foto © Federico Pitto
Euripide, Elena
regia di Davide Livermore
Genova, Teatro Ivo Chiesa, 4 ottobre 2020
Livermore firma un visionario spettacolo di arte totale
Le guerre sono stupide, dice Euripide, o addirittura inutili quando mancano i motivi per farle. Come la guerra più famosa di tutte, quella di Troia: dieci anni di sanguinosi massacri per un “vuoto miraggio”. Elena non è mai stata posseduta da Paride e “non ha mai visto le mura di Troia”: la dea Era ha creato al suo posto un “fantasma dotato di respiro e fatto con un pezzo di cielo” in tutto simile alla donna più bella dell’antichità mentre la vera Elena ha vissuto nascosta da Ermes in Egitto, ospite del re Proteo.
Questa la tesi dell’Elena di Euripide, la tragicommedia rappresentata nel 412 a.C. e ora sul palcoscenico del Teatro Nazionale di Genova nella traduzione di Walter Lapini e con la regia di Davide Livermore, terza tappa dopo due teatri all’aperto, quelli di Siracusa e di Verona. Il regista d’opera che conosciamo si accosta al classico greco con un senso di teatro totalizzantee: anche senza scomodare Wagner, quello che vediamo è un sorprendente esempio di Gesamtkunstwerk in cui scenografia, video, musica, recitazione, canto, danza e sopraffina tecnologia, tutto è coniugato in perfetta sincronia con la colonna sonora di Andrea Chenna, una musica profonda che cita cripticamente il “Lacrimosa” del Requiem di Mozart e più chiaramente La valse di Ravel, ma soprattutto il trascinante Fandango di Boccherini.
La vicenda che aveva interessato Hugo von Hofmannsthal e Richard Strauss per la loro Elena egizia, è rivissuta da un gruppo di attori superlativi – Laura Marinoni (Elena), Sax Nicosia (il marito Menelao) e Giancarlo Judica Cordiglia (Teoclimeno, il figlio di Proteo invaghito di Elena), solo per citare i tre principali, ma eccellenti sono anche quelli che danno vita agli altri personaggi e al coro, tutti assieme formando un cast omogeneo e magnificamente rodato.
L’acqua che inonda la scena (il Nilo? il mare su cui fuggire? lo Stige che accoglie i morti nel finale?) è uno specchio che riflette gli evocativi video della D-Wok, fa galleggiare il relitto della nave di Menelao, la tomba di Proteo o un obelisco abbattuto, e inzuppa i sontuosi costumi di Gianluca Falaschi. Il disegno luci di Antonio Castro completa la realizzazione di uno spettacolo unico nel suo genere e ancora più raro e prezioso in tempi come questi in cui lo stare insieme e fare arte è crudelmente mortificato da questo stramaledetto virus.

⸪