Mira Meldel’son-Prokof’eva

Guerra e pace

Sergej Prokof’ev, Guerra e pace

Monaco di Baviera, Nationaltheater, 5 marzo 2023

★★★★★

(video streaming)

Due russi e la guerra

Il 5 marzo 1953 morivano nello stesso giorno Sergej Prokof’ev e Josif Stalin. Esattamente 70 anni dopo va in scena a Monaco di Baviera l’ultima sofferta opera di Sergej Prokof’ev, lasciata incompiuta e con almeno quattro diverse versioni con cui avere a che fare. Iniziata nel 1940 al suo ritorno in Russia dagli Stati Uniti, Guerra e pace fu destinata in parte a compiacere il paese che lo riaccoglieva e a esaltarne il patriottismo ispirando i russi a difendere la patria e a farli credere nella forza militare della nazione: soprattutto la seconda parte ai suoi tempi fu un mezzo di efficace propaganda stalinista.

Quella stessa esaltazione patriottica è ora altamente problematica adesso che la Russia da vittima dell’invasione nazista è diventata l’invasore di un altro paese. Molto sofferta è stata quindi la scelta di produrre questo lavoro: il sovrintendente Serge Dorny, il diretto Vladimir Jurovskij e il regista Dmitrij Černjakov hanno dovuto affrontare problemi esterni – gestione di un cast che proviene da tutte le repubbliche ex-sovietiche, Ucraina compresa – e ripensamenti personali, sollevando preoccupazioni riguardo alla presentazione di un’opera che ha al centro il militarismo russo mentre le bombe russe cadono sull’Ucraina. Jurovskij, moscovita ma con nonni ucraini, è arrivato ad affermare che la produzione è una denuncia dell’attuale regime russo e che non lavorerebbe mai con chi sostiene apertamente la guerra, ma che «ci sono molte persone che si trovano in una zona grigia, tra l’opporsi pubblicamente alla guerra e la paura della loro vita, del benessere delle loro famiglie, di perdere il lavoro». Alcuni degli artisti russi temono che la loro carriera possa essere danneggiata all’estero o che esibendosi in una produzione contro la guerra possano avere problemi in patria. Per questo gli artisti hanno rifiutato ogni intervista per non cadere nella trappola tesa dai giornalisti. Meno che mai viene loro richiesto di fare una pubblica denuncia contro la guerra.

In questa produzione il team creativo ha apportato modifiche per attenuare qualsiasi senso di patriottismo russo o di sentimento a favore della guerra, affermando che è importante continuare a mettere in scena opere russe anche quando la guerra continua. Nella seconda parte, la più problematica, sono accorciate le scene più nazionalistiche, eliminato il finale trionfalistico e sostituito con una musica senza parole: una sardonica fanfara di ottoni in scena subito dopo le parole di Kutusov per dare un diverso tono alla conclusione dell’opera. 

L’impianto scenografico di Černjakov è costituito da un elegante salone, un luogo fortemente iconico per la Russia: la “Sala delle colonne” della Casa dell’Unione – sede di cerimonie ufficiali, funerali, balli, processi, concerti, sfilate di moda… Jurovskij racconta di aver ascoltato qui il padre dirigere la Prima Sinfonia di Prokof’ev! È un ambiente chiuso in cui tutti i personaggi sono vittime di una qualche situazione tragica: non si tratta di rifugiati o di sfollati, bensì di un insieme di persone inserite in un esperimento sociale. Vestiti nei modi più vari, dormono accampati su materassi per terra, lettini da campo, sedie pieghevoli. Dall’esterno si sentono scoppi, sparatorie, grida. In alto uno striscione augura “Buon anno nuovo” ma nella seconda parte, quando i grandi lampadari di cristallo sono coperti da un velo nero, questo viene sostituito da un altro sbilenco e con lettere mancanti su cui si riesce a leggere a malapena “Lunga vita al grande invincibile Stalin…” affiancato da un didascalico “La battaglia di Borodino. Gioco di guerra patriottico”. Si tratta infatti di giochi, di finzione: i balli della prima parte hanno come personaggi gli stessi sfollati che si sono costruiti ventagli e tiare con la carta di giornale e giocano a fare gli aristocratici; la battaglia di Borodino è simulata con armi finte e finte esecuzioni. Ma se le vicende sono ricostruite nella finzione, così non è delle emozioni, che qui hanno la stessa intensità e Černjakov riesce come sempre a gestire in maniera esemplare i personaggi con le loro psicologie così come i movimenti delle masse. 

Con oltre 70 personaggi Guerra e pace è una formidabile sfida per chi la mette in scena. Le 9 settimane di prova, in confronto alle usuali sei, lo dimostrano, ma hanno avuto come risultato uno spettacolo di eccezione, dove la direzione di Jurovskij a capo dell’Orchestra di Stato Bavarese ha reso al meglio la musica fascinosa di Prokof’ev, che alterna momenti di intima liricità a scoppi tellurici a languidi e tristi valzerini. Una colonna sonora di grande qualità per un autore di fortunate musiche per il cinema. Assieme al fantastico coro del teatro, praticamente sempre in scena, un cast sterminato di altissima qualità in cui si fa fatica a identificare almeno le eccellenze più evidenti come ad esempio il tenore moldavo Andreij Žilikhovskij, tormentato principe Andreij Bolkonski; il soprano ucraino Olga Kulchynska, sensibile Nataša; l’armeno Arsen Soghomonyan, dal bellissimo timbro tenorile, nella sofferta parte di Besukhov; l’autorevole basso russo Dmitrij Ul’ianov, Kutusov; il Napoleone del basso-baritono islandese Tómas Tómasson; il basso rumeno-ungherese Bálint Szabó nella doppia parte del generale Belliar e del maresciallo Davout; il seducente mezzosoprano russo Victoria Karkacheva come contessa Elena; il giovane e sfrontato Kuragin del tenore uzbeco Behzod Davronov e poi glorie di ieri quali Violeta Urmana, Marija Dmitrijevna Akhrossimova e Sergej Leiferkus, principe Bolkonskij.

Ora che lo spettacolo è andato in scena i timori sembravano infondati: nella lettura del regista la denuncia della guerra di invasione è chiara oltre ogni dubbio. E il pubblico lo ha capito e salutato lo spettacolo con grandiose meritatissime ovazioni.

 

Pubblicità

Guerra e pace

Sergej Prokofiev, Guerre et paix

★★★★★

Genève, Grand Théâtre, 13 septembre 2021

 Qui la versione italiana

Calixto Bieito transforme l’opéra épique de Prokofiev en un cauchemar surréaliste et angoissant

Ouverture de saison grandiose à l’Opéra de Genève : l’une des œuvres les plus monumentales du XXe siècle y est montée avec des moyns on ne peut plus importants. « Une inauguration plus grande que nature », déclare Christopher Park, Rédacteur/Médiateur culturel au GTG. Qu’il s’agisse de la direction d’orchestre, de la mise en scène ou de la distribution, le théâtre du lac Léman réunit une équipe offrant une représentation mémorable – et c’est la première fois que l’opéra de Prokofiev est joué en Suisse.

« Paix et guerre » : c’est plutôt ainsi que cette version du chef-d’œuvre de Tolstoï aurait dû être intitulée ! Dans le livret, écrit par le compositeur lui-même et son épouse Mira Mendelson-Prokofieva, la première partie est consacrée aux événements de la paix, avec l’histoire d’amour contrastée du prince Andrei Bolkonsky pour la jeune Nataša Rostova, âgée de 15 ans, tandis que la seconde nous plonge dans la bataille de Borodino, au cours de laquelle s’affrontent l’armée française dirigée par Napoléon Bonaparte et l’armée impériale russe commandée par le général Kutusov…

la suite sur premiereloge-opera.com

Guerra e pace

Sergej Prokof’ev, Guerra e pace

Ginevra, Grand Théâtre, 13 settembre 2021

★★★★★

bandiera francese.jpg Ici la version française

L’epica opera di Prokof’ev diventa un angoscioso incubo surrealista con Calixto Bieito

Grandiosa apertura di stagione quella del teatro dell’opera di Ginevra: uno dei lavori più monumentali del Novecento viene prodotto senza lesinare sui mezzi. «Une inauguration plus grande que nature» afferma Christopher Park, Rédacteur/Médiateur culturel del GTG: sia che si tratti della direzione d’orchestra, della messa in scena, oppure del cast, il teatro sul lago Lemano mette in campo una squadra che conduce a uno spettacolo memorabile – ed è la prima volta che l’opera di Prokof’ev viene rappresentata in Svizzera.

Pace e guerra, così dovrebbe più propriamente intitolarsi questa versione del capolavoro di Lev Tolstoj: nel libretto, steso dal compositore stesso e dalla moglie Mira Mendel’son-Prokof’eva, si ha una prima parte dedicata alle vicende di pace con la contrastata storia d’amore del principe Andrej Bolkonskij per la quindicenne Nataša Rostova, mentre la seconda ci immerge nella battaglia di Borodino, in cui si scontrano l’esercito francese condotto da Napoleone Bonaparte e quello imperiale russo comandato dal generale Kutusov.

L’ardua impresa di trasformare il complesso romanzo, in cui le vicende private della nobiltà russa e le vicende belliche sono strettamente intrecciate, viene risolta dal compositore delineando tredici quadri separati da nette cesure. Nei primi sette, che formano la prima parte, nella musica abbondano i momenti melodici e i richiami di danze. La seconda vede il coro entrare massicciamente per dare un tono epico a una vicenda, quella della campagna di Napoleone del 1812 che viene rivissuta da Prof’ev come la scampata invasione nazista del 1941. Questa è anche la parte più rimaneggiata dal compositore per le interferenze politiche che imponevano una maggiore enfasi sulla partecipazione russa, soprattutto sul personaggio di Kutusov che doveva diventare un chiaro omaggio a Stalin.

L’aspetto smaccatamente ideologico dell’opera viene messo in discussione dalla lettura di Calixto Bieito, che con la drammaturgia di Beate Breidenbach e la scenografia di Rebecca Ringst cita, nella prima parte, l’atmosfera surreale di El ángel exterminador, il film del 1962 di Luis Buñuel in cui gli invitati a una serata di dopo teatro non riescono a lasciare la casa dei loro ospiti. Qui i nobili di San Pietroburgo, invitati al ballo alla vigilia del capodanno del 1810, negli eleganti abiti contemporanei di Ingo Krügler hanno un nemico invisibile, sconosciuto, incerto. Dopo Napoleone e Hitler qual è la minaccia di oggi? Forse sono loro stessi l’abisso di cui aver paura, devono temere l’enigma della loro umanità.

Nell’allestimento di Bieito – il regista è per la prima volta nel teatro ginevrino – la scena riprende fedelmente il boudoir di Maria Aleksandrovna, nata Maria d’Assia-Darmstadt, moglie dell’imperatore Alessandro II con gli stucchi dorati, le poltrone e i sofà in velluto rosso, le cariatidi dai seni opimi, il grande specchio ovale sulla parete di fondo, che qui è uno schermo su cui vengono proiettate le immagini video di Sarah Derendinger e successivamente diventa uno squarcio sull’esterno fumante di rovine. Come nel film di Buñuel i nobili passano il tempo in futili conversazioni, ignari del mondo là fuori su cui incombe una cupa minaccia, ed è quasi solo un caso che i mobili accatastati per le dispute che mettono i personaggi uno contro l’altro si trasformino in barricate all’annuncio del colonnello Denisov alla fine del settimo quadro: «Un corriere da Vilno: Napoleone ha schierato le truppe alla frontiera. Sembra che sia guerra».

Fino a quel momento le schermaglie si erano limitate a duelli minacciati, a progetti di rapimento, a tentativi di suicidio, a screzi famigliari. Nell’ambiente ancora ordinato su cui si era aperto il sipario i personaggi erano inglobati ai mobili sotto un telo traslucido, protetti dalla polvere della storia ma non da loro stessi. Nataša è la sola a vagare in questo spettrale paesaggio e la sua puerile innocenza contrasta col doloroso risveglio dei vari ospiti del ballo. Come nel film anche qui succedono cose strane, che Bieito trasforma in azioni squisitamente teatrali, come le scatole delle pizze i cui interni metallizzati diventano specchi prima e poi pezzi di armature scintillanti.

Nella seconda parte non c’è più spazio per il sarcasmo: il soffitto dell’elegante salone si squarcia, le pareti pendono minacciosamente, gli abiti eleganti si coprono di bende insanguinate, un modellino del teatro Bol’šoj con la sua quadriga di bronzo verdastro viene prima composto e poi distrutto, i suoi pezzi utilizzati come armi. Gli schermi video su cui era passato un orso – simbolo della Russia, ma anche animale presente sia nel romanzo che nel film di Buñuel – ora si tingono di rosso e sull’encomiastico coro finale «Gloria alla Patria, alla santa Patria, gloria all’esercito patrio! Gloria al maresciallo Kutuzov! Urrà!», le folle osannanti hanno un cinico parallelo negli insetti brulicanti sugli schermi in una vana attività. L’incubo surrealista inscenato da Bieito tocca il fondo di una visione pessimistica che gli adattamenti imposti alla musica di Prokof’ev non sono riusciti a intaccare. Guerra e pace, il penultimo lavoro per il teatro di Sergej Prokof’ev, assume qui un colore diverso da quello epico, encomiastico e patriottico che era stato richiesto al compositore. E diventa un lavoro molto più vicino al nostro disincanto.

La lettura di Bieito si avvale del valido sostegno musicale di Alejo Pérez, il giovane direttore argentino che non è nuovo alla musica russa: oltre a L’angelo di fuoco romano del 2019 e a L’amore delle tre melarance (2018) dello stesso Prokof’ev, si ricordano l’Evgenij Onegin (2017) di Čajkovskij, Il naso (2013) e la Lady Macbeth (2010) di Šostakovič. La sfida di concertare un’opera immane – Pérez opta per l’ultima versione a cui apporta tagli che riducono lo spettacolo sotto le quattro ore compreso un intervallo – con 28 parti solistiche, 75 coristi e un massiccio organico orchestrale, è vinta onorevolmente. Il diverso colore orchestrale delle due parti è giustamente messo in evidenza e il peso sonoro non è mai soverchiante sui cantanti. Le oasi melodiche e i nostalgici valzer della prima parte si contrappongono ai massicci interventi strumentali e corali, quasi clusters sonori dalle livide e metalliche risonanze, della seconda. Qui come nel Boris di Musorgskij il coro è uno dei protagonisti come popolo russo (da brivido il momento con cui inizia la seconda parte, «Le forze di dodici lingue d’Europa si sono gettate sulla Russia»), volontari, soldati russi, soldati francesi, cosacchi, moscoviti, ex-prigionieri. Istruito da Alan Woodbridge il coro del teatro ha offerto una prova maiuscola per compattezza, intonazione, musicalità e, per quanto possa aver capito, correttezza di dizione.

Molti i cantanti di lingua madre russa nel cast, tra cui i bassi Alekseij Tikhomirov (principe Nikolaj Bolkonski) e Dmitrij Ul’ianov (Generale Koutouzov), i baritoni Alekseij Šišliaev (Dolokhov) ed Alekseij Lavrov (Napoleone Bonaparte). Il baritono tedesco Björn Bürger, ammiratissimo Papageno a Parigi e a Glyndebourne, qui veste i panni del romantico principe Andrej Bolkonski al quale offre il suo duttilissimo strumento vocale e la magnetica presenza scenica. La sua parabola da giovane innamorato che per la gioia si arrampica, letteralmente, sulle pareti a morente combattente che alla fine rivede la, ahimè, disillusa amata, è convincente ed emozionante. Così come lo è quella della Nataša di Ruzan Mantashyan, soprano armeno di grande personalità e potenza espressiva che ha ottenuto gli applausi più copiosi da parte del pubblico.

Nel reparto femminile si sono distinte le voci mezzosopranili di Lena Belkina (Sonia) ed Elena Maximova (Contessa Helena Besoukhova ). Anche il basso Eric Halfvarson come conte Ilia Rostov ha incontrato il particolare favore del pubblico mentre la chiara vocalità del tenore Alexander Kravets ha dato corpo a Platon Karataev, la figura dell’innocente cara alla letteratura russa. Opposti nella personalità il triste Pierre Bezuchov e il bell’Anatol’ Kuragin: il primo «libera i contadini e fonda ospedali», il secondo è «un mascalzone, un delinquente». Daniel Johansson come conte Besoukhov ha pagine di una distesa liricità che sarebbero piaciute a Puccini e che il tenore svedese realizza con grande eleganza e facilità. Aleš Briscein dà invece al personaggio di Kuragin la giusta sfrontatezza con il suo particolare e penetrante timbro tenorile. In sostanza tutti i personaggi sono caratterizzati dalle voci giuste in questa produzione che ha acceso l’entusiasmo incondizionato del pubblico.

Guerra e pace

warandpeace3

Sergej Prokof’ev, Guerra e pace

San Pietroburgo, Mariinskij II, 16 luglio 2014

★★★★☆

(live streaming)

«Enorme è la nostra Russia, la patria terra russa»

Guerra e pace (Война и мир, Vojna i mir), l’epico romanzo di Tolstoj del 1869, viene ridotto a libretto da Prokof’ev stesso e dalla moglie Mira Meldel’son-Prokof’eva. Da sempre appassionato del capolavoro della letteratura russa, l’occasione che spinse il compositore a musicarne la vicenda fu il tragico parallelismo tra gli eventi storici narrati nel romanzo e la realtà dell’invasione nazista della Russia. Nonostante la partitura fosse pronta fin dal ’43, vicissitudini legate sia allo stato in cui versava il paese in tempo di guerra, sia alla censura e all’eseguibilità sulle scene dell’opera ne ritardarono il debutto. Una prima edizione fu presentata nel 1945 in versione concertistica e nel ’48 il compositore ne approntò una nuova depurata di tutte quegli elementi che potessero dare adito a critiche ideologiche. Ma neanche questo bastò e le prime rappresentazioni di Guerra e pace andarono in scena al di fuori della Russia: a Praga nel 1948 e a Firenze nel 1953. Una nuova edizione critica del lavoro venne presentata nel ’59 a Mosca e nel ’65 a Milano.

Il ponderoso romanzo di Tolstoj (poco meno di 2000 le pagine a stampa) è drasticamente ridotto in un prologo, cinque atti e tredici quadri per oltre quattro ore di musica. L’opera è divisa idealmente in due parti, la prima tratta degli anni di pace delle famiglie nobili moscovite dei Rostov, Bezukhov e Bolkonskij ed è centrata sulla vicenda di Natasha; la seconda, dei fatti di guerra con grande partecipazione di cori, si avvicina alle musiche per l’Aleksandr Nevskij cinematografico di pochi anni prima.

Parte prima (Pace). Quadro primo. Maggio 1806. Nell’incanto di una notte di primavera, il giovane principe Bolkonskij ritrova la speranza nel futuro e il desiderio di amore, contemplando l’incantevole adolescente Nataša cantare e conversare con la cugina Sonja.
Quadro secondo. Capodanno 1810. Il primo ballo di Nataša segna l’innamoramento di Andrej; inoltre Nataša suscita grande impressione in Anatol’ Kuraghin, il cognato senza scrupoli di Pierre Bezuchov, che incomincia ad accarezzare il pensiero di conquistare la giovane.
Quadro terzo. Febbraio 1812. La crisi nell’animo di Nataša sopravviene dopo la partenza di Andrej, costretto a procastinare il matrimonio di un anno dal padre, contrario all’unione con una donna di rango sociale inferiore e la fredda accoglienza del vecchio principe Bolkonskij.
Quadro quarto. Maggio 1812. Si compie la drammatica vicenda di Nataša e Anatol’ Kuragin: durante un ricevimento offerto dalla sorella, Anatol’ riesce a sedurre la giovane strappandole un giuramento di amore e il consenso a fuggire con lui, con la promessa di un impossibile matrimonio.
Quadro quinto. Giugno 1812. Kuragin non ascolta i consigli dell’amico Dolochov, che dopo averlo aiutato a organizzare il rapimento della Rostova, tenta di dissuaderlo dalla pericolosa e infame impresa. Anatol’ è talmente travolto dalla passione per la giovane donna, da convincersi che non si tratta di un capriccio, ma del desiderio di una nuova vita all’estero con la propria amata.
Quadro sesto. Mar’ja Achrossimova, che ospita i Rostov nel suo palazzo moscovita, riesce a sventare il rapimento grazie all’aiuto di Sonja. Anatol’ riesce a fuggire, e dopo che Achrosimova e l’amico Pierre Bezuchov l’hanno illuminata sulla sorte di un uomo che è il suo seduttore, Nataša, sconvolta, tenta il suicidio. Nel colloquio con la Rostova, Bezuchov, travolto dalla compassione per l’inesperta e incantevole ragazza, le confessa il suo amore per lei.
Quadro settimo. Tornato a casa, Pierre convoca nel suo studio il cognato e gli impone di consegnarli le lettere spedite a Nataša e di lasciare immediatamente la città. Rimasto solo, riflette sui suoi sentimenti nei confronti della fanciulla. Sopraggiunge Ermolov e annuncia che Napoleone ha varcato il confine russo.
Parte Seconda (Guerra). Quadro ottavo. Agosto 1812. Andrej, amareggiato e disilluso dal tradimento di Nataša assume il comando per affrontare un’onorevole morte in battaglia.
Quadro nono. Nel quartier generale di Napoleone, durante la battaglia di Borodino. L’imperatore dei francesi, sicuro della superiorità della civiltà francese e dell’invincibilità del proprio esercito, si trova di fronte alle notizie che dal campo gli annunciano l’imminente sconfitta.
Quadro decimo. In un’izsba di Fili, dove si è accampato l’esercito russo ritirato da Borodino, si svolge il consiglio di guerra dei generali russi. Kutuzov prende la coraggiosa decisione tattica di abbandonare al nemico senza combattere la «sacra e vetusta capitale della Russia».
Quadro undicesimo. A Mosca, occupata dai francesi e rosseggianti di incendi. Pierre Bezuchov si aggira con l’intenzione di attentare alla vita di Napoleone. Arrestato con l’accusa di aver appicato un incendio, gli viene fatta grazia della vita; in prigione conosce il semplice Platon Karataev, contadino e soldato, emblema della vita umana ancora completamente in armonia con i cicli della natura.
Quadro dodicesimo. In un’izba giace il principe Andrej, mortalmente ferito. Riconosce Nataša e si riconcilia con lei, ma muore fra le braccia dell’amata.
Quadro tredicesimo. Novembre 1812. Sulla strada verso Smolensk i francesi battono in ritirata e uccidono i prigionieri ormai sfiniti: è il destino di Platon Karataev. Un gruppo di partigiani cosacchi libera i prigionieri tra i quali si trova Bezuchov. Appare Kutuzov e l’opera si conclude nel giubile genrale per la vittoria e la pace ormai prossima.

«La drastica riduzione del romanzo di Tolstoj nel libretto di una pur monumentale opera conserva l’ambizione di comporre un grande affresco epico in cui la dimensione privata, individuale e affettiva dei singoli si intreccia e si risolve nel fiume travolgente della storia nazionale. Non poche sono tuttavia le concessioni alle convenzioni operistiche, come la stilizzazione della morte di Bolkonskij, che spira come un eroe del palcoscenico, ben diversamente da quanto accade con il solenne e crudo congedo dalla vita descritto nel romanzo. Dal punto di vista drammaturgico e musicale quest’opera si allinea alla tradizione di Dargomyžškij e Musorgskij del ‘dramma cantato’, ossia di un’opera in cui i personaggi dialogano in prosa declamata, sostenuti da melodie orchestrali. Nel caso di Guerra e pace all’orchestra spetta una profusione di motivi, ricorrenti o meno, e di musica descrittiva in cui è inevitabile scorgere, talvolta, il mestiere consumato dell’autore di musica per ballo e da film. Ma questi abili squarci orchestrali, che si inseriscono talvolta tra una battuta e l’altra dei dialoghi, sembrano assumere in maniera sorprendente la funzione del narratore, che nel romanzo racconta la verità che si nasconde al singolo, intrecciando il piano individuale con l’universale della storia. Non stupisce che in quest’opera mastodontica con ben 72 personaggi il compositore sia ricorso agli autoimprestiti: l’introduzione al primo quadro e il valzer del quarto, l’arioso di Bezuchov nel sesto derivano da frammenti della musica di scena per Eugenio Onegin (1936); la danza della contessa Bezuchova con Rostov nel quarto quadro, caratterizzato da uno stile straniato e vagamente grottesco a sottolineare la mellifluità della Bezuchova, proviene dalle musiche per il film Lermontov (1941); la tormentata aria di Kutuzov che Prokof’ev scrisse e riscrisse fu infine tratta dalle musiche per il film Ivan il terribile, così come il coro del popolo nel tredicesimo quadro. Nella seconda parte, dedicata al dramma collettivo del popolo russo, fu introdotta nell’ultima versione l’epigrafe corale che riporta l’opera agli avvenimenti della storia sovietica con un massiccio coro di sapore ‘zdanoviano’. In questa seconda parte l’intento di comporre un altorilievo eroico e patriottico si manifesta nella traduzione della dimensione epica del romanzo in chiave monumentale: lo dimostra l’enfasi del linguaggio, l’uso dei cori di popolo e anche la stilizzazione di Kutuzov nella grande aria del decimo quadro, nella quale è lecito scorgere un implicito omaggio a Stalin. La divisione tra pace e guerra è profonda sia dal punto di vista drammaturgico, sia da quello musicale. Mentre la prima parte narra in maniera stringente ed efficace le vicende sentimentali di Nataša e dei tre uomini affascinati, in maniera diversa, dalla sua incantevole e ingenua giovinezza, la seconda parte si configura come una serie di quadri quasi slegati, indipendenti l’uno dall’altro, in cui troppo palesi appaiono le motivazioni ideologiche della scelta: l’idealizzazione dei grandi e piccoli eroi russi, il generale Kutuzov e il contadino Platon Karataev, rappresentati in uno stile musicale enfatico e altisonante. Al di là della distanza dal gusto dell’ascoltatore occidentale, questa lettura in chiave sovietica oltre che musicale del capolavoro di Tolstoj – opera, paradossalmente, avversata in patria – rappresenta tuttavia la realizzazione delle mete dell’ultimo decennio di vita artistica di Prokof’ev, dominato da ambizioni operistiche e dal progetto di scrivere una vera e propria epica del popolo russo, di cui l’avvento del regime sovietico doveva apparire come una sorta di degno coronamento». (Michela Garda)

Guerra e pace è stata la prima opera opera diretta da Valerij Gergiev nel 1978. Dopo tutti questi anni il direttore russo ritorna a San Pietroburgo con il bagaglio e l’esperienza costruita in giro per il mondo. Forse proprio per la dimestichezza che il direttore russo ha con questo lavoro lo si vede dirigere a un certo punto con uno stuzzicadenti… Qui siamo nel luglio 2014, un anno dopo l’inaugurazione del nuovo lussuoso teatro che sorge dietro il vecchio Mariinskij sul canale Kryukov che separa i due edifici.

L’ambientazione spazia tra uniformi napoleoniche (il periodo 1809-1812), quelle della Seconda Guerra Mondiale (il periodo in cui è stata scritta l’opera) e il tempo presente. In scena Graham Vick e lo scenografo Paul Brown ricreano una grande parete fatta di quell’onice utilizzato copiosamente per rivestire il Mariinskij II per denunciare l’opulenza esteriore della materialistica nuova società russa, non troppo distante dalla corrotta e decadente aristocrazia dipinta da Tolstoj. Gli illustri ospiti del ballo scendono dalla scaletta di un aereo mentre alcol e cocaina sono ampiamente consumati in scena.

Le due parti della vicenda sono quasi scambiate, nel senso che la prima parte è dipinta da Vick come Guerra e la seconda come Pace, a voler indicare che i due termini sono le facce indivisibili di una stessa medaglia. Infatti l’opera inizia col principe Andreij “in guerra con sé stesso” e con un revolver in mano per porre fine alla sua vita, se non fosse per la voce di Nataša che lo salva dal funesto proposito. Nella scena del ballo domestici e invitati indossano maschere antigas mentre un carro armato attraversa il palcoscenico. Nella seconda parte la scritta мир campeggia in scena a indicare che i sacrifici dei russi preparano appunto alla pace.

Come nel romanzo, anche nell’opera non c’è un personaggio principale, Guerra e pace è un lavoro corale con uno sterminato numero di interpreti, qui equamente spartiti tra quasi debuttanti e già affermati cantanti della vecchia scuola. Tra coristi e solisti alla fine sul palco a ricevere gli interminabili applausi del pubblico del Mariinskij II ci saranno quasi duecento persone. Ricordiamo almeno Andrej Bondarenko (introverso principe Andrej Bolkonskij), Aida Garifullina (incantevole Nataša Rostova), Larisa Diadkova (Maria Dmitrievna Akhrosimova), Mikhail Petrenko (grottesco principe Nikolaj Bolkonskij), Evgenij Akimov (Pierre Bezukhov), Gennadij Bezzubenkov (maresciallo Mikhail Kutuzov).