L’heure espagnole / L’enfant et les sortilèges

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Il delizioso dittico di Ravel

Una ventina d’anni separano le due uniche opere di Ravel, così diverse tra loro, eppure entrambe così tipiche dello stile del compositore francese. Un’accurata analisi delle rispettive partiture si può trovare nel recente saggio Ravel e l’anima delle cose di Enzo Restagno.

La prima opera, L’heure espagnole, debutta a Parigi nel 1911, ma era già stata composta quattro anni prima e inizialmente rifiutata dalla commissione artistica dell’Opéra-Comique a causa dell’amoralità del soggetto. Scriveva infatti Ravel: «Impossibile imporre un soggetto del genere alle caste orecchie degli abbonati […] quegli amanti rinchiusi negli orologi che vengono portati nella camera da letto! Si capisce benissimo cosa ci vanno a fare!». La vicenda derivava infatti dalla brillante e un po’ boccaccesca pièce omonima di Franc-Nohain (pseudonimo di Maurice Étienne Legrand) andata con successo in scena all’Odéon nel 1904 e in cui si racconta della giornata della bella Concepción che approfitta della settimanale ora di assenza per lavoro del marito orologiaio per intrattenere il suo amante. I curiosi marchingegni inventati dal padre ingegnere e le canzoni cantate dalla madre spagnola erano stati lo spunto per Ravel dell’andamento musicale della storia con i suoi ticchettii e i suoi ritmi ispanici.

L’azione si svolge nel XVIII secolo a Toledo. Nella bottega dell’orologiaio Torquemada giunge Ramiro, il mulattiere, che vuol far riparare l’orologio dello zio. Torquemada inizia a esaminare il meccanismo quando entra in scena sua moglie Concepcion e gli ricorda che deve andare a regolare gli orologi municipali della città. L’orologiaio parte per l’incarico e chiede al mulattiere di aspettarlo, cosa che indispettisce alquanto Concepcion che è in attesa dei suoi spasimanti. Per toglierselo di torno la donna gli chiede, come favore, di portare al piano superiore una pesante pendola. Sopraggiunge Gonzalve, uno degli amanti, che inizia a declamare versi insulsi di un ridicolo lirismo. Quando ritorna Ramiro la donna lo convince ad andare a riprendere la pendola per sostituirla con un’altra; appena il mulattiere si allontana Concepcion fa entrare lo spasimante nella pendola che dovrà essere portata nella sua camera. Arriva nel frattempo l’altro amante, il banchiere Don Iñigo Gomez, che, mentre la donna si allontana per un momento, si nasconde per burla nell’altra pendola. Concepcion prega ancora il buon Ramiro di riportare la pendola, troppo rumorosa per lei, nella bottega del marito e di portare l’altra nella stanza da letto. Quando il banchiere cerca di sorprendere l’amata uscendo dall’orologio, non riesce a causa della sua stazza e rimane incastrato. Il mulattiere, di buon grado, riporta anche questa pendola nella bottega ritenendola difettosa. Concepcion si è ormai stancata dei due amanti, l’uno intento a declamare versi senza senso, l’altro impacciato, e si avvicina a Ramiro, conquistata dal suo carattere generoso e disponibile. Nel momento in cui ritorna Torquemada, Gonzalve esce in fretta dalla pendola e, per non destare sospetti, la acquista. L’altro, Don Iñigo, che essendo troppo grosso non riesce a uscire dall’altro orologio, viene tirato fuori a forza da Ramiro e, raccontando di essere entrato per esaminare il meccanismo, si mostra anch’egli interessato a comprarlo. Concepcion, rimasta senza pendola nella sua camera, si affiderà d’ora in poi, per conoscere l’ora, a Ramiro che passerà puntuale ogni mattina con la sua mula sotto il balcone.

Mentre nell’edizione del 1987 Maurice Sendak aveva trasformato i personaggi in automi settecenteschi, qui Pelly nel 2012 a Glyndebourne immerge la vicenda in una realistica e moderna Spagna con caratteri sanguigni e con allusioni che lasciano poco alla immaginazione.

In questa produzione abbiamo come interprete femminile una scatenata Stéphanie d’Oustrac perfettamente in sincrono con la comica meccanica da pochade della pièce. La sua Concepción è una ‘donna sull’orlo di una crisi di nervi’ con una tecnica vocale e una presenza ragguardevoli. Fra gli altri interpreti, da segnalare François Piolino come giulivo marito. Qualche riserva invece sulla performance e sulla dizione di Alek Shrader, il mellifluo e inconcludente poeta. Nella stessa produzione parigina del 2004 con la scatenata Sophie Koch, Gonzalve era un ben più persuasivo Yann Beuron. A questo punto se continuiamo nel confronto fra le due edizioni, anche il veterano Alain Vernhes come Don Íñigo Gómez è più esilarante di Paul Gay qui a Glyndebourne. Entrambi eccellenti invece i due mulattieri, qui Elliot Madore, là Franck Ferrari. Meritano lo stesso plauso i due meticolosi direttori giapponesi: Seiji Ozawa allora a Parigi, Kazushi Ono ora qui.

Anche nella seconda operina abbiamo un orologio, che qui viene bistrattato dal bambino dispettoso. L’enfant et les sortilèges ha come libretto il Divertissement pour ma fille della scrittrice Colette ed ebbe la prima rappresentazione nel 1925 a Monte-Carlo sotto la direzione di Victor de Sabata. Qui l’atmosfera è del tutto diversa: al realismo dell’opera buffa precedente si sostituisce l’atmosfera di incantesimo e lirismo, seppure venata di ironia, della storia del ragazzino contro il quale si ribellano gli oggetti e gli animali che lui ha maltrattato. Musicalmente si tratta di una successione di brevi quadri indipendenti, ognuno di un genere musicale differente: jazz, fox-trot, ragtime, tango, polka, valzer, coro a cappella. L’orchestrazione di questa “fantaisie lyrique” raggiunge qui un livello eccelso, con l’utilizzo di strumenti inusuali (tra cui un pianoforte preparato) e meravigliose onomatopee sonore. La stessa Colette scriverà qualche anno dopo: «La partitura de L’enfant et les sortilèges è celebre ormai. Come dire la mia emozione di fronte all’apparizione dei tamburini […], lo splendore lunare del giardino […]. Non potevo prevedere che l’onda sonora di un’orchestra costellata di usignoli e di lucciole avrebbe sollevato così in alto il mio modesto lavoro».

In una vecchia casa di campagna in Normandia, nel primo pomeriggio, un bambino di sette anni, brontola davanti ai suoi compiti di scuola. La madre entra nella stanza e si arrabbia per la pigrizia del figlio. Il bimbo punito, preso da un accesso di collera getta la tazza e la teiera a terra, martirizza lo scoiattolo nella sua gabbia, tira la coda al gatto, attizza la brace con un attizzatoio, rovescia il bollitore, lacera il suo libro, strappa la carta da parati e demolisce il vecchio orologio. “Sono libero, libero, cattivo e libero!…” Esausto, si lascia cadere nella vecchia poltrona… ma questa arretra. Comincia allora il gioco fantastico. Uno dopo l’altro, gli oggetti e gli animali si animano, parlano e minacciano il bambino allibito. Nella casa e poi nel giardino, le creature espongono le loro lamentele e la volontà di vendetta. Mentre il bambino chiama sua madre, tutte le creature si gettano su di lui per punirlo. Ma prima di svenire egli si appresta a curare il piccolo scoiattolo da lui in precedenza ferito. Prese dal rimorso, le creature si scusano e lo riportano da sua madre.

Se nella produzione di Sendak citata (unica altra registrazione video del dittico) i cantanti erano nella buca orchestrale e sulla scena mimi e ballerini si occupavano di dare vita agli oggetti assieme a proiezioni visive, qui i cantanti sono in scena. Pelly crea una visualità da cartone animato piena di ironia (il giardino ad esempio è un surreale elegante garden party degli animali). Come sempre la sua regia è attenta a tutte le inflessioni della partitura, tanto da rendere il lavoro un vero e proprio balletto.

Ritroviamo qui alcuni degli interpreti de L’heure espagnole: Elliot Madore, il vigoroso mulattiere Ramiro, qui per contrappasso è l’orologio (oltre che il gatto); Piolino la teiera, l’aritmetica e la rana; la d’Oustrac lo scoiattolo e la gatta. I ruoli del fuoco, della principessa e dell’usignolo sono egregiamente sostenuti da Kathleen Kim mentre il soprano georgiano Khatouna Gadelia è un ragazzino molto credibile.

Immagine ovviamente perfetta, due tracce audio, due documentari molto interessanti e sottotitoli anche in italiano.

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