Karl V.

Tiziano Vecellio, La Gloria, 1554

Ernst Křenek, Karl V.

★★★★☆

Monaco, Nationaltheater, 23 febbraio 2019

(diretta streaming)

Un imperatore e i fantasmi del suo passato

Nel Giudizio Finale (anche conosciuto come La Gloria) di Tiziano, la grande tela che Carlo V d’Asburgo voleva destinare alla sua cappella funeraria e ora al Museo del Prado, si vede sulla destra in alto una figura inginocchiata avvolta in un semplice sudario, con la corona per terra e le riconoscibili fattezze del capo del Sacro Romano Impero. L’imperatore stesso, coadiuvato da un’equipe di teologi, contribuì in maniera determinante all’elaborazione dell’iconografia del dipinto. Dopo aver ottenuto il dipinto dal Vecellio, l’imperatore non se ne separò più portandolo con sé a Yuste nel 1555, dove morì contemplandolo tre anni dopo.

Questo è lo spunto del Karl V. di Ernst Křenek (Krenek quando fu naturalizzato americano nel 1938). Il compositore e direttore d’orchestra austriaco che ebbe il suo primo unico successo con l’opera jazz Jonny spielt auf (1927) tradotta in 18 lingue. Nessu altro suo lavoro incontrerà lo stesso successo.

«Dopo l’atto unico Der Diktator (1928) e il successivo Leben des Orest [1930], Křenek torna ad analizzare una figura di uomo politico, in una sorta di meditazione retrospettiva che passa al setaccio le speranze e gli errori di una vita; accantonati sia il modulo della Zeitoper sia quello neoclassico, l’interesse si concentra su uno spaccato di storia particolarmente nodale per i paesi tedeschi ripercorrendo, attraverso la biografia di Carlo V, le vicende della Riforma. […] Karl V. è frutto della passione storica di Křenek e del tentativo di conciliare l’attività creativa con le imposizioni dettate dal regime, eludendo in apparenza i temi di attualità. In realtà la riflessione politica dissimula in chiave rinascimentale una serie di interrogativi ben radicati nella contemporaneità; e proprio per dar voce a queste connessioni con il presente Křenek scavalca il fosso dell’atonalità e opta per il linguaggio dodecafonico, che gli pare in quel momento il più valido a garantire unità a una partitura». (Elisabetta Fava)

Col numero d’opus 73 e su libretto proprio, Karl V.  era stato commissionato a Křenek da Clemens Krauss e sarebbe dovuto andare in scena nella stagione 1933-34 all’Opera di Stato di Vienna, ma la produzione fu cancellata quando nella Germania nazista il nome del compositore fu aggiunto alla lista dei musicisti di “musica degenerata” non perché ebreo, ma perché Jonny spielt auf era stato considerato «eine frechen, jüdisch-negerischen Besudelung» (una spudorata contaminazione giudeo-negroide). Karl V. fu presentato la prima volta solo cinque dopo a Praga quando l’autore si era già rifugiato negli USA.

In 19 scene suddivise in due parti si svolge un dialogo tra l’imperatore Carlo V sul suo letto di morte e il confessore. Al dialogo si mescola uno scarno materiale drammatico relativo alle guerre che ha intrapreso, l’ansia per l’oro delle Americhe, l’ossessione a cristianizzare il mondo intero. L’elenco dei personaggi rende bene la complessità e l’impegno del lavoro: oltre a Carlo ecco infatti Giovanna la pazza (la madre), Eleonora (la figlia), Isabella (la moglie), Francesco Borgia (un gesuita), il conquistador Pizarro, François I re di Francia, Frangipani, Lutero, il sultano Solimano, Juan de Regla (il confessore), un astrologo, quattro spiriti/ore, la voce del papa Clemente VII ecc.

Parte prima. Carlo V sente la morte avvicinarsi e deposte le insegne regali si rifugia nel convento di Yuste dove chiama il suo confessore Juan de Regla con cui ripercorre le tappe del suo operato politico: dapprima la ribellione di Lutero, con cui l’imperatore fu forse troppo blando e diplomatico, poi i difficili rapporti con l’infido Francesco I, infine la minaccia dei Turchi, sobillati dallo stesso re di Francia, cui pure Carlo aveva dato in sposa la sorella. Dopo la sciagura del sacco di Roma, Carlo rimase vedovo e la sofferenza personale incominciò a renderlo più sensibile riguardo alle persecuzioni inflitte agli eretici.
Parte seconda. Lutero lamenta la politicizzazione della sua parola. Il confessore si mostra sempre più commosso di fronte al dramma del vecchio imperatore, ma il gesuita Borgia lo rimprovera, ricordandogli che l’indecisione di Carlo ebbe come conseguenza l’avvento rovinoso della lega di Smalcalda: l’imperatore riuscì in seguito a imporre ai tedeschi il cattolicesimo a viva forza, ma ormai vacillava in lui definitivamente la fiducia nella sua missione storica e morale e l’abdicazione nelle mani del fratello Fernando I segna irreparabilmente il crollo dei suoi antichi ideali, e insieme la frantumazione dell’impero.

Nel 2008 la produzione di Bregenz diretta da Lothar Koenig e messa in scena da Uwe Eric Laufenberg era stata registrata su DVD mentre ora sono Erik Nielsen e Carlus Padrissa de La Fura dels Baus a presentarne una nuova edizione per la stagione della Bayerische Staatsoper che la trasmette in diretta dal suo sito. È la seconda volta qui sul palcoscenico del Nationaltheater di Monaco di Baviera dopo il 1965.

Nella messa in scena di Padrissa il palcoscenico è invaso dall’acqua. Anche l’altro elemento, il fuoco, viene spesso utilizzato. Specchi, videografica, proiezioni, acrobati appesi sono i mezzi già altre volte sperimentati dalla compagnia catalana e rendono spettacolare un lavoro che è quasi assente di drammaturgia e che non si affida alla bellezza e piacevolezza della musica: un rigoroso stile dodecafonico accompagna tutto lo svolgimento della vicenda.

All’inizio una voce fuori campo elenca le terre in cui si estende l’impero «su cui non tramonta mai il sole». Con una fanfara di ottoni non molto dissimile da quella della “maledizione” di Rigoletto inizia un coro (Dio stesso) che chiede ragione al vecchio imperatore delle sue azioni prima del giudizio finale. In alcuni momenti minacciosi ritmi di marcia accompagnano i cori che inneggiano alla Germania, ma spesso l’orchestra ha una trasparenza che lascia il predomino della scena alle voci, cantate e parlate. Infatti il confessore e altre parti secondarie sono attori recitanti.

Con i costumi di Lita Cabellut, come il re Ubu disegnato da Jarry, Carlo ha sull’abito (poco più di un camicione) una spirale, qui con le ore dell’orologio: l’ossessione del tempo che scorre e il moltiplicarsi delle figure sugli specchi e sulla superficie dell’acqua sono elementi costanti della lettura di Padrissa. Nel libretto gli orologi diventano addirittura quattro personaggi nel finale quando la voce fuori campo dell’inizio scandisce sarcasticamente il motto dell’imperatore: «plus ultra». Anche gli altri personaggi hanno costumi molto marcati, come il gesuita Borgia con una fotografia di un teschio.

Instancabile Bo Skovhus dà vita con efficacia alla figura di Carlo V mentre Wolfgang Ablinger-Sperrhacke è il fatuo François I e Michael Kraus un autorevole Lutero. Tra le interpreti femminili si fa notare per doti vocali Anne Schwanewilms, la moglie Isabella. A capo dell’orchestra Erik Nielsen dipana con lucidità le aride armonie della partitura.

Pubblicità