Gioachino Rossini, Il barbiere di Siviglia
★★★☆☆
Lugano, LAC, 3 settembre 2018
(live streaming)
Il barbiere della Svizzera
Lugano Arte e Cultura è un centro culturale della città del Canton Ticino aperto al pubblico nel 2015. Il centro ospita il Museo d’Arte della Svizzera Italiana (MASI) e una versatile sala teatrale di 1000 posti con acustica modulabile secondo le esigenze. Dopo le prime stagioni teatrali e concertistiche la sala si è aperta ora all’opera unendo nello sforzo produttivo Lugano Musica, Lugano in Scena, la Radiotelevisione della Svizzera Italiana e la Fondazione Rossini di Pesaro che ha prestato gli spartiti originali dell’edizione critica curata da Alberto Zedda de Il barbiere di Siviglia.
Il risultato è uno spettacolo che sfrutta le celebrazioni dell’anno rossiniano (150 anni dalla morte) per puntare a un titolo di sicuro successo. La parte musicale è affidata a una formazione storicamente informata come “I barocchisti”, qui autoribattezzati “I classicisti”, e al suo direttore e fondatore Diego Fasolis, che a Lugano è di casa. Con l’uso di strumenti ottocenteschi e la scelta di un diapason a 430 Hz, la probabile frequenza utilizzata ai tempi di Rossini, si è potuto così restituire un Barbiere vicino a quello che si faceva all’epoca della sua composizione. La musica che ne deriva è caratterizzato da limpidezza e leggerezza di suono, timbri strumentali inediti (per la presenza di tre chitarre) e fioriture e improvvisazioni che però talora allentano il ritmo. Dilatati sono anche i tempi dei recitativi, mentre eseguiti con grande brillantezza e vivacità risultano i vorticosi concertati. Due gli strumenti a tastiera (un cembalo e un fortepiano) stereofonicamente piazzati ai lati opposti della buca orchestrale per realizzare gli accompagnamenti dei recitativi assieme alle corde ora percosse ora pizzicate, “alla spagnola”.
Solo in parte quello che si vede in scena risponde alle proposte innovative del Maestro Fasolis, rifugiandosi la regia di Carmelo Rifici in una collaudata tradizione, con i figuranti che saltellano sulle note puntate dell’ouverture. Le mossettine i passettini saranno una costante per tutto lo spettacolo. Le parrucche e i costumi settecenteschi di Margherita Baldoni sono senza particolare originalità. La scena è spesso affollata di figuranti in corsa e di idee inutili, come la “sirena” dorata che esce dalla fontana al momento di «All’idea di quel metallo» per suggerire a Figaro il travestimento da soldato ubriaco per poi dimenarsi con mosse da disco dance. Anche la casa di Rosina è assurdamente affollata di monache saltellanti e al tutto si deve aggiungere il tormentone dell’addormentato Ambrogio e della starnutente Berta tra un continuo spostamento di mobili e strutture luminose pop. La scenografia di Guido Buganza propone un grande ambiente piastrellato di azulejos fino al soffitto mentre alcune trovate sembrano fatte apposta per dimostrare le capacità tecniche del teatro, come l’apparizione dal pavimento della “Forza” nel finale primo. A tutto questo si aggiunge una regia video con frequenti riprese zenitali che aumentano il senso di mal di mare.
Vocalmente fresco e scenicamente dinamico è il Figaro di Giorgio Caoduro, si capisce che Rosina ne subisca una certa seduzione. Il baritono di Monfalcone è anche l’unico che realizzi i recitativi con gusto ed espressività. Specialista di questo repertorio, Edgardo Rocha è un Conte d’Almaviva stilisticamente appropriato che gratifica il pubblico delle agilità del rondò finale spesso ingiustamente tagliato, qui eseguito in modo un po’ routinier, forse facilitato dall’intonazione più bassa di quasi un quarto di tono che mitiga l’eventuale asprezza degli acuti. Il mezzosoprano Lucia Cirillo (Rosina) ha suoni un po’ fissi ed è in difficoltà nel registro basso. La cantante latita nel brio che cerca di compensare con un’affettata recitazione. Riccardo Novaro (Don Bartolo) è tutt’altro che «vecchio rimbambito», sembra invece un elegante e azzimato damerino e così il personaggio rimane poco caratterizzato seppure vocalmente elegante. Lo stesso succede per il Don Basilio di Ugo Guagliardo che però ne «La calunnia» realizza i trilli che è raro ascoltare. Alessandra Palomba dà carattere a Berta e si esibisce in avventurose variazioni nella sua aria, mentre il Fiorello di Yiannis Vassilakis è un bravo chitarrista, ma come cantante se la deve vedere con un temporaneo attacco di raucedine, o così si spera sia avvenuto.


⸪