Guerra e pace

Sergej Prokof’ev, Guerra e pace

Monaco di Baviera, Nationaltheater, 5 marzo 2023

★★★★★

(video streaming)

Due russi e la guerra

Il 5 marzo 1953 morivano nello stesso giorno Sergej Prokof’ev e Josif Stalin. Esattamente 70 anni dopo va in scena a Monaco di Baviera l’ultima sofferta opera di Sergej Prokof’ev, lasciata incompiuta e con almeno quattro diverse versioni con cui avere a che fare. Iniziata nel 1940 al suo ritorno in Russia dagli Stati Uniti, Guerra e pace fu destinata in parte a compiacere il paese che lo riaccoglieva e a esaltarne il patriottismo ispirando i russi a difendere la patria e a farli credere nella forza militare della nazione: soprattutto la seconda parte ai suoi tempi fu un mezzo di efficace propaganda stalinista.

Quella stessa esaltazione patriottica è ora altamente problematica adesso che la Russia da vittima dell’invasione nazista è diventata l’invasore di un altro paese. Molto sofferta è stata quindi la scelta di produrre questo lavoro: il sovrintendente Serge Dorny, il diretto Vladimir Jurovskij e il regista Dmitrij Černjakov hanno dovuto affrontare problemi esterni – gestione di un cast che proviene da tutte le repubbliche ex-sovietiche, Ucraina compresa – e ripensamenti personali, sollevando preoccupazioni riguardo alla presentazione di un’opera che ha al centro il militarismo russo mentre le bombe russe cadono sull’Ucraina. Jurovskij, moscovita ma con nonni ucraini, è arrivato ad affermare che la produzione è una denuncia dell’attuale regime russo e che non lavorerebbe mai con chi sostiene apertamente la guerra, ma che «ci sono molte persone che si trovano in una zona grigia, tra l’opporsi pubblicamente alla guerra e la paura della loro vita, del benessere delle loro famiglie, di perdere il lavoro». Alcuni degli artisti russi temono che la loro carriera possa essere danneggiata all’estero o che esibendosi in una produzione contro la guerra possano avere problemi in patria. Per questo gli artisti hanno rifiutato ogni intervista per non cadere nella trappola tesa dai giornalisti. Meno che mai viene loro richiesto di fare una pubblica denuncia contro la guerra.

In questa produzione il team creativo ha apportato modifiche per attenuare qualsiasi senso di patriottismo russo o di sentimento a favore della guerra, affermando che è importante continuare a mettere in scena opere russe anche quando la guerra continua. Nella seconda parte, la più problematica, sono accorciate le scene più nazionalistiche, eliminato il finale trionfalistico e sostituito con una musica senza parole: una sardonica fanfara di ottoni in scena subito dopo le parole di Kutusov per dare un diverso tono alla conclusione dell’opera. 

L’impianto scenografico di Černjakov è costituito da un elegante salone, un luogo fortemente iconico per la Russia: la “Sala delle colonne” della Casa dell’Unione – sede di cerimonie ufficiali, funerali, balli, processi, concerti, sfilate di moda… Jurovskij racconta di aver ascoltato qui il padre dirigere la Prima Sinfonia di Prokof’ev! È un ambiente chiuso in cui tutti i personaggi sono vittime di una qualche situazione tragica: non si tratta di rifugiati o di sfollati, bensì di un insieme di persone inserite in un esperimento sociale. Vestiti nei modi più vari, dormono accampati su materassi per terra, lettini da campo, sedie pieghevoli. Dall’esterno si sentono scoppi, sparatorie, grida. In alto uno striscione augura “Buon anno nuovo” ma nella seconda parte, quando i grandi lampadari di cristallo sono coperti da un velo nero, questo viene sostituito da un altro sbilenco e con lettere mancanti su cui si riesce a leggere a malapena “Lunga vita al grande invincibile Stalin…” affiancato da un didascalico “La battaglia di Borodino. Gioco di guerra patriottico”. Si tratta infatti di giochi, di finzione: i balli della prima parte hanno come personaggi gli stessi sfollati che si sono costruiti ventagli e tiare con la carta di giornale e giocano a fare gli aristocratici; la battaglia di Borodino è simulata con armi finte e finte esecuzioni. Ma se le vicende sono ricostruite nella finzione, così non è delle emozioni, che qui hanno la stessa intensità e Černjakov riesce come sempre a gestire in maniera esemplare i personaggi con le loro psicologie così come i movimenti delle masse. 

Con oltre 70 personaggi Guerra e pace è una formidabile sfida per chi la mette in scena. Le 9 settimane di prova, in confronto alle usuali sei, lo dimostrano, ma hanno avuto come risultato uno spettacolo di eccezione, dove la direzione di Jurovskij a capo dell’Orchestra di Stato Bavarese ha reso al meglio la musica fascinosa di Prokof’ev, che alterna momenti di intima liricità a scoppi tellurici a languidi e tristi valzerini. Una colonna sonora di grande qualità per un autore di fortunate musiche per il cinema. Assieme al fantastico coro del teatro, praticamente sempre in scena, un cast sterminato di altissima qualità in cui si fa fatica a identificare almeno le eccellenze più evidenti come ad esempio il tenore moldavo Andreij Žilikhovskij, tormentato principe Andreij Bolkonski; il soprano ucraino Olga Kulchynska, sensibile Nataša; l’armeno Arsen Soghomonyan, dal bellissimo timbro tenorile, nella sofferta parte di Besukhov; l’autorevole basso russo Dmitrij Ul’ianov, Kutusov; il Napoleone del basso-baritono islandese Tómas Tómasson; il basso rumeno-ungherese Bálint Szabó nella doppia parte del generale Belliar e del maresciallo Davout; il seducente mezzosoprano russo Victoria Karkacheva come contessa Elena; il giovane e sfrontato Kuragin del tenore uzbeco Behzod Davronov e poi glorie di ieri quali Violeta Urmana, Marija Dmitrijevna Akhrossimova e Sergej Leiferkus, principe Bolkonskij.

Ora che lo spettacolo è andato in scena i timori sembravano infondati: nella lettura del regista la denuncia della guerra di invasione è chiara oltre ogni dubbio. E il pubblico lo ha capito e salutato lo spettacolo con grandiose meritatissime ovazioni.

 

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