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Adolphe Adam, Le postillon de Lonjumeau
★★★★☆
Parigi , Opéra Comique, 5 aprile 2019
(video streaming)
Michael Spyres ridà vita al mitico postiglione
Celeberrima a suo tempo, Le Postillon de Longjumeau è oggi opera quasi completamente scomparsa dal repertorio. Presentata alla Salle de la Bourse il 13 ottobre 1836 su libretto di Adolphe de Leuven e Léon-Lévy Brunswick ebbe un enorme successo: le sue 600 rappresentazioni portarono ulteriore fama all’acclamato autore di musica per balletti, il quale, per sua ammissione, «nella musica per il teatro non aveva altra ambizione che farla semplice, chiara, facile da capire».
Atto I. Il postiglione Chapelou ha appena sposato l’ostessa Madeleine. Prima del matrimonio entrambi hanno consultato due indovini che hanno loro predetto giorni difficili. Su richiesta dei suoi amici, Chapelou intona la famosa “Ronde du Postillon” che gli dà la possibilità di salire al re sopracuto. Nella locanda mentre la sua vettura viene riparata, il Marchese de Corcy, intendente di Luigi XV, lo ascolta e, colpito dalla voce del giovane, lo convince a seguirlo a Corte per cantare all’Opéra e a Fontainebleau. Chapelou lo segue dopo qualche esitazione e chiede al suo amico, il maniscalco Biju, di avvertire Madeleine. La donna arriva come una furia dopo aver appreso la notizia della sua partenza e decide di rifugiarsi dalla ricca zia a Parigi.
Atto II. Dieci anni dopo, Madeleine ha messo da parte un ricco patrimonio e si fa chiamare Madame de Latour mentre Chapelou, sotto il nome di Saint-Phar, è diventato una star dell’opera francese. Il Marchese de Corcy, innamorato di Madeleine, organizza una serata in suo onore a cui Saint-Phar e Biju devono partecipare, essendo quest’ultimo diventato un corista sotto il nome di Alcindor. Chapelou, che non ha riconosciuto Madeleine, mentre lei sì, si innamora immediatamente di lei e le offre di sposarla. Lei accetta. Essendo già sposato, Chapelou chiede a Biju di recitare il ruolo del sacerdote per non commettere sacrilegio. Corcy ascolta la loro conversazione e, dopo aver allontanato Biju, convoca un vero religioso per celebrare il matrimonio.
Atto III. Il Marchese de Corcy sta per denunciare Saint-Phar per bigamia. Madeleine appare quindi vestita con il suo vecchio costume contadino e Chapelou, stupito, la riconosce ma lei lascia cadere la torcia che sta portando e, al buio, interpreta sia il ruolo dell0ostessa che quello della ricca ereditiera come se fossero due personaggi diversi. Il Marchese ritorna con la polizia. Madeleine rivela quindi il suo inganno e Chapelou si rende conto di aver sposato la stessa donna due volte. Promettono di amarsi a vicenda come “bravi abitanti del villaggio” e tutti concordano “che era bello, il postiglione di Lonjumeau”, che dà a Saint-Phar un’ultima opportunità per far sentire il suo famoso re sopracuto.

Dal 1894, ultima volta in cui è apparsa sulle tavole dell’Opéra Comique, sono trascorsi 125 anni e ora Le postillon de Lonjumeau ritorna alla Salle Favart in una coproduzione dell’Opera di Rouen. Il motivo di tale assenza risiede nel fatto che la parte del protagonista è estremamente impegnativa scenicamente e vocalmente, con un’estensione che raggiunge il re sopracuto. Sono pochi tenori del passato ad essersi cimentati e dopo Joseph Schmidt, Helge Roswaenge e Nicolai Gedda oggi affronta e vince la sfida Michael Spyres con eleganza e ironia. Gli acuti non sono un problema per il tenore del Missouri e vengono emessi in un continuum musicale sempre perfettamente in stile. La dizione del francese è ineccepibile, la presenza scenica irresistibile.
In «Assis au pied d’un hêtre» la parodia di Rossini si aggiunge alla parodia di Boïeldieu (il personaggio del postiglione discende infatti dal George Brown de La dame blanche), per non parlare del Rameau di Castor et Pollux di cui l’intraprendente Chapelou è acclamato interprete. È in questa metateatralità che sta l’interesse per questa opéra-comique che strizza l’occhio al vaudeville.
La sua messa in scena deve tener conto di questa dimensione burlesca e lo comprende bene e lo realizza altrettanto bene il regista Miche Fau, che, per di più, si ritaglia l’esilarante parte parlata di Rose, la femme de chambre di Madame de Latour, in crinolina rosa e smisurata parrucca bionda. Nella scenografia di Emmanuel Charles la scena è senza profondità, come la vicenda: un profluvio di fondali decorati in tinte acide e con pochi elementi stilizzati – la torta nuziale, la carrozza, il letto, un albero – che scendono dall’alto per sottolineare ancora di più la scelta anti-naturalistica in favore di quella favolistica. Se poi i coloratissimi costumi sono disegnati da Christian Lacroix si è certi di una loro ricchezza ed eleganza coniugate ironicamente.
A capo dell’orchestra de l’Opéra de Rouen Normandie, Sébastien Rouland offre una direzione piena di leggerezza ed eleganza della partitura che comprende tre preludi orchestrali di cui il terzo contiene un interessante assolo di clarinetto. Il tema della “ronde du postillon” si insinua spesso tra le righe e la parodia degli stili musicali riceve una godibile lettura.
Non è solo la parte di Chapelou/Saint-Phar ad esigere una prodezza vocale fuori del comune, anche quella di Madeleine/Madame de Latour è impegnativa e richiede una svelta presenza scenica che caratterizzi in maniera differente i due “personaggi”. Il giovane soprano Florie Valiquette ha i mezzi e la verve adatti, peccato che negli acuti ci sia una certa incertezza di intonazione che però non inficia l’esito complessivo della sua performance. Come Biju/Alcindor il baritono Laurent Kubla è efficace ma talora un po’ rozzo, mentre Franck Leguérinel si conferma ottimo caratterista quale Marquis de Corcy. Tutti dimostrano grande agio nel passare senza soluzione di continuità dal parlato al cantato.
«Ma la sorpresa proviene dalla maestria del tutto inaspettata per un compositore che assume la sua funzione di intrattenitore sotto Louis-Philippe ed è passato ai posteri per il suo balletto Giselle. La maestosa polifonia dei cori punteggia ogni atto, come il teatro di Rameau che Adam conosceva molto bene. Grazie al coro Accentus, assaporiamo quelli del “Joli mariage” o del “Mais quel bruit? “(I atto); plaudiamo allo sciopero dei coristi, precari dello spettacolo sotto Luigi XV, «Ah, quel tourment! Ah, quel affreux martyre! Chanter toujours, chanter à chaque instant!». Memorizziamo il disegno ritmico di quello che celebra l’ascesa sociale di bigam: “Il veut qu’on chérisse son règne nouveau” (II atto). Attualmente, le tragedie liriche e le opere-balletti di J.-P. Rameau sono rivisitate da audaci registi (Les Indes galantes di Clément Cogitore all’Opéra Bastille). Nel 1836, il talento di Adolphe Adam e dei suoi colleghi librettisti era quello di “mettere i baffi” nella Gioconda del teatro lirico barocco, con un tocco sapiente che questa produzione riesce a ripristinare». (Sabine Teulon Lardic)
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