∙
Gioachino Rossini, Il turco in Italia
★★★★☆
Torino, Teatro Regio, 15 marzo 2015
Il Turco a Torino
Lo spettacolo è quello visto ad Aix-en-Provence l’anno scorso e di cui è già stata fatta la cronaca. Visto una seconda volta e a distanza di tempo l’allestimento di Christopher Alden è sembrato meno strambo e volage di quanto fosse apparso allora, anzi, a confronto di certe recenti ambientazioni “fiabesche” (ai limiti della decenza quella di Zurigo), la lettura di Alden risulta soddisfacente.
Quasi pirandelliano l’intrigo metateatrale in cui vediamo i personaggi nascere dall’immaginazione del poeta e rimanere sempre in bilico tra invenzione e realtà mentre cercano di liberarsi dal giogo del regista/autore/creatore. L’immagine finale, uguale a quella dell’inizio, ci dice poi che dopo tanto affannarsi, tanta effimera ma inebriante trasgressione, siamo ritornati alla casella di partenza, alla realtà, dopo il miraggio di una joie de vivre perduta e rimpianta.
I costumi moderni (o per lo meno anni ’50) non facciano pensare ad un’attualizzazione della vicenda. Non ci sono strizzatine d’occhio all’immigrazione o ai problemi mediorientali. Qui è tutto e solo teatro puro.
Nel primo atto il poeta concepisce una storia che si svolge parallelamente, la pensa e la vede contemporaneamente. I personaggi obbediscono al loro creatore, o esitano ma poi si lasciano convincere. Nel secondo atto invece essi gli sfuggono e si costruiscono loro stessi le situazioni a mano a mano che scoprono la meccanica dei sentimenti. Se nel primo atto si sorrideva, ora c’è una certa malinconia, ben espressa dalla grande aria di Fiorilla «Squallida veste, e bruna», qui messa a fuoco da una Nino Machaidze che del complesso personaggio ha reso magistralmente tutte le sfaccettature.
Il marito don Geronio è un Paolo Bordogna che al timbro chiaro e ampio della voce abbina le capacità comunicative che gli abbiamo riconosciuto in tanti altri spettacoli. Distinto dal suo ruolo di basso “di carattere” è quello di Selim, “basso nobile”, che ha trovato in Carlo Lepore interprete autorevole anche se non con il fascino del Selim visto ad Aix. Simone del Savio è un Prosdocimo di bel timbro, ma anche qui gioca a suo sfavore il confronto con la presenza scenica e l’eleganza di emissione del Pietro Spagnoli sentito in quel di Provenza. L’indisposizione di Antonino Suragusa ci ha permesso di apprezzare poi le doti di Edgardo Rocha, già visto nell’Otello rossiniano di Zurigo, qui nella parte del disturbato se non addirittura psicotico (secondo Alden) don Narciso.
L’equilibrio non facile tra palcoscenico e buca dell’orchestra è stato ottenuto dal giovane Daniele Rustioni in gran forma che ha diretto con verve e trasparenza la compagine del Regio.
Il folto pubblico si è dimostrato particolarmente soddisfatto e alla fine dell’opera ha salutato con grandi e prolungati applausi la fatica di tutti gli interpreti.
⸫