Anna Bolena

Gaetano Donizetti, Anna Bolena

★★★☆☆

Liegi, Théâtre Royal, 17 aprile 2019

(live streaming)

Tanti emuli di Zeffirelli fra i registi di Anna Bolena

Sete, broccati, pelli, pellicce, gioielli, arazzi, candelieri, boiserie, argenti, cristalli, colonne, scrigni, cassapanche: come a una fiera dell’alto antiquariato, il palcoscenico su cui si dipanano le tristi vicende della seconda moglie di Enrico VIII si riempiono di pezzi d’epoca, l’Inghilterra di metà ‘500. Sembra che per questo lavoro di Donizetti non si possa fare a meno di un’ambientazione storicamente fedele.

Come Génovèse a Vienna o McVicar a New York anche Stefano Mazzonis di Pralafrera qui a Liegi (ma lo spettacolo era nato a Losanna) non si fa mancare nulla per quanto riguarda scenografie e costumi. Basti dire che l’abito di Enrico è quello del ritratto attribuito a Holbein ora alla Royal Collection di Edimburgo e anche la figura di Anna Bolena si rifà ai ritratti postumi della regina spodestata e decapitata. Durante l’ouverture assistiamo al rapporto sessuale tra il re e una donna bionda su un letto che viene poi portato via. Se la bionda è la Seymour bisogna dire che la Giovanna che ora entra in scena non le assomiglia per nulla. Quando invece Anna porta con sé la figlia Elisabetta, la bambina si rivela una copia in miniatura della futura grande regina.

Nella scenografia è presente in alto una passerella da cui i personaggi possono curiosare e vedere quello che avviene in basso ed è così che Enrico scopre la moglie con Percy, o l’iniquo Hervey le mosse goffe di Smeton. Il gioco di luci di Franco Marri è efficace nel rendere più cangiante il pesante apparato ligneo che si apre per farci vedere il tribunale o l’esterno della prigione nell’atto finale.

Giampaolo Bisanti concerta abilmente le voci e il coro e dosa con equilibrio le pagine ora drammatiche ora liriche del lavoro sottoposto però a parecchi tagli nei recitativi. Forse il direttore non aveva troppa fiducia nelle capacità attoriali degli interpreti disponibili.

Piuttosto manierato è infatti il personaggio della Seymour, il soprano Sofia Solovyi dal bel colore della voce, dizione talora impacciata e un physique du rôle non ideale per la giovane che deve far dimenticare al re la moglie, la quale qui sembra molto più giovane ed avvenente della rivale. Debuttante nella parte del titolo è infatti Olga Peretjat’ko che col suo temperamento riesce quasi a far dimenticare timbro acidulo e agilità un po’ secche. Talora monocorde ma efficace nel dipingere la monomania del sovrano è Marko Mimica, lui sì molto più affascinante dell’originale Enrico. Celso Albelo è un Lord Riccardo Percy a suo agio nel registro alla Rubini ma scialbamente caratterizzato scenicamente. Evidenti problemi di intonazione affliggono lo Smeton di Francesca Ascioti e al limite dell’accettabile il Lord Rochefort di Luciano Montanaro.

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