L’italiana in Algeri

Gioachino Rossini, L’italiana in Algeri

★★★★★

Salisburgo, Haus für Mozart, 9 agosto 2018

(video streaming)

Tre uomini e una donna

Ma chi l’avrebbe mai detto che Gioachino Rossini ed Angelo Anelli sapessero che oltre due secoli dopo la loro L’italiana in Algeri sarebbe stata messa in scena da Moshe Leiser e Patrice Caurier? Non si spiega altrimenti come i tempi comici della sublime musica e gli arguti versi del libretto si possano adattare così a meraviglia al lavoro del duo registico e ai favolosi interpreti qui in scena a Salisburgo.

Interpreti concertati dalla mano nervosa di Jean-Christoph Spinosi a capo dell’Ensemble Matheus da lui fondato. Il direttore francese imprime tempi vertiginosi ma sempre perfettamente realizzati sia in buca dagli strumenti “antichi” sia in scena, salvo poi espandersi nei tempi rapinosi della cavatina di Isabella per esaltarne il languore. Efficaci anche dal punto di vista attoriale sono gli interventi del Philharmonia Chor Wien preparato da Walter Zeh.

Con Cecilia Bartoli non si sa se ammirare di più le capacità attoriali ed espressive nei recitativi o le agilità e le prodezze vocali nelle arie. Eccelsa stilista ed eccelsa attrice, passa dalla sensualità di «Per lui che adoro», alle fantasiose variazioni di «Qual piacer! Fra pochi istanti» alla comicità di «Ohi! che muso, che figura!» ai duetti assieme ad Alessandro Corbelli con perfetti tempi comici. La parte di Isabella è ideale per una voce che ha acquistato sfumature calde nel registro grave ma in quello acuto ha mantenuto inalterati i fuochi d’artificio della coloratura. Ancora una volta la sua è una lezione di canto rossiniano. Mustafa trucido e panzuto è quello di Il’dar Abdrazakov –  l’unico cambiamento rispetto all’edizione di Pentecoste (là era Peter Kálmán) – e sbalordisce come l’interprete di Filippo II, Attila e Boris Godunov riesca a rispondere così magistralmente alle agilità richieste da Rossini (e al ritmo travolgente di Spinosi) unitamente a un senso dell’umorismo e a un’autoironia ineguagliabili. La pienezza vocale, i fiati interminabili, la sonorità delle note basse, lo squillo degli acuti, il gusto nell’enunciazione della parola e la perfetta dizione si accompagnano a doti di eccelso attore comico che fa della voce, dell’espressione facciale e del corpo altrettanti mezzi espressivi. Alessandro Corbelli, un Taddeo mai grottesco né banalmente istrionico, non è solo la spalla perfetta della Isabella di Cecilia Bartoli, ma anche lo stilista dalla vocalità piena ed elegante che conoscevamo. Niente da dire sul Lindoro di Edgardo Rocha, più che adeguato, ma a lato di questi tre mostri sacri fatica ad emergere. Ottimi acuti per l’ironica Elvira di Rebeca Olvera ed eccellenti i comprimari, sia l’Haly di José Coca Loza che la Zulma di Rosa Bove.

Tutti si sono perfettamente adeguati al tono instaurato dai registi e reso palese fin dalla sinfonia, quando vediamo il talamo di Mustafa e della moglie Elvira la quale tenta inutilmente di risvegliare gli appetiti sessuali del marito, compresa una danza del ventre, per poi consolarsi con una scatola di loukum mentre il marito è più interessato ai suoi loschi affari come capo della malavita algerina. Infatti, scatole di elettodomestici di contrabbando o rubati entrano dalla finestra e transitano nella camera mentre il coro commenta dal quadro sopra il letto. Le scenografie di Christian Fenouillat costruiscono a colori vivaci la città di Algeri di oggi, con le parabole satellitari sui balconi delle case popolari mentre nell’aria si diffondono i richiami dei muezzin e sulle strade macchine scassate contendono il posto a pigri dromedari.

Ed è su un dromedario che arriva Isabella, una donna libera, emancipata, zaino sulle spalle, non ha timori di sorta: da quel momento sarà lei a dettar legge e manipolare i suoi uomini. Un bell’esemplare di femmina emancipata, di quelle «femmine d’Italia» che sono oggetto dell’aria di sorbetto di Haly, cantata davanti alla proiezione della scena del bagno nella fontana di Trevi da La dolce vita – anche se lì la femmina era svedese…

Un altro momento di comicità esilarante è il “quartetto del caffè” con Isabella immersa nella schiuma di una vasca da bagno a stuzzicare i tre uomini invaghiti di lei. Più tardi gli “schiavi italiani” sono i giocatori della Nazionale di calcio che appena liberati, ancora con le magliette azzurre, si abbuffano di spaghetti prima di vestire i panni del buffo coro dei kaimakan per imbarcarsi poi sulla nave da crociera che li riporta in patria. I costumi di Agostino Cavalca distinguono ironicamente i guardaroba delle diverse culture in gioco e arguta è l’idea di far vestire alla diva Bartoli un suo abito da concerto per il rondò del secondo atto!

Inutile riportare l’entusiasmo al calor bianco del pubblico che saluta con autentiche ovazioni le uscite di Bartoli, Abdrazakov e Corbelli.

Litaliana-in-Algeri-2018-Edgardo-Rocha-Lindoro-Cecilia-Bartoli-Isabella-©-Salzburger-Festspiele-Monika-Rittershaus.jpg

 

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