Ciro in Babilonia

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Gioachino Rossini, Ciro in Babilonia

★★★★☆

Pesaro, Teatro Rossini, 10 agosto 2016

Il ritorno di Ciro

Dallo Sceicco bianco di Fellini de Il turco in Italia si passa alla Cabiria di Pastrone nella lettura cinematografica del Ciro in Babilonia di Davide Livermore. Presentato nel 2012  in occasione del bicentenario della prima esecuzione e documentato da un DVD della OpusArte, il fortunato spettacolo è giudiziosamente ripreso per la terza serata del ROF versione XXXVII. Ghiotta occasione per godere ancora una volta della geniale e arguta messa in scena ora, se possibile, ancora più fluida in quanto ampiamente collaudata in questi anni. Non si finisce di ammirare gli stupendi costumi di Gianluca Falaschi, i trucchi e le parrucche del nostro Audello, la scenografia e il progetto luci di Nicolas Bovey, lo spettacolare video design della D-WOK.

In buca Jader Bignamini ha assecondato al massimo le prestazioni dei cantanti e evidenziato i deliziosi momenti di assoli strumentali come quello del violino che accompagna l’aria di Ciro nel secondo atto, cercando poi di dare un’unità a pezzi musicali di un lavoro ricco di autoimprestiti – e che a sua volta fornirà la musica a opere successive.

Degli interpreti di allora è rimasta solo l’inossidabile Ewa Podleś, quel monstrum vocale su cui è futile ogni valutazione: c’è solo il rimpianto di non averla ascoltata tanto tempo fa, anche se ora è rimasto quasi intatto il suo incredibile registro basso. Le agilità si sono un po’ appannate, talora deve ricorrere al parlato e i fiati non sono più sostenuti come una volta, ma il teatro Rossini è tutto per lei e generoso nelle ovazioni finali.

Invece della Jessica Pratt originariamente prevista come Amira c’è Pretty Yende che ha sostenuto il confronto in maniera molto apprezzata dal pubblico. Nel ruolo del perfido Baldassare, che nel 2012 fu di Michael Spyres, ora c’è Antonino Siragusa, ahimè. L’Argene di Isabella Gaudí si è sfogata con gli atteggiamenti da diva del cinema muto non potendo certo brillare nella sua unica aria che il malizioso compositore ha scritto su una sola nota data la scarsa abilità dell’interprete originale. Le altre parti sono affidate a volonterosi cantanti le cui voci però sono talora quasi coperte dal rumoroso e inefficiente impianto di climatizzazione del teatro.

Le didascalie “dannunziane” hanno sopperito in minima parte alla mancanza dei sopratitoli, ma chissà cos’avranno capito i numerosissimi stranieri presenti! Anche nel Turco della sera prima erano assenti, mentre all’Arena dell’inaugurazione mancava la traduzione in inglese di quelli originali, prassi ormai comune nei maggiori teatri del mondo.

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