Die Frau ohne Schatten

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L’ultimo Strauss di Sir Georg Solti

Nel 1992 un Georg Solti ottantenne affronta per l’ultima volta nella sua carriera la lettura de La donna senz’ombra, il quinto dramma di Strauss su libretto di Hugo von Hofmannsthal. Il maestro ungherese morirà cinque anni dopo. Durante gli splendidi passaggi orchestrali la regia video di Brian Large indugia giustamente sulla magnifica figura del maestro Solti, sui suoi gesti netti, le sue occhiate fulminanti. La sua direzione drammatica e lucida getta luci sfolgoranti sui passaggi più intensi come su quelli più lirici di questa complessa partitura a cui i l’orchestra dei Wiener Philharmoniker presta colori inusitati.

Il 1992 è anche l’ultimo anno in cui l’opera viene messa in scena in un allestimento se non tradizionale per lo meno abbastanza aderente alle indicazioni del libretto. In questa regia di Götz Friederich il messo è veramente «coperto di corazza, inondato di luce azzurra», Barak è proprio un tintore dalle braccia imbrattate dai coloranti, la padella dei pesci è proprio una padella e così via. Belle le scene di Rolf Glittenberg che si adattano a meraviglia allo sterminato palcoscenico della Grosses Festspielhaus salisburghese e splendidi gli impasti cromatici delle luci.

C’è però da chiedersi se abbia ancora senso seguire alla lettera le indicazioni di un libretto come questo di Hofmannsthal così simbolico e anti-naturalistico con falchi che piangono e cori di bambini mai nati. Infatti da allora prevarrà la Konzeptregie e la fiaba straussiana diventerà di volta in volta una rappresentazione Kabuki (Ennosuke Ichikawa, 1992), degli astratti e geometrici tableaux vivants (Robert Wilson, 2008), un incubo surreale (David Pountney, 2009), una registrazione in studio (Christof Loy, 2011), un sogno dai contorni erotici (Krzystof Warlikowski, 2013), una fantasia psicanalitica (Claus Guth, 2014).

Qui a Salisburgo abbiamo invece una messa in scena che non stravolge una vicenda già di per sé complessa e che si dipana in tre regni differenti.

Atto primo: l’imperatore delle Isole Sudorientali ha catturato sotto forma di una bianca gazzella la figlia del Re degli Spiriti. La futura imperatrice ha perso il talismano che le permetteva di trasformarsi in animale e ora è una donna che non proietta l’ombra, segno della sua natura non completamente umana, e non può avere figli. Decisa a conquistare un’ombra a tutti i costi si fa promettere dalla moglie di un tintore di darle la sua sua ombra e conseguentemente rinunciare a essere madre.
Atto secondo: presa dal senso di colpa l’imperatrice rinuncia all’ombra e la terra inghiotte il tintore e la moglie.
Atto terzo. Siamo nel regno degli spiriti. La povera moglie del tintore qui è perseguitata dalla voce dei suoi bambini mai nati. L’imperatrice chiede perdono al padre e lo implora di darle un posto tra quelli che hanno un’ombra e di liberare lo sposo nel frattempo tramutato in pietra. La Fontana della Vita che si trova nel tempio le permetterebbe di ottenere l’ombra della moglie del tintore, ma la voce lontana della donna che sta cercando suo marito la commuove e rinuncia a rubarle l’umanità. Questo atto la salva: l’imperatrice ottiene l’ombra e lo sposo è liberato dalla maledizione. Entrambe le coppie si ricongiungono in letizia.

Il soggetto dell’opera aveva destato gli interessi sia del musicista che del librettista sin dal 1911: le fiabe dei fratelli Grimm, quelle di Carlo Gozzi (il nome Barak proviene dalla sua Turandot), Le mille e una notte e vari scritti di Goethe erano stati la fonte di ispirazione per Hofmannsthal e Strauss che avevano iniziato a lavorare in parallelo, con il compositore che scriveva la musica a mano a mano che gli arrivavano i versi. L’opera sarà anche oggetto di una lunga e illuminante catena epistolare tra i due artisti.

Il lavoro venne completato nel 1915, ma lo scoppio della guerra ne fece posporre il debutto che avvenne nel 1919 a Vienna con grande successo.

In questo allestimento salisburghese i ruoli sono sostenuti da interpreti di buon livello. La figura intrigante della nutrice è realizzata con molta partecipazione e presenza vocale da Marjana Lipovšek mentre una Cheryl Studer dalla luminosa tessitura è la tormentata imperatrice, scissa tra le sue due nature, quella umana e quella sovrannaturale. La terza donna, la moglie del tintore, è una intensa ma talora provata Eva Marton.

Il fatuo imperatore che non perde una notte per ottemperare ai suoi doveri matrimoniali, ma che all’alba lascia tutto per andare a caccia è qui un elegante Thomas Moser non sempre a suo agio negli acuti. Umanissima la figura di quel brav’uomo del tintore, qui interpretato da un convincente Robert Hale. In lui Strauss personifica quei sentimenti di Gemütlichkeit domestica e di amore coniugale benedetto dalla nascita dei figli che il compositore aveva già celebrato nella sua Sinfonia Domestica del 1903 e che qui sono espressi dallo struggente finale del primo atto. Anche nelle parti secondarie abbiamo interpreti di lusso come Bryn Terfel, messo di Keikobad, ed Elizabeth Norberg Schulz, inquietante guardiano della soglia.

I duecento minuti di musica sono ripartiti su due dischi con una valanga di pubblicità ma nessun extra, com’è nella tradizione DECCA. L’immagine originale in 4:3 è tagliata in 16:9 con conseguente perdita di nitidezza. Due tracce audio e sottotitoli in italiano, ma incomprensibilmente non in tedesco, la lingua dell’opera.

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