accettabile.
Le due ore dello spettacolo si fanno sentire tutte.
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★★★☆☆
2. Giovanna senza censure
Nel 2012 al Regio di Parma viene rimessa in scena una Giovanna d’Arco di quattro anni prima in una edizione critica che ripristina nel libretto le modifiche volute dalla censura. La messa in scena di Gabriele Lavia è efficace e scevra di retorica ma di grande effetto, con una giusta realizzazione del carattere della pulzella. Belli i colori e le scene di Alessandro Camera, magnifici e storicamente attendibili i costumi di Andrea Viotti.
Svetla Vassileva è una Giovanna convincente scenicamente, ma vocalmente sembra affaticata, il vibrato è eccessivo, e più che emettere urla gli acuti. Evan Browers è un Carlo VII dalla voce ingolata, tecnicamente carente e dalla pronuncia tutt’altro che ineccepibile, oltre che scenicamente insignificante. Renato Bruson dopo 47 anni di carriera ha lo strumento comprensibilmente usurato, la voce è vacillante, ma l’accento è sempre scolpito e dei tre interpreti è quello che riscuote maggior successo tra il pubblico del Regio parmigiano.
Bruno Bartoletti dona alla partitura la giusta pulsazione di tempi, stretti ma non incalzanti, e dosa sapientemente gli effetti di un’orchestrazione che comunque non è tra le più raffinate.
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- Giovanna d’Arco, Chailly/Leiser-Caurier, Milano, 7 dicembre 2015
⸪