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Sofocle, Edipo re
Regia di Robert Carsen
Siracusa, Teatro Greco, 18 maggio 2022
Parole come pietre: Carsen debutta nella tragedia greca e crea uno spettacolo memorabile
Nel silenzio scandito da un funebre rintocco di timpani, il popolo di Tebe, ottanta tra corifei e comparse nei loro abiti neri occupano la “piazza” della polis portando degli stracci che depongono per terra: sono i cadaveri della peste che devasta la città. Vengono a chiedere aiuto al loro re, Edipo, che ha sconfitto la Sfinge dieci anni prima e che ora governa assieme alla moglie Giocasta e al cognato Creonte. Il re compare dall’alto di una monumentale scalinata che occupa tutta la larghezza dell’orchestra e che collega la reggia con la città. È di Radu Boruzescu l’unico elemento scenografico che è anche lo specchio della cavea con noi spettatori, così da chiudere tutti quanti in un cerchio da cui, come dal destino, non possiamo sfuggire.

In questo secondo spettacolo della stagione dell’INDA, Carsen si affida totalmente alla nuda parola del testo sofocleo, nella versione di Francesco Morosi, esaltato dalla drammaturgia di Ian Burton. La parola è personaggio, scenografia, anche musica: c’è una labile colonna sonora, ma è quasi impercettibile. Lode a Cosmin Nicolae per averla resa tale.

Parola, silenzio, e spazio: i corpi disegnano figure geometriche nere sul grigio chiaro delle pietre: i vertici di triangoli scaleni i tre personaggi reali, cerchi e semicerchi il coro, oppure lunghe file o grumi scuri, prima compatti poi disgregati. Non ci sono colori, solo il contrasto tra il nero dei costumi (di Luis F. Carvalho) e il bianco dei volti e delle mani che disegnano le studiate coreografie di Marco Berriel. E avrà l’effetto di un urlo nel silenzio l’apparizione del corpo nudo di Edipo solcato dal rosso del sangue sgorgante dagli occhi trafitti dalla fibbia della cintura della moglie/madre. È nel suo abito bianco che coprirà il corpo martoriato.

La transizione dalla luce del giorno al buio notturno è resa impercettibile dalle luci di Carsen stesso e Giuseppe di Iorio. A un certo momento, senza essercene accorti, siamo passati alle tenebre: come Edipo anche noi siamo ciechi e ci scostiamo al suo passaggio mentre nel finale sale i gradini della cavea verso un immaginario Citerione aiutandosi con il bastone appartenuto a Tiresia, l’altro cieco che però aveva “visto” tutto.

Giuseppe Sartori si immedesima in un Edipo per il quale lo svelamento della verità avviene con la suspense di un thriller e la sua traiettoria discendente negli abissi tocca con continuità tutti gli stati espressivi dell’emozione. Maddalena Crippa è una devastata Giocasta, il corpo piegato, la schiena al pubblico, la voce che prima era sicura, quasi arrogante, ora viene a mancare quando comprende la tremenda verità. Paolo Mazzarelli è un Creonte di grande nobiltà; Graziano Piazza uno straordinario Tiresia che dà i brividi quando Apollo si esprime tramite la sua voce. Eccellenti gli altri interpreti.
Innumerevoli applausi a scena aperta, quasi un quarto d’ora per quelli finali di un pubblico con moltissimi giovani totalmente soggiogati. Questa volta la catarsi è avvenuta.

⸪