Così fan tutte

foto © Silvia Lelli

Wolfgang Amadeus Mozart, Così fan tutte

Torino, Teatro Regio, 12 febbraio 2021

★★★☆☆

(video streaming)

I Muti fan tutto

Così fan tutte è stata l’opera che ha scelto il Teatro alla Scala per rompere il silenzio dopo la chiusura da Covid-19. Ora il Teatro Regio fa lo stesso registrando anche lui lo spettacolo a porte chiuse per trasmetterlo in streaming in rete, chissà perché, solo un mese dopo.

L’opera non è che mancasse da molto tempo a Torino: nel 2018 c’era stata la produzione Fasolis/Scola che riprendeva quella del 2012, ma questa volta l’occasione è il debutto nel teatro subalpino di Riccardo Muti, che porta con sé la produzione, firmata dalla figlia Chiara, che aveva inaugurato la stagione 2018-19 del Teatro di San Carlo di Napoli. Il fatto che lo spettacolo fosse coprodotto con la Wiener Staatsoper faceva sospettare che non sarebbe stata una lettura rivoluzionaria e infatti l’allestimento è adagiato in una scontata realizzazione tradizionale altrettanto datata quanto quella del Così di Milano, che risaliva a quarant’anni fa.

Lo spettacolo è stato adattato per rispettare i protocolli dell’emergenza pandemica, ma resta una recita da palcoscenico registrata. Nella sua lettura registica Chiara Muti aggiunge manate, pedate, cadute, corse, corsette, mossette, saltelli, lazzi e cachinni, scene e scenette in controcampo; danzatori, mimi e figuranti riempiono la scena in un horror vacui che vuole supplire all’assenza di idee registiche forti. I momenti topici – «Soave sia il vento», «Come scoglio», «Un’aura amorosa»… – sono realizzati nella maniera più banale con i cantanti schierati al proscenio verso il pubblico inesistente. La inverosimile vicenda di «scherzi pericolosi» viene letta al grado zero senza essere turbata da una visione più problematica e attuale. Nelle scene di Leila Fteita Napoli è un ambiente in un total white lucido e metallico, i letti delle sorelle sono due barche con vele-zanzariere, il fondo della scena vorrebbe ricordare la superficie del mare ma la totale assenza di profondità lo fa sembrare un muro di vetrocemento. Nel corso dell’azione compariranno una giostra, una mongolfiera, un carretto dello zucchero filato, bacchette e nastri della ginnastica ritmica, siepi di un giardino all’italiana popolato da personaggi mascherati e con le corna (ovviamente); dalle balconate vengono gettati coriandoli. Non ci si fa mancare proprio nulla. Con i costumi di Alessandro Lai, un tripudio di veli svolazzanti, e le luci di Vincent Longuemare, che rendono efficacemente il trascolorare del tempo, è evidente il richiamo ad atmosfere strehleriane.

Il Maestro è quasi sempre presente nelle inquadrature: se non è la sua nuca torreggiante sull’orchestra posta a livello della platea, è il suo faccione a giganteggiare in sovraimpressione sullo schermo. Classica e tradizionale anche la sua lettura, ma invece della figlia regista, che accumula gli effetti, qui Muti lavora per sottrazione, i tempi sono allargati, le pause dilatate, il suono è pulito, sempre legato. Tutto è venato di malinconia fino al finale vissuto con grande distacco dai protagonisti. Quella che manca è la tensione teatrale. Curati i recitativi, che si legano con naturalezza ai numeri musicali: delle tre opere mozartiane di Da Ponte il Così fan tutte è quello che ne ha di più, 31 invece dei 28 de Le Nozze e dei 26 di Don Giovanni, ma meno sono le arie solistiche e più gli insiemi vocali, cosa sorprendente se si pensa che Così ha solo sei personaggi. Il cast tutto italiano ha la punta di maggior spicco del reparto femminile in Eleonora Buratto, sontuosa Fiordiligi e mozartiana di elegante musicalità e tecnica ineccepibile. Bella ma non sempre ben proiettata la voce del mezzosoprano Paola Gardina, già Dorabella al San Carlo. La disinibita Despina, che mette in pratica la sua filosofia con due amanti alla volta, ha la voce e la figura briosa di Francesca di Sauro. Efficaci ma non particolarmente personalizzati il Guglielmo di Alessandro Luongo e il Ferrando di Giovanni Sala impegnati dalla regia in una ipercinetica attività. Come sempre Marco Filippo Romano, anche lui proveniente dalla produzione del San Carlo, fornisce una lezione di recitazione e interpretazione di prim’ordine per chiarezza di espressione e spirito, ma è troppo marcato dalla regia il trattamento da opera buffa del personaggio di Don Alfonso che contrasta con il suo ruolo di “cinico filosofo” della situazione.

La “stagione” in streaming del teatro torinese continuerà prossimamente con un altro classico del repertorio: L’elisir d’amore di Donizetti. Di certo non è venuto in mente alla factotum commissaria straordinaria che forse questo era il momento buono per sperimentare qualcosa di meno scontato.

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