Der Freischütz

 

Carl Maria von Weber, Der Freischütz

★★☆☆☆

Berlino, Konzerthaus, 18 giugno 2021

(diretta streaming)

Duecento anni dopo Der Freischütz diventa un eco-thriller

Il 18 giugno 1821 alla Königlichen Schauspielhaus di Berlino veniva presentato con esito trionfale un nuovo lavoro del trentacinquenne compositore Carl Maria von Weber, Der Freischütz. Con questa opera romantica era nata l’opera nazionale tedesca.

Duecento anni dopo la stessa sala, che ora si chiama Konzerthaus, si presenta in una nuova veste: l’orchestra è sul palcoscenico, l’azione si svolge nella platea svuotata delle sedute, il pubblico è sulla piazza del Gendarmenmarkt debitamente distanziato o a casa davanti ai monitor per lo streaming in diretta.

Quella di Carlus Padrissa e de La Fura dels Baus, autori della messa in scena, è una lettura lineare e narrativa e sfrutta i tipici elementi della compagnia catalana già fin dall’ouverture dove i corpi degli acrobati formano un cervo al galoppo con un uomo legato sopra. Un cacciatore abbatte l’animale e libera l’uomo: questa era la punizione dei bracconieri, ci racconterà Kuno. Quello della difesa della natura è il tema scelto dal regista: i fucili dei cacciatori sono tubi di vetro con cui spegnere gli incendi e alla fine l’Eremita comparirà sospeso sopra una vasca trasparente piena di rifiuti di plastica in cui cerca inutilmente di nuotare una “sirena” – riferimento alla Undine di E.T.A. Hoffmann presentata in questa stessa sala nel 1816 e favorevolmente recensita dallo stesso Weber? Chissà poi che il Samiel-pipistrellone non sia un riferimento alle possibili origini del Covid-19… Per coerenza Ottokar ha un che di draculesco.

Il regista descrive la produzione come «un viaggio alle radici dell’opera, dove il mito, la storia e la realtà attuale della foresta si incontrano. Purtroppo, le foreste e i loro interi ecosistemi stanno morendo. Il cambiamento climatico e l’interferenza umana le stanno spazzando via, attraverso il calore, la siccità, gli incendi, le infestazioni di termiti e gli attacchi dei funghi. Un terzo della Germania è coperto da foreste, per un totale di 11,4 milioni di ettari e per secoli i tedeschi si sono identificati con le loro foreste, in termini mitologici e persino spirituali. Le foreste stanno morendo e con loro anche una parte dell’anima tedesca. Nella nostra nuova produzione scaviamo a fondo in questo inquietante tema socio-ecologico. Nel processo, la Konzerthaus diventa un’installazione di miti».

Teli fluttuanti su cui vengono proiettate immagini “suggestive” trasformano la sala in uno spazio a navate che quando canta il coro ha lo stesso effetto di riverberazione del suono di una chiesa. L’ambiente è fin dall’inizio immerso in una scura atmosfera, la casa di Agathe essendo l’unico momento di luminosità dello spettacolo. Assieme alle nebbioline, le proiezioni sono l’elemento significativo di questo allestimento, ma raggi laser e luci verdi non bastano e la scena della Tana del lupo è una delle più deludenti mai viste. Gli zaini dei cacciatori impilati uno sull’altro con le teste di cervo sanguinolenti formano i muri della casa di Agathe, anche gli immacolati grembiuli delle damigelle saranno alla fine macchiati di sangue. Che a un povero figurante tocchi poi fare la parte del cane Nero con la lingua penzolante è una cosa inutile e imbarazzante.

Tagliate le danze del primo atto e accorciati i dialoghi, Christoph Eschenbach non riesce a evitare qualche scollamento tra orchestra e coro data la sua strana disposizione a fianco dell’orchestra. Sovente gli assoli sono eseguiti con lo strumento “in scena”: il violoncellio accanto ad Agathe per la sua aria «Und ob die Wolke sie verhülle»; il clarinetto chiamato dalla spigliata Ännchen («Suona qualcosa») per accompagnarla in «Kommt ein schlanker Bursch gegangen».

Jeanine de Bique è una liricissima Agathe, ma i suoi fiati sono messi alla prova dai tempi catatonici del direttore e la dizione non è il suo forte. Anna Prohaska è la stessa recente Ännchen di Monaco, qui particolarmente vivace e non sempre precisa. Benjamin Bruns è un tenore di voce chiara che non riesce a definire vocalmente il personaggio di Max qui costantemente rabbuiato. Molto più incisivo il Kaspar di Christof Fischesser e soprattutto quella simpaticissima canaglia di Kilian, uno spassoso Viktor Rud. Franz Hawlata (Kuno) utilizza al meglio mezzi vocali purtroppo usurati mentre Mikhail Timoshenko è un Ottokar vocalmente glorioso.

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