Parsifal

 

Richard Wagner, Parsifal

★★★☆☆

Anversa, Koninklijke Vlaamse Opera21 marzo 2018

(video streaming)

Liturgia di sangue

Cosa resta del Parsifal di Wagner se lo depuriamo di qualunque riferimento alla liturgia cristiana? In attesa di vedere cosa combinerà Pierre Audi tra un mese alla Bayerische Staatsoper, tra le più recenti letture dell’ultima opera di Wagner c’è questa del 2013, l’anno wagneriano, della regista tedesca Tatjana Gürbaca, ora ripresa all’Opera Vlaanderen di Anversa.

Buio totale, luce rossastra che gradualmente diventa sempre più abbagliante e inonda una scena completamente vuota. Amfortas cede alle lusinghe di Kundry durante il preludio. Tre sottili rigature di sangue marcano la bianca parete circolare di fondo. Altre si aggiungeranno, e poi altro sangue, in copiosa quantità, sui corpi, sui costumi, sui pochi oggetti presenti: il sangue è l’elemento principale di questa produzione – d’altronde la parola Blut si ripete ben 25 volte nel libretto, esattamente quante la parola Tod, morte.

Sedie, sgabelli, catini smaltati per il bagno dei bambini (uno di essi sarà il cigno ucciso da Parsifal che gli tira un secchio pieno di sangue). Tutti rigorosamente in bianco gli oggetti in scena di questo spettacolo che perde ogni connotazione di rappresentazione, più o meno sacra, per contrapporre il maschile al femminile: i cavalieri del Graal uniti dai loro rituali, alla figura madre/Madonna/Maddalena di Kundry che, incinta forse del prossimo cavaliere cui toccherà liberare dalla maledizione, li benedice sotto lo sguardo stupito/stupido di Parsifal. Ma anche comunità contro individualità: i cavalieri assieme danno voce a Titurel fuori scena o diventano una folla che minaccia Amfortas, l’unico che osa essere un individuo e cerca di spezzare la catena umana di questa setta di fanatici. E ovviamente castità contro sensualità o meglio separazione maschile/femminile, che diventa emblematica in Klingsor, il quale si è auto evirato e quindi ha perso la maschilità. Il suo giardino delle delizie è illuminato da una luce dorata ed è popolato da anziane signore in abiti di tulle, appassite fanciulle in fiore. Gurnemanz è su una sedia a rotelle che sottolinea la sua impotenza; i cavalieri guardano in alto con lenti nere in attesa di un’eclisse che non avviene; Parsifal con la lancia non guarisce Amfortas ma gli dà il colpo di grazia; Kundry per due volte tenta il suicidio; Parsifal alla fine viene vestito  con una ridicola armatura che lo fa sembrare un Crociato grottesco.

Meno problematico l’aspetto musicale dello spettacolo con un corretto Cornelius Meister sul podio, il tenore americano Erin Caves specialista di Wagner e qui a suo agio nella figura dapprima imbelle e poi sofferta del puro folle. Qualche piccola sbandata di intonazione non pregiudica una performance vocale solida. Convincenti il Gurnemanz di Štefan Kočan dal timbro particorlamente scuro e l’Amfortas di Christoph Pohl, lui invece di timbro più chiaro, mentre Kay Stiefermann è un Klingsor per una volta molto umano. Il reparto femminile di quest’opera misogina è condensata nella figura di Kundry, un’intensa Tanja Ariane Baumgartner quasi sempre in scena.

Innumerevoli sono le immagini proposte dalla regista per una narrazione lentissima, quasi senza azione, in cui i personaggi si muovono come in una torpida coreografia. La visione che la Gürbaca impone è del tutto personale e distante dalla concezione cristiana e dalle intenzioni dell’autore stesso, ma lo spettacolo ha comunque una sua coerenza e un suo fascino, anche se non sembra portare a un maggior apprezzamento per l’ultima opera di Wagner.

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