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Giuseppe Verdi, Rigoletto
★★★★☆
Aix-en-Provence, Théâtre de l’Archevêché, 3 luglio 2013
(video streaming)
Rigoletto pagliaccio al circo
Nel duecentesimo dalla nascita di Giuseppe Verdi il Festival di Aix-en-Provence inaugura con un suo lavoro che qui non è mai stato rappresentato ed è affidato a uno dei maggiori registi del momento, il quale non perde tempo con una pedissequa messa in scena, ma legge la vicenda in maniera teatralmente coinvolgente. La cosa non sarebbe passata indenne in Italia, dove le “vestali della tradizione verdiana” avrebbero starnazzato allo scempio. Tranquilli, lo spettacolo, coprodotto con Bruxelles, Mosca e Ginevra, seppure diretto da un italiano, non verrà a turbare le italiote coscienze. Si potrà discutere che poi i presupposti teorici della lettura di Carsen reggano più o meno bene con la musica del Rigoletto, ma il teatro è soprattutto questo: ricerca, non museo.
Il regista canadese ci aveva abituato al suo meta-teatro (tra gli ultimi esempi quelli del Věc Makropulos e di Les contes d’Hoffmann), che qui diventa circo. Dal sipario chiuso vediamo uscire un clown che con una risata stridula trascina un sacco e da questo estrae una bambola gonfiabile. Il tragico si trasforma in beffardo: quello che si vede segue fedelmente quanto è scritto in musica – dai do di trombe e tromboni che scandiscono il tema della maledizione si passa direttamente alla musichetta volgare della festa in quest’opera senza ouverture. Il clown è Rigoletto stesso, incaricato di far divertire il suo padrone ricco e vizioso che ha allestito un circo per intrattenere i suoi compagni di dissolutezze con numeri di acrobati e spogliarelliste. Queste ultime si esibiscono come belve ammaestrate davanti al duca in giacca di velluto rosso dal palco che ha fatto costruire per sé da cui ammirare lo spettacolo.
La metafora del circo come arena di crudeltà rende perfettamente la drammatica crudezza del testo. Carsen sa leggere libretto e partitura e mette a nudo Rigoletto nella sua letterale scabrosità e a chi si scandalizza per quello che vede in scena si consiglia di leggere il libretto «Tutto è gioia, tutto è festa; | tutto invitaci a goder! | Oh guardate, non par questa | or la reggia del piacer!». La “festa” qui è rappresentata per quello che è veramente, un’orgia, come dice sprezzante Monterone «Ah sì, a turbare | sarò vostr’orgie…». L’ipocrisia dei cortigiani è evidenziata nel conte di Ceprano che si indigna per le avances fatte dal duca a sua moglie mentre lui palpeggia le grazie di una delle tante ragazze.
Dopo l’incontro con Sparafucile, mentre si pulisce il viso dalla maschera di clown, Rigoletto arriva alla sua dimora, una roulotte/casa di bambola sulla pista del circo dove tiene Gilda, adolescente irrequieta che nasconde il diario sotto il materasso e si ritrae ai gesti d’affetto del padre. Il «Caro nome» viene cantato da Gilda su un trapezio sotto la cupola di finte stelle del tendone, il solo momento di beatitudine nella truce vicenda e il suo volo riecheggia il “volo” della voce. Ma il tutto dura poco: i cinici uomini in smoking stanno organizzando il rapimento e mentre Rigoletto tiene un’inutile scala essi portano via la roulotte con Gilda dentro. Il duca che si spoglia completamente quando viene a sapere che la sua donna è stata rapita e portata a palazzo la dice lunga sulle sue intenzioni e infatti la prima cosa che esprime Gilda è la vergogna, non la gioia di aver incontrato di nuovo il suo Gualtier Maldé ora duca. Bellissima è la scena della confessione di Gilda al padre nel circo vuoto, con il pavimento cosparso di maschere. E Rigolettola maschera se la toglie con effetto molto drammatico davanti al sipario prima di pagare l’assassino e scoprire quindi il corpo della figlia. Alla sua domanda «Chi t’ha colpita?» il sipario si riapre e vediamo l’interno del circo con gli uomini seduti sulle gradinate a godersi lo spettacolo della tragedia di Rigoletto. Sulle parole «Ah, la maledizione!» un’acrobata scende roteando dall’alto.
Ai coniugi Boruzescu si devono le scenografie (Radu) e i costumi (Miruna) mentre alla testa della London Symphony Orchestra con la sua eccitata direzione Gianandrea Noseda esalta gli aspetti drammatici della musica che nel temporale del terz’atto fa venire i brividi tra quello che si ascolta in orchestra e quello che si vede in scena. Qualche scollatura non manca, ma l’acustica en plein air del cortile dell’Archevêché di certo non aiuta.
George Gagnidze è un Rigoletto intenso ma non memorabile; il Duca ha la figura e la baldanza giovanile giusta, ma lo squillo non basta e Arturo Chacón-Cruz si dimostra non maturo per la parte; Irina Lungu è una Gilda sensibile ma esile e con agilità imprecise; lo Sparafucile di Gábor Bretz si fa notare soprattutto per la presenza scenica così come la Maddalena di José María Lo Monaco.
⸪