Tarare

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★★★★☆

L’apologo filosofico di Beaumarchais e Salieri

Il film di Forman Amadeus, tratto dall’omonimo dramma di Peter Shaffer, ha contribuito a dare una visione di mediocrità, se non di perfidia, di Antonio Salieri che nella realtà non si può collegare al compositore italiano. Salieri e Mozart furono sì rivali in musica, ma grandi amici nella vita, mentre Beethoven, Schubert e Liszt lo venerarono come maestro e come il vero erede di Gluck.

Una dedica “À monsieur Salieri” («Je n’avais fait que l’enfanter; vous l’avez élevé jusqu’à la hauteur du théâtre), un “avertissement de l’auteur”, una nota “aux abonnés de l’opéra” di quasi venti pagine e un apologo precedono il testo a stampa del Tarare, un prologo e cinque atti di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais intonato da Antonio Salieri e presentato l’8 giugno 1787 al Théâtre de la Porte-Saint-Martin di Parigi. Si tratta dell’unico libretto d’opera scritto da Beaumarchais, un’allegoria sull’uguaglianza tra gli uomini in cui un umile soldato trionfa su un tiranno geloso dei suoi successi. «Enfants, embrassez-vous: égaux par la nature, | que vous en serez loin dans la société» canta la Natura nel prologo dopo averli creati. Il conflitto tra il buon Tarare e il dispotico Atar è il conflitto tra ragione, natura e virtù da una parte e violenza, egoismo e odio dall’altra, quasi un manifesto ideologico della rivoluzione che scoppierà due anni dopo a Parigi: «Vas! l’abus du pouvoir suprême, | finit toujours par l’ébranler: | le méchant, qui fait tout trembler, | est bien près de trembler lui-même».

La vicenda si svolge nel palazzo di Atar, nel Golfo Persico. Nel prologo la Natura, con l’aiuto del Genio del fuoco, dopo avere calmato il caos che domina tra gli elementi, crea i personaggi dell’opera, che si svolge quarant’anni dopo. Tarare, soldato di umili origini, trova la massima soddisfazione nel compiere il proprio dovere, è apprezzato dai soldati e viene nominato generale quando salva la vita del re Atar, che però ne diviene geloso e ne fa rapire la moglie Astasie nascondendola nel proprio harem. Tarare, con l’aiuto di Calpigi, eunuco di guardia all’harem, riesce a ritrovare l’adorata sposa, ma vengono catturati dalle guardie di Atar. Sul punto di essere giustiziati vengono salvati da una rivolta degli schiavi e dei soldati, che si dicono pronti a difendere l’amato generale. Atar si toglie la vita e Tarare, dapprima restio,  viene incoronato re dal Gran Sacerdote Arthénée.

«Assecondando gli intenti di Beaumarchais, Salieri abolisce quasi del tutto i pezzi chiusi e le simmetrie formali, facendo trascolorare l’uno nell’altro, senza cesure, diversi registri compositivi: recitativo, arioso, coro e concertato. Pur senza riuscire a evitare il rischio della frammentarietà, la partitura riesce a infondere alle perorazioni egualitarie un forte spirito epico. […] La rinuncia al canto spianato e all’aria in grande stile (secondo i desideri di Beaumarchais) rappresenta sì un impoverimento, ma al tempo stesso produce pagine di straordinaria arditezza, quali i due ariosi del grande sacerdote (“O politique consommée!”) e del protagonista (“De quel nouveau malheur”). Entrambi i brani rivelano infatti un impiego originalissimo del declamato, sostenuto da una condotta armonica quanto mai pregnante. L’opera conobbe molte riprese successive e grazie a opportuni ritocchi del testo risultò adattabile a tutte le stagioni politiche, Restaurazione compresa (con la sola eccezione del Terrore)». (Francesco Blanchetti)

L’opera di Salieri è dunque piacevolissima e la musica, di gran qualità, sembra ogni tanto echeggiare quella del Ratto dal serraglio di cinque anni prima, ma nella scena ottava del secondo atto, prima della marcia dei soldati, un inciso orchestrale presagisce addirittura il «Nur stille! stille! stille! stille!» del Flauto Magico che arriverà quattro anni dopo! Il testo del canto è sempre perfettamente intelligibile secondo le raccomandazioni gluckiane.

Su richiesta dell’imperatore austriaco Joseph II, Salieri trasformerà il Tarare in Axur, Re d’Ormus, su libretto in italiano di Lorenzo da Ponte, per l’andata in scena al Burgtheater di Vienna nel 1788. Pur mantenendo la trama, vengono eliminati il prologo e le allegorie, il nome di Atar è ora quello dell’eroe, mentre il tiranno è Axur, vengono aumentati i pezzi chiusi e i concertati, c’è un maggior anelito melodico nella parte di Aspasia (ex Astasie) e comicità nei ruoli di Biscroma (ex Calpigi) e della schiava Fiammetta (ex Spinette). In questa versione, nello stile dell’opera italiana, ebbe più successo dell’originale – e un numero di rappresentazioni doppio di quelle del coevo Don Giovanni!

Il minuscolo palco del teatro di Schwetzingen nel 1988 è affollato dei tanti personaggi di questa opera in un vivacissimo e intelligente allestimento di Jean-Louis Martinoty, molto fedele alle prescrizioni del libretto. I Deutsche Händel-Solisten sono diretti con competenza da Jean-Claude Malgoire e in scena c’è un cast di eccellenti cantanti. Il «tyran féroce» è il grandissimo Jean-Philippe Lafont, molto più simpatico dell’elegante ma freddo Tarare di Howard Crook. Nicolas Rivenq è un efficace Gran Sacerdote e Eberhard Lorenz un vivace arlecchinesco Calpigi. Meno convincenti i ruoli femminili e alcuni problemi di intonazione e sbandamento sono evidenziati dal coro.

Questa è l’unica registrazione esistente dell’opera.

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