
Gaetano Donizetti, Don Pasquale
★★★☆☆
Parigi, Palais Garnier, 19 giugno 2018
(diretta streaming)
La prima volta all’Opéra del lavoro di Donizetti
A distanza di poche settimane, i due più importanti registi italiani presentano il loro Don Pasquale: il 3 aprile alla Scala Davide Livermore leggeva la vicenda come una commedia all’italiana anni ’60; ora a Palais Garnier Damiano Michieletto presenta la sua personale impostazione. È la prima volta che l’opera di Donizetti viene messa in cartellone all’Opéra National di Parigi.
Il salto temporale qui è ancora maggiore, siamo nella contemporaneità infatti. Ma è soprattutto sul personaggio titolare che ci sono le maggiori differenze di lettura: se per Livermore erano la simpatia per il vecchio Don Pasquale e la nostalgia dell’ambientazione a dare il tono al suo spettacolo, qui invece Michieletto, nella sua lucida logica, infligge al crudelmente gabbato vecchietto una fine ignominiosa in un triste ospizio. Al poveretto non è risparmiato un trattamento che insiste senza pietà sulla sua decadenza fisica piuttosto che sull’empatia col personaggio. Prima ancora dell’umiliante ceffone della “mogliettina”, Michieletto ce lo presenta nella sua datata abitazione mentre sciabatta in pigiama e vestaglia, indossa la cintura elastica per contenere la pancia, si tinge i capelli, si annoda un’orrenda cravatta marrone su una camicia scozzese. Il «vecchio celibatario, tagliato all’antica, economo, credulo, ostinato, buon uomo in fondo» del libretto di Giovanni Ruffini, qui è un patetico pensionato angariato da una sciatta domestica, turlupinato da chi si professa amico e angustiato da un nipote nullafacente che si capisce non farà mai nulla di buono nella vita. Oggi non c’è più né rispetto né pietà per gli anziani, sembra dire Michieletto.
Decisamente più negativo qui è anche il cinico personaggio di Malatesta, un subdolo “amico” abituato agli inganni in quanto come regista di video e spot pubblicitari fa grande uso del croma key per fingere una realtà immaginaria. Norina è una delle sue modelle e la grande confidenza che il giovane ha con la ragazza fa intuire l’inedito finale scelto dal regista, in cui Norina lascerà l’insulso Ernesto per il più consistente Malatesta.
Lo scheletrico impianto scenografico di Paolo Fantin consiste nella casa fuori moda di Don Pasquale divisa virtualmente in vari ambienti – ci sono le porte ma non le pareti – identificati da scarni oggetti: un letto per la camera; un divano giallo, una pendola da terra e un quadro romantico per il soggiorno; una vecchia stufa economica per la cucina; un tavolo con sedie per il tinello; una vasca su piedini per il bagno; una vecchia Lancia Flavia in garage. Tutto verrà spazzato via dal ciclone Norina e sostituito da corrispettivi contemporanei e alla moda. Sormontata da una struttura di tubi al neon come tetto, la scena ruota su una piattaforma in modo da permettere di curiosare nella casa da angolazioni diverse. Un sobrio ma efficace gioco di luci è quello di Alessandro Carletti mentre i costumi di Agostino Cavalca connotano i diversi personaggi: il guardaroba anni ’70 di Don Pasquale, le felpe e le t-shirt da coatto del nipote o il giubbotto di pelle del mafiosetto Malatesta. Dopo l’abito da educanda, Norina sfoggia outfit tali da far imbufalire il povero “marito”.
Non pienamente convincenti sono alcune scelte del regista come il ricordo di Don Pasquale bambino con la mamma o l’utilizzo di burattini per riassumere la storia durante il coro «Che interminabile andirivieni!», qui affidato a non si sa chi, se vicini di casa o passanti, di certo non ai servitori reclutati da Norina.
Come sempre nelle messe in scene di Michieletto la logica del konzept è portata avanti con lucidità e arguzia, la direzione attoriale è sempre attenta e l’adattamento della regia agli interpreti perfetto. Quello che manca è l’empatia per i personaggi in scena che porta a una certa freddezza dell’impianto e a una mancanza di umorismo nonostante le numerose gag.
Si diceva degli interpreti su cui Michieletto cuce addosso la regia: Michele Pertusi è un Don Pasquale scenicamente efficace ma non è un basso buffo e vocalmente denuncia qualche stanchezza, il sillabato è perfettibile, talora tende al parlato, ma comunque è sempre intatta l’eleganza con cui il cantante porta in scena il personaggio. Splendente presenza è quella di Nadine Sierra, una Norina che farebbe rimbambire chiunque. Voce agile e leggera, luminosa negli acuti e con una certa acidità nel timbro, forse voluta per adattarsi al personaggio. Spavaldo Florian Sempey come Malatesta, una parte a misura della sua vocalità e del suo temperamento, non distante dal Figaro rossiniano con cui si è fatto conoscere. Un perdente su tutta la linea, così si presenta secondo Michieletto l’Ernesto di Lawrence Brownlee: berretto con la visiera all’indietro, canotta e giubbotto, zainetto e pochi spiccioli in tasca. Si capisce subito che il flirt tra lui e la sofisticata ragazza non durerà. Da perfetto belcantista il tenore americano dipana le sue ariose melodie con stile ineguagliabile e anche se rinuncia alle puntature i suoi interventi sono al solito di gran classe.
La direzione di Evelino Pidò non ha particolari raffinatezze, anzi in certi momenti denuncia un eccesso di energia. Qui non si parla di coprire i cantanti o di equilibrio con la fossa orchestrale o di proiezione delle voci giacché sono tutti microfonati per la diretta, ripresa con abbondanza di primi piani da Vincent Massip.
⸪
migliore senza alcun dubbio lo spettacolo scaligero
vuoi per direzione d’orchestra
vuoi per i cantanti a parte barbera
ma soprattutto per la bellissima regia di livermore
questa di michieletto non mi è piaciuta
troppo cervellotica…..senza nessuno spasso…..
io ne ho viste di bellissime di michieletto
in primis il viaggio à reims romano e poi la lucia e la butterfly torinesi
ma stavolta no devo dire che non mi ha convinto….
opinione personale ovvio da smentire…..