∙
Antonio Cesti, La Dori
★★★☆☆
Innsbruck, Tiroler Landestheater, 26 agosto 2019
(registrazione video)
Tragicommedia degli equivoci e dei travestimenti
A 350 anni dalla morte del suo autore, ritorna ad Innsbruck, dove era stata creata nel 1657 al teatro di corte di Ferdinando Carlo Arciduca d’Austria, La Dori o vero La schiava fedele di Antonio Cesti. Il compositore aretino operò per cinque anni nella capitale del Tirolo dopo essere entrato nell’ordine francescano ed essere stato sotto la protezione dei Medici come cantante. E fu a Firenze che conobbe Giovanni Filippo Apolloni e Giacinto Andrea Cicognini, tra i maggiori librettisti del tempo, che gli avrebbero fornito vari testi da mettere in musica. Nel 1649 fu Egeo nel Giasone di Cavalli al San Cassiano di Venezia e due anni dopo debuttò come operista con Alessandro vincitor di sé stesso, sempre a Venezia, cui seguì subito dopo Cesare amante. Dopo i successi veneziani, L’Argia è il lavoro che lo fa conoscere a Innsbruck, prima dell’Orontea e de La Dori. Gli ultimi anni di vita il Cesti li passa presso la corte di Leopoldo d’Asburgo a Vienna dove presenta Il pomo d’oro nel 1668, un anno prima di morire, sembra, avvelenato.
Il libretto dell’Apolloni contiene un lunghissimo antefatto che dovrebbe chiarire una vicenda complessa anche per gli standard del tempo. Ne fa comunque un riassunto Alì/Dori nella scena ottava del primo atto: «Arsi in Egitto del Prence Oronte: egli di me s’accese, m’adorò, l’adorai; regio decreto lo fa sposo d’ Arsinoe, ei geme, io piango, mi dà la fede e parte, semiviva rimango. A notte oscura, con la scorta d’Erasto ch’Oronte mi lasciò, getto la gonna, da guerriero mi vesto, Alì m’appello. Mi dileguo da Menfi e quasi a volo all’Egitto m’ involo sovra alato vascello, spiego all’aura le vele; ecco un corsaro mi cinge il cuor di duolo, il piè d’acciaro. Fuggo per l’ onde a nuoto. Empia masnada mi fa prigione e in Nicea mi vende. Per suo schiavo pietosa Arsinoe mi prende, quivi son per sospetto qual vittima innocente condennata à morir, lei no ‘l consente. M’offre la libertà, mi guida in Persia, mi confida il suo cor candido, e bello. Vede Oronte, l’adora, anzi vien meno; eccoti nel mio seno d’amicizia e d’amor fiero duello. Oronte anch’io riveggio, che m’offre la fede, se ben morta mi crede, e che far deggio. Son schiava, amo l’amica, Oronte adoro, Tolomeo mi vuol morta, e pur non moro! Or pensa alla mia vita, e vedi come, speranza, gelosia, sdegno, e amore. Amicizia, catene, odij e martelli son del misero core d’amante prencipessa empi flagelli».
Nel suo racconto manca la parte in cui Tolomeo, figlio del re egiziano e fratello di Dori, è andato a cercarla a Babilonia dove si innamora di Arsinoe. Per starle vicino, si traveste da donna, facendosi chiamare Celinda e diventandone la nuova serva. Dopo che Dori e Tolomeo hanno lasciato l’Egitto, il re Termodonte d’Egitto ordina al tutore di Dori, Arsete, di andare a cercarli. Con questo anche Arsete finisce a Babilonia ed è qui che inizia l’opera.
Atto I. Dori, travestita da schiavo, è combattuta tra la sua lealtà ad Arsinoe e il suo amore per Oronte e decide di gettaersi nell’Eufrate. Il suo tutore Arsete lferma in tempo. La nutrice di Oronte, Dirce, corteggia senza successo Golo, il giullare del re. Oronte vuole che Dirce racconti ad Arsinoe del suo amore per la scomparsa Dori. Golo va da Artaserse e gli dice che Oronte non può sposare Arsinoe perché ama Dori. Dori racconta ad Arsete della sua fuga dall’Egitto, dei pirati e del suo arrivo a Babilonia, dove ha assistito alla fedeltà di Oronte e alla disperazione di Arsinoe. Dirce dice ad Arsinoe che Oronte non è disposto a sposarla. Arsinoe chiede a Dirce che lei farebbe qualsiasi cosa se solo lui la sposasse. Il principe Tolomeo, travestito da Celinda, simpatizza con Arsinoe per il suo amore infelice. Arsinoe è curiosa di sapere se Celinda ha un amante: Celinda lo conferma e quasi rivela di amare Arsinoe. L’eunuco Bagoa, che sorveglia il serraglio, rimprovera Celinda di stare nel giardino ma ne viene schiaffeggiato. Con un ballo di eunuchi termina l’atto.
Atto II. Il capitano di Oronte, Erasto, si lamenta che il serraglio abbia rinchiuso Celinda subito dopo essersi innamorato di lei. Improvvisamente appare Arsete, dicendo a Erasto, che conosce dall’Egitto, che era venuto a Babilonia in cerca di Dori. Alì promette alla sua amata Arsinoe che farà di tutto perché il matrimonio con Oronte possa avvenire lo stesso giorno. Rimasta sola, Dori si convince di non poter tradire Arsinoe solo per realizzare il proprio amore. Alì dà un anello a Golo perché la lasci riposare un poco. Nel sonno parla e Oronte crede di sentire la voce di Dori, ma Alì si presenta come un egiziano e afferma di essere stato il servitore di Dori. Artaserse appare e minaccia Oronte che perderà il suo regno se non sposerà Arsinoe. Alì fa sapere a Oronte che la morta Dori avrebbe benedetto il collegamento. Oronte sembra convinto ma piange disperatamente per Dori. Erasto supplica Celinda per il suo amore e Arsete osserva la scena e riconosce Tolomeo come Celinda. Alì cerca di nuovo di convincere Oronte a sposare Arsinoe e liberarla dal suo dolore. Oronte si arrende per scrivere una lettera d’amore ad Arsinoe, ma a causa di una mano ferita, detta la lettera ad Alì. Mentre Alì restituisce la penna e la lettera, Oronte riconosce la calligrafia di Dori ed è perplesso. Comanda ad Alì di dire ad Arsinoe che non è innamorato di lei. Dopo un’aria di lamento si addormenta. Nel suo sogno il fantasma della madre, Parisatide, appare e predice che un’ambita donna di Nicea sarà sua moglie e gli dice che deve rimanere fedele a suo padre e a Dori, ma questo sembra un requisito impossibile: come dovrebbe rimanere fedele a suo padre e sposare la principessa di Nicea se ha bisogno di rimanere fedele alla principessa egiziana Dori e alla sua promessa? Alì dice ad Arsinoe che Oronte lo ha cacciato via dicendo che nel suo cuore non c’è posto per Arsinoe. In preda alla disperazione, Arsinoe sviene. Mentre Alì si china su di lei per aiutarla, Oronte entra e sospetta che siano amanti. Alza la spada contro la presunta ragazza di Nicea. Celinda appare e la difende. Si rivela come Tolomeo. Nella confusione generale l’artto termina con un ballo di Mori.
Atto III. Artaserse si consulta con Erasto: Arsinoe è in prigione, Alì e Tolomeo dovrebbero essere giustiziati, ma Erasto si rifiuta di eseguire l’ordine di Oronte. È lodato per questa prudenza da Artaserse. Dirce vuole vendicarsi di Golo dopo che ha rifiutato il suo amore. Vuole dargli una pozione per dormire e raderlo tutto, ma all’improvviso scopre Alì che vuole avvelenarsi. Dirce cerca di impedirlo e scambia le pozioni. Arsete scopre Alì che gli dice che Artaserse eseguirà il matrimonio tra Oronte e Arsinoe quello stesso giorno. Chiede ad Arsete di consegnare una lettera a Oronte al momento della loro cerimonia di matrimonio, in modo che Arsete torni da lei e possano fuggire insieme (in realtà, Dori vuole uccidersi non appena Arsete la lascia). Bagoa annuncia a Tolomeo che Arsinoe è innamorata di lui. In prigione Arsinoe si lamenta che il desiderio di suo padre di sposarla l’ha portata ad essere schiava di Oronte. Oronte non le crede e la condanna a morte. Improvvisamente, Artaserse va da Arsinoe e le dice che sposerà Oronte lo stesso giorno. Oronte chiede a Erasto perché non ha ucciso Arsinoe. Artaserse attesta la sua innocenza davanti ad Oronte e, ancora una volta, chiede il matrimonio tra Oronte e Arsinoe e finalmente Oronte cede. Appare Arsinoe e cade in ginocchio davanti a Oronte. Mentre lui la aiuta ad alzarsi e le propone il suo amore, Areste consegna a Oronte la lettera di Dori. In essa scrive della sua disperazione e afferma di essersi uccisa ora che Oronte ha sposato Arsinoe. Oronte è in una profonda disperazione. Appare Golo e dice che lo schiavo Alì è morto pacificamente e che ha scoperto che Alì era in realtà una donna. Ha trovato una lettera sul suo petto. Arsete finalmente racconta la verità su Dori, come l’ha rapita a Nicea e l’ha cresciuta con sua moglie. È la principessa che Oronte avrebbe dovuto sposare secondo il contratto degli antichi re di Nicea e Persia. Oronte vuole andarsene disperato per la morte di Dori, ma incontra Dirce che dice di aver cambiato le pozioni in modo che Alì prendesse solo il sonnfero invece del veleno. Dori si rivela donna, Artaserse annuncia un doppio matrimonio: Dori e Arsinoe sposano l’erede persiano al trono Oronte e il principe egiziano Tolomeo.
Tutto questo è trattato da Cesti in modo piuttosto elegiaco, i numeri musicali sono quasi sempre lamenti amorosi, il dramma è assente ed è sostituito dal comico della vecchia Dirce, del servo Golo e dell’eunuco Bagoa. I due travestimenti – di Dori come lo schiavo Alì, di Tolomeo come la serva Celinda – non hanno mai nulla di grottesco che possa essere sfruttato e virato in comicità.
Il lavoro ebbe grande successo: furono stampati ben 27 libretti tra il 1661 e il 1689, con versioni diverse, tagli e aggiunte, presenza o assenza di un prologo. È indicativo il fatto che nel tempo furono i recitativi a essere ridotti e le arie aumentate per creare delle scene con aria: La Dori si adattava ai gusti che cambiavano nell’opera.
L’alternanza di ariosi e arie è realizzata magistralmente da Ottavio Dantone alla testa della sua Accademia Bizantina in questa produzione delle Innsbrucker Festwochen für Alte Musik. Mancando una vera drammaturgia musicale, il direttore si concentra sui momenti più lirici che qui non mancano come in «Speranze fermate» di Oronte (II, 11) che ricorda l’aria di Giasone «Delizie, contenti» del concorrente Cavalli, e molto lavoro è fatto per evidenziare i contrasti e l’articolazione del fraseggio. Le oltre cinque ore originali vengono ampiamente ridotte eliminando il prologo, riducendo i recitativi e dimezzando molte arie.
Alla prima storica il Cesti stesso cantò nella parte di Arsete e i ruoli femminili furono interpretati da castrati. Qui al contrario Tolomeo/Celinda è un soprano. Ovviamente la vecchia nutrice è un tenore come di prammatica nel teatro in musica di questo periodo.
Efficace ma senza punte di eccellenza il folto cast impiegato: il mezzosoprano Francesca Ascioti (Dori), il controtenore Rupert Enticknap (Oronte), il basso Federico Sacchi (Artaserse), il soprano Francesca Lombardi Mazzulli (Arsinoe), il soprano Emőke Baráth (Tolomeo/Celinda), il tenore Bradley Smith (Arsete), il basso-baritono Pietro di Bianco (Erasto), il tenore Alberto Allegrezza (Dirce), il basso Rocco Cavalluzzi (Golo) e il controtenore Konstantin Derri (Bagoa).
Le scene di Emanuele Sinisi e i costumi di Anna Maria Heinrich completano coerentemente la visione registica di Stefano Vizioli che con pochi tocchi – il filo dei panni stesi, un teschio, i saltimbanchi e i lazzi della commedia dell’arte – allude ironicamente ad archetipi teatrali di altri tempi.
⸪