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Gioachino Rossini, Il barbiere di Siviglia
Parigi, Opéra Bastille, 25 settembre 2014
(registrazione video)
Il barbiere del condominio
Questa produzione de Il barbiere di Siviglia di Damiano Michieletto era nata a Ginevra nel 2010 ed è del tutto diversa dalla sua precedente, ripresa recentemente a Firenze. Qui l’elemento dominante è la scenografia di Paolo Fantin: una strada della Siviglia di oggi su cui si affacciano un bar di quartiere e un condominio popolare di quattro piani. Oltre che alla Spagna di Almodóvar c’è anche l’atmosfera di un campiello veneziano in questa facciata punteggiata da finestre da cui si spia una varia umanità. Ruotando su sé stessa la struttura mostra le camere interne di una immensa casa di bambole – e qui semmai si pensa al Perec di La vie mode d’emploi! È risolto così con genialità il passaggio da esterno a interno.
È questa rotazione, addirittura vorticosa nel finale primo, e la concitazione su e giù per scale e corridoi a restituire visivamente la frenesia musicale di questo capolavoro. La regia di Michieletto è piena di gustosi particolari, come i muratori che costruiscono il muro solo minacciato nel libretto da Bartolo il quale fa poi sigillare con il nastro le finestre, o la calunnia di Basilio, un vero e proprio volantinaggio diffamatorio nei confronti del Conte. Nelle stanze senza la facciata vediamo al piano terreno la portineria, la stanza di lavoro di Bartolo con i suoi faldoni, Rosina nella sua stanzetta da adolescente con il poster di Johnny Depp sul muro e i peluche sul letto. Al primo piano la cucina e il tinello; al secondo Figaro fa la messa in piega a una cliente e Berta riceve il suo stagionato amante. Ai balconi c’è chi stende i panni, che poi ritira frettolosamente all’arrivo del temporale, fuma una sigaretta, inveisce contro i rumorosi passanti o semplicemente osserva il traffico di auto, moto e biciclette. Nella ripresa video il regista utilizza spesso lo split screen per concentrare l’attenzione sulle diverse scene che procedono in parallelo. In questo Michieletto si dimostra un maestro nel gestire l’azione e la recitazione di cantanti e figuranti, tutto sempre sul ritmo della musica.
Musica che però con la bacchetta di Carlo Montanaro non ha quel brio che si vorrebbe: certi tempi sono esasperatamente lenti, ci sono continui rallentandi, i crescendi risultano mosci e non sempre a fuoco sono i concitati ensemble. La musica difetta nella brillantezza e anche il temporale manca di efficacia. Neppure gli interpreti si fanno notare per particolare eccellenza. Simpatico e di vivace presenza scenica è il Figaro di Dalibor Jenis, che però sul piano vocale evidenza fiati corti, difficoltà con la dizione e rigide agilità. Però suona la chitarra nella serenata del primo atto! Come Lindoro/Conte d’Almaviva René Barbera inizia maluccio con un’intonazione vagante e agilità imprecise. Poi migliora, ma per prudenza rinuncia saggiamente al rondò finale «Cessa di più resistere». Il tenore messicano punta tutto sugli acuti e il pubblico abbocca. Il mezzo soprano Karine Deshayes è poco sonora nei registri medio e basso – si sentono quasi solo gli acuti – ed è un peccato perché sulla carta sarebbe una buona Rosina. Orlin Anastassov delinea un Basilio efficace ma certo non memorabile. Tiago Matos come Fiorello e Cornelia Oncioiu quale spassosa Berta invaghita di Figaro completano una distribuzione nel complesso deludente e infatti nelle successive riprese della produzione all’Opéra Bastille verranno tutti rimpiazzati ad eccezione di Carlo Lepore, bella voce di basso e punta di diamante del cast come espressivo Bartolo.
In tono con la lettura del regista il finale: i due novelli sposi partono a bordo di una moto nuova fiammante, lei con un giubbotto di pelle (gustosi come sempre i costumi di Silvia Aymonino) appena recapitato da un corriere Amazon.
⸪