
★★★★☆
Una gemma riscoperta: il Meyerbeer italiano
Quarta delle sei opere italiane, ma primo vero successo della carriera operistica di Jakob Meyer Beer, Margherita d’Anjou appartiene alla “prima fase” del compositore tedesco innamorato del nostro paese tanto da cambiare il nome in Giacomo Meyerbeer.
La damnatio memoriae cui venne sottoposto il nome di Meyerbeer da Wagner – che non gli riconosceva l’evidente debito del suo teatro – aveva portato a un totale disprezzo della sua opera malgrado il successo popolare dei suoi grand opéra. Non ultimi erano i sentimenti antisemiti, spesso neanche celati, nei giudizi astiosi nei suoi confronti.
Fortunatamente ora si guarda con meno pregiudizio alle sue creazioni e di quest’opera di riabilitazione fa la sua parte anche questa messa in scena del benemerito Festival della Valle d’Itria, che ogni anno ripesca dall’oblio del passato lavori quasi sconosciuti che poi si rivelano piccoli o grandi capolavori. E tale è infatti questa opera semiseria, su libretto di Felice Romani che, dopo il debutto nell’Imperial Regio Teatro alla Scala il 14 novembre 1820 con un cast di prim’ordine e riscuotendo un gran successo, fu rappresentata in Europa in francese e in tedesco prima di venire dimenticata. Questa di Martina Franca è la prima rappresentazione scenica in tempi moderni.
Atto primo. Sulla riva di un fiume è accampato l’esercito di Margherita d’Anjou, vedova di Enrico VI. L’esercito è guidato da Orner e Bellapunta. Si brinda in onore della sovrana e si inneggia al suo coraggio. Guardingo e clandestino, Carlo Belmonte entra nell’accampamento; un tempo egli era al servizio di Margherita, ma ora è passato dalla parte di Glocester dopo essere stato da lei esiliato. L’arrivo di Margherita risveglia in lui dolorosi ricordi. La Regina ringrazia i suoi e promette, se la vittoria sarà dalla loro parte, di sdebitarsi per tanta lealtà. Il suono di una fanfara annuncia l’arrivo del Duca di Lavarenne. Carlo approfitta del tumulto per esplorare il campo e giura vendetta contro la Regina che l’ha privato della patria e dell’onore, riducendo lui, un tempo cavaliere inglese, a partigiano dei ribelli e spia. Nel campo si presenta Michele Gamautte, medico, musicista e barbiere. È in compagnia di Eugenio, in realtà Isaura, moglie di Lavarenne, travestita da uomo per aver accesso all’accampamento. Lei e il marito sono separati da cinque anni e la donna teme che fui l’abbia dimenticata per Margherita. Michele prova a rassicurarla. Entra il Duca e aggiorna Margherita sullo stato della guerra: le province di Somerset e Scozia sono dalla sua parte e prossimo è il momento di attaccare Glocester. Margherita pende dalle labbra di Lavarenne e dinanzi a tanta lealtà offre a lui il suo cuore. lsaura è sconsolata mentre nel campo già si pregusta la vittoria. Bellavista annuncia la presenza di due francesi. Si fanno dunque avanti Michele e Isaura/Eugenio. Lavarenne e la Regina sono colpiti ciascuno per una ragione diversa dalla gentilezza d’aspetto del giovane Eugenio e Margherita lo nomina paggio di suo figlio. Da solo nella sua tenda, Lavarenne decide di rivelare alla Regina l’esistenza del suo matrimonio con Isaura, prepara un biglietto per Margherita e lo affida a Eugenio, chiedendo che lo recapiti alla Regina qualunque cosa gli accada in battaglia. Un colpo di cannone allerta Lavarenne. Di corsa giunge Michele, che sospetta la presenza di spie nel bosco. In realtà si tratta delle truppe comandate da Glocester, chiamate in soccorso da Carlo. La voce e la devozione di Eugenio colpiscono Lavarenne. lsaura vorrebbe rivelarsi al marito ma si trattiene: il momento non è propizio. Lavarenne sta per partire, lei lo trattiene con un’ultima richiesta che lui esaudisce: che il paggio combatta al suo fianco. Tra i due si stabilisce una profonda intesa. Nella foresta, Carlo fa rientro dai suoi e li informa della imminente sconfitta di Margherita e dell’esercito di Lavarenne. Michele, che si è avventurato nel bosco,viene scoperto dagli Scozzesi. Per salvarsi spaccia ogni sorta di abilità; loro lo accolgono come loro medico, mentre dall’oscurità del bosco emergono, uno alla volta, Lavarenne, Isaura e Margherita. Gli Scozzesi tendono una trappola alla Regina, la catturano e stanno per ucciderla quando Carlo, al quale lei implora aiuto, le si presenta innanzi. Vedendo la Regina avvilita, Carlo passa dal risentimento alla depressione e gli si prostra davanti, implora un atto di grazia. Poi invita gli Scozzesi a giurarle fedeltà. Uno squillo di tromba annuncia l’arrivo di Glocester. Per mettere in salvo la Regina, Carlo propone che si travesta da contadina scozzese e che si nasconda nella sua capanna insieme al figlio. Lì aspetteranno il momento più propizio per partire. Tutti pregano che la buona sorte vegli sulle proprie vite.
Atto secondo. Manca poco all’alba e i montanari si preparano a godere della bellezza del giorno che viene. Margherita si guarda intorno: tra quella gente e quella natura sembra regnare la felicità. E allora riflette sul valore di un trono: esso serve a poco se non riserva che dolori e anche la ricchezza è un dono inutile se il cuore non è appagato. La Regina è inquieta, pensa al figlio e teme che sia in pericolo, ma i montanari la rassicurano. Giunge Isaura (ancora travestita da Eugenio) e la informa che il Conte è al sicuro. Poi le porge il biglietto che Lavarenne le ha scritto il giorno prima: Lavarenne le dichiara che non potrà mai essere suo, poiché egli è sposo di Isaura; e non potendo stare con lei, intende andar a morir lontano. Isaura svela alla Regina la sua vera identità. Margherita la sollecita a correre da lui, prima che egli possa partire. Lavarenne è combattuto, il suo cuore è diviso tra Isaura e Margherita, ma comprende che è ancora innamorato di sua moglie. In una capanna, Michele sente bussare e manda Carlo ad aprile. Gli si presenta Glocester, in cerca di Margherita e suo figlio. Glocester è incuriosito da Michele, dal suo strano accento e sospetta che non sia un vero Scozzese. Michele si spaccia però per un giramondo che ha esercitato ogni tipo di virtù e racconta di avere moglie e un figlio. Quando Michele gli presenta Margherita e il suo bambino, Glocester non si lascia ingannare, sguaina la spada ma Michele si inginocchia e protegge il bambino col suo corpo. Glocester riesce comunque ad afferrare il bambino e quando arriva Lavarenne, Glocester minaccia di ucciderlo se qualcuno osa arrestarlo. Il Duca si sente in trappola, ma l’intervento di Michele e Carlo disarma Glocester. Bellapunta si congratula coi suoi per la vittoria. Michele tenta di convincere Isaura che riuscirà a riconquistare il cuore del suo amato. Isaura è rassegnat, e non crede alle sue orecchie quando Michele le annuncia che Lavarenne è tornato da lei, pentito e innamorato. Margherita benedice la loro unione nella gioia generale.
Nella sua messa in scena Alessandro Talevi non si preoccupa che l’opera non sia conosciuta e l’affronta con una lettura ironica e straniante che forse è l’unica possibile: come si può prendere infatti sul serio la fantasiosa commistione di Storia vera – o perlomeno presunta tale – e storie personali, travestimenti, agnizioni, subitanee e improbabili conversioni di una strampalata vicenda degna di un’opera barocca di cento anni prima? In questo lavoro di Meyerbeer la retorica del melodramma fa a meno dei nessi fra musica, plot ed eventi storici, essendo qui solo un pretesto per mettere in scena dei cantanti che esibiscano qualità canore in numeri musicali miscelati in modo spesso inedito.
Il tema del doppio travestimento – Isaura/Eugenio e Margherita/contadina scozzese – suggerisce al regista l’idea dell’ambientazione durante la London Fashion Week, con tanto di sfilate di moda, sia femminile che maschile, che fanno il verso a quelle di Vivienne Westwood con i fantasiosi e provocatori outfit di Madeleine Boyd inglobanti accessori medievali, unico richiamo al tempo storico in cui è calata la vicenda. Poi ci si sposterà nella spa di un elegante club di golf scozzese dove il coro canta le gioie campestri, «Che bell’alba! Che bel giorno!», in accappattoi bianchi, ma sempre sotto l’occhio di una telecamera, che trasforma in un reality show questo episodio della Guerra delle Due Rose. Margherita è una famosa “regina” della moda; Michele Gamautte la star di una rubrica televisiva di cuori solitari che si occupa delle vicende amorose del triangolo Isaura-Margherita-Lavarenne, quest’ultimo un cantante pop; il duca di Glocester (sic) un magnate della stampa e i nemici scozzesi dei punk in kilt e creste colorate. In scena ci sarà anche il lettino dello psicanalista su cui si sdraierà prima Lavarenne per confessare le sue pene, «Ah! sì. Pur troppo, io sono il più infelice, | che sulla terra esista!», e poi anche Margherita, esautorata del finale da Isaura, e destinata alla solitudine di una gabbia dorata: «La grandezza è inutil dono, se contento il cor non è». Che poi anche il figlio Edoardo, ruolo muto, si trastulli con le Barbie svela la non conformità di questa famiglia.
Impeccabile l’esecuzione musicale di Fabio Luisi che esalta l’orchestrazione “tedesca” nei suoi raffinati particolari strumentali così come la cantabilità “italiana”, il suo punto di forza. Il modello è ovviamente Rossini (soprattutto Tancredi e Italiana in Algeri) che ritroviamo nei concertati perfettamente risolti e nella vocalità, talora spericolata, dei personaggi.
Margherita (al debutto nel 1820 fu il soprano Clementina Pellegrini) ha trovato in Giulia de Blasis un’interprete che ha superato efficacemente le difficoltà della parte pur se con qualche imperfezione. Lo stesso si può dire per l’Isaura (allora alla Scala Rosa Mariani) di Gaia Petrone. Il personaggio del Duca di Lavarenne fu affidato da Meyerbeer al Tacchinardi (tenore di tecnica superba, dicono le cronache del tempo) e ciò la dice lunga sulle richieste vocali della parte, di notevole estensione, affrontata qui spavaldamente dal russo Anton Rositskiy che nella cabaletta dell’aria di ingresso arriva al mi naturale per poi seminare di do acuti gli altri suoi interventi. Il timbro non è tra i migliori, ma la dizione è eccellente e il tenore è perfettamente a suo agio nelle agilità. Ingolata la voce del basso ex baritono Laurence Meikle, australiano di bella presenza, qui nella parte di Carlo Belmonte (in origine il Levasseur), così pure il Riccardo duca di Glocester di Bastian Thomas Kohl. Michele Gamautte, «chirurgo francese, sciocco esagerante», trova in Marco Filippo Romano la giusta dose di comico abbinata a una vocalità potente e un timbro ricco.
In quest’opera numerose sono le pagine che dimostrano la genialità del compositore che a buon ragione dovremmo finalmente affiancare a Rossini, Bellini e Donizetti nella storia della musica italiana prima di Verdi: dall’assolo di violino in «Dolci alberghi di pace» della grande scena di Margherita del secondo atto, al sorprendente terzetto di bassi, all’inatteso rondò di Isaura, contralto che nel finale ruba la scena al personaggio titolare. Se i direttori artistici dei nostri teatri lirici fossero un po’ meno miopi si dovrebbero affrettare a mettere in scena questo lavoro per rendere un po’ meno scontate le loro stitiche programmazioni.
La registrazione è distribuita su due dischi per un totale di 160 minuti. Nessun extra, ma in rete si può trovare un’intervista a Talevi sulla produzione.
⸪