Chovanščina

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★★★★★

Uno dei migliori allestimenti di Černjakov

Cominciamo subito col dire che il titolo dell’ultima e incompiuta opera di Modest Musorgskij, Chovanščina (Хованщина) non è il nome della protagonista femminile: quando alla fine del secondo atto Šaklovityi riporta al principe Golicyn della denuncia che Chovanskij minaccia il trono dello zar, dice anche che il giovane zar Pietro ha definito la cosa una «chovanščina», una baggianata dei Chovanskij, una «chovanciata»!

Chovanščina avrebbe dovuto costituire la seconda parte di una trilogia storica centrata sui personaggi di Boris Godunov e Emel’jan Ivanovič Pugačëv. Nel libretto in prosa (la prima volta nell’opera dell’Ottocento) Musorgskij mescola deliberatamente avvenimenti avvenuti in tempi diversi tratti da antiche cronache secondo le quali la chiesa ortodossa era caduta nelle mani dell’Anticristo, nella persona del patriarca riformatore Nikon. L’opera è ambientata durante la ribellione a Mosca nel 1682 del Principe Ivan Andreevič Chovanskij, dei “Vecchi Credenti” (i roskol’niki o scismatici) e del corpo militare degli strel’cy. Tre diverse fazioni contro lo zar adolescente, il futuro Pietro il Grande. (1) Musorgskij mostra le varie forze ostili a Pietro con tre diversi personaggi: Chovanskij; Golicyn, il favorito di Sof’ja; Dosifej a capo dei Vecchi Credenti, personaggio questo che non ha un riscontro storico definito. In sei quadri simmetrici se ne inscena l’ascesa e la caduta. I temi principali sono quindi la lotta tra le fazioni politiche dei progressisti e dei reazionari nel periodo della minore età di Pietro con la reggenza della sorellastra Sof’ja e la vita nella Moscovia prima delle riforme occidentalizzanti dello zar e il passaggio di potere da Sof’ja a Pietro.

A causa delle regole del tempo, che impedivano di mettere in scena i componenti della famiglia Romanov, questi vengono menzionati solo indirettamente. Un ruolo molto importante nello sviluppo dell’azione è affidato al popolo, in misura ancora maggiore che nel Boris Godunov. I personaggi principali sono raffigurati molto chiaramente: arrogante e tirannico Ivan Chovanskij; malizioso e narcisista Golicyn, solenne Dosifej; forte, impetuosa e pronta all’azione Marfa; inquieto e debole Andrej Chovanskij; patriota e disposto a tutto per la salvezza della Russia Šaklovityj; allegro e spensierato il giovane moschettiere Kuz’ka; pavido e venale lo scrivano.

Il compositore russo si occupò della scrittura dell’opera dal 1872 fino ai suoi ultimi giorni di vita, ma non riuscì a terminarla: il secondo e il quinto atto rimasero incompiuti alla sua morte nel 1881 e la maggior parte della musica non era ancora stata orchestrata. L’opera fu interamente strumentata per la prima volta da Nikolaj Rimskij-Korsakov, che però preferì definire il suo lavoro revisione, anziché orchestrazione. In base alle sue idee musicali e considerando le esigenze di tempo, egli accorciò significativamente l’opera, finì di scrivere le parti mancanti e apportò dei cambiamenti all’armonia di Musorgskij.

Nel 1913 l’opera fu messa in scena a Parigi, in una produzione di Sergej Djagilev e per l’occasione l’orchestrazione fu fatta in collaborazione da Igor’ Stravinskij e Maurice Ravel. Tuttavia il basso Fëdor Šaljapin si rifiutò di cantare la parte di Dosifej, se non nell’orchestrazione di Rimskij-Korsakov; pertanto fu rappresentata una versione ibrida che non ebbe un gran successo e quell’orchestrazione fu dimenticata. Solo il finale, che era stato composto da Stravinskij, sopravvisse e fu pubblicato nel 1914.

Nel 1958 Dmitrij Šostakovič iniziò la sua orchestrazione, sulla base della partitura originale di Musorgskij che era stata resa pubblica nel 1931 e il suo lavoro fu utilizzato nel film sovietico del 1959 della regista Vera Stroeva. Questa è la versione nella quale l’opera fu rappresentata per la prima volta al teatro Kirov a Leningrado nel 1960 ed è ora quella che viene eseguita normalmente. Nel 1989 Claudio Abbado fuse la versione di Šostakovič con il finale di Stravinskij in un’acclamata versione teatrale (poi discografica e video) a Vienna. La versione Šostakovič fu adottata anche da Valerij Gergiev per le rappresentazioni che diresse tra il 1991 e il 1992 al teatro Kirov. Non eseguì tuttavia il finale di Stravinskij, e ripristinò invece due episodi incompiuti che Musorgskij aveva chiesto di tagliare. Anche di questa versione esiste la registrazione sia audio sia video.

Quella di questo blu-ray è affidata a Kent Nagano che nel 2007 alla Bayerische Staatsoper di Monaco, assieme alla regia del russo Černjakov, opta per la versione di Šostakovič col finale di Stravinskij. La scenografia ricorda gli sghembi ambienti tagliati ad angoli acuti dello Jüdisches Museum di Berlino, suddivisi in locali più piccoli e su due piani con in alto, sempre presenti ma separati nei loro isolamenti, le figure dell’immaturo zar Pietro e della zarevna Sof’ja alla finestra, muti ma sempre incombenti sui destini dei loro sudditi. La suddivisione scenica sembra suggerire la straordinaria modernità dell’opera e la discontinuità delle scene la cui sequenza è scandita da un orologio digitale che segna le ore di questa terribile giornata. Nel finale la scenografia arretra verso il fondo della scena lasciando il palcoscenico per l’immolazione dei Vecchi Credenti. Solo in questo momento vediamo l’orchestra e la platea del teatro, fino a quel momento assente nella ripresa video.

Il regista ci mostra con crudezza i lati più nefasti del potere. Momenti di grande forza drammatica sono la “danza delle schiave persiane”, qui un triste carosello in cui il tediato principe Chovanskij abusa dei suoi sottoposti o l’arresto di Golicyn condotto insanguinato tra la folla. Ma anche la folla non è da meno: nel terzo atto Marfa canta la sua aria mentre subisce i dileggi e le violenze della gente. Dmitri Černjakov dà il meglio di sé nelle opere del suo paese e anche qui conferma la regola: dopo La leggenda della città invisibile di Kitež e Il Principe Igor anche in questa Chovanščina il regista russo dimostra la sua genialità e affinità con questo repertorio.

La tormentata orchestrazione dell’opera trova in Kent Nagano un interprete di eccezione che dà della asciutta partitura strumentata da Šostakovič una lettura emozionante e piena di tensione anche se non al livello di quella di Abbado. Maiuscola la prestazione del coro in questa opera che è tra le più corali che ci siano e in cui le masse sono presenti dall’inizio alla fine.

Grandissimo cantante e attore è Paata Burchuladze a cui si devono i momenti teatrali più impressionanti. Il suo principe Chovanskij è un personaggio indimenticabile: infantile, minaccioso, narcisista e sardonico nel momento in cui fa scoppiare la bomba che ucciderà tutti i cospiratori assieme a sé stesso in questo allestimento. Vocalmente strepitoso Klaus Florian Vogt nel ruolo di Andrej Chovanskij, dapprima arrogante e poi a mano a mano sperduto nell’amor di Marfa. Eccellente anche il Dosifej di Anatolj Kotscherga mentre il ruolo di Marfa non è centrato dalla regia e vocalmente Doris Soffel non si dimostra al meglio. Nella breve parte di Emma si fa notare una sensibile Camilla Nylund. Opera non delle più facili, ma è fastidioso vedere molti dei cantanti cercare in continuazione con lo sguardo il direttore d’orchestra, facendo perdere verità all’interpretazione.

Applausi entusiastici alla fine con il solito sparuto gruppo di contestatori (2). Sottotitoli non in italiano e nessun extra a parte la pubblicità.

(1) Atto primo. Sulla Piazza Rossa, al mattino. Il moschettiere degli strel’cy, Kuz’ka, canta ubriaco, mentre due suoi commilitoni parlano di ciò che hanno fatto nella notte, quando hanno torturato ed ucciso uno scrivano tedesco. Sopraggiunge un altro scrivano: i tre se la prendono con lui e se ne vanno. Il boiardo Šaklovityj detta allo scrivano una lettera per lo zar Pietro, con la quale lo avverte dei piani di rivolta del principe Chovanskij, capo della guardia degli strel’cy e dei Vecchi Credenti; lo ammonisce poi a non ripetere quanto ha appena udito. Una folla irrompe in scena lamentandosi dello stato in cui si trova la Russia. Il principe Ivan Chovanskij promette alla folla adorante di proteggere i giovani zar, intendendo con questo i rivali conservatori di Pietro all’interno della famiglia reale, poi esce con la folla. Il principe Andrej, figlio di Ivan, insidia con la violenza Emma, una ragazza tedesca, ma viene scacciato da Marfa, vecchia credente ed ex fidanzata di Andrej. Andrej minaccia di uccidere Marfa, ma Ivan ritorna e decide di catturare lui stesso Emma: la lite che ne nasce tra padre e figlio viene interrotta dall’arrivo di Dosifej, leader dei Vecchi Credenti, che li rimprovera per essere così litigiosi e anticrisitiani. Chiede poi a tutti pregare per il futuro della Russia.
Atto secondo. Nel padiglione estivo del principe Golicyn, un nobile progressista amante della zarevna Sof’ja (sebbene non si fidi di lei), legge una sua lettera. Poi chiede a Marfa in segreto di predirgli il futuro: lei gli annuncia perdita di potere, esilio e povertà. Quando la donna se ne va, Golicyn ordina ai servitori di ucciderla, affinché nessuno venga a sapere delle sue future disgrazie. Entra il principe Chovanskij che lo accusa per i suoi intrighi e per voler diminuire i privilegi dei nobili, affermando che solo i Tartari credono che tutti gli uomini sono uguali e chiedendogli se la Russia si debba “tartarizzare”. Ne nasce un litigio interrotto dall’ingresso di Dosifej che li critica entrambi: Golicyn per le sue idee moderne, e Chovanskij perché permette agli strel’cy di gozzovigliare e creare disordini. Marfa ritorna: c’è stato un tentativo di ucciderla, ma è stato sventato dalle guardie personali dello zar. Dopo di lei entra Šaklovityj, che annuncia minacciosamente che lo zar, informato dei piani di ribellione, ha ordinato un’inchiesta sul principe Chovanskij.
Atto terzo. Nel quartiere degli strel’cy, dietro il Cremlino a sud della Moscova. Mentre i Vecchi Credenti cantano un inno per il futuro della Russia, Marfa canta il proprio amore per Andrej Chovanskij, preconizzando la sua morte tra le fiamme insieme alla donna con cui lui l’ha tradita. Sopraggiunge Šaklovityj, che medita amaramente sulla patria in pericolo e chiede aiuto a Dio, affinché invii un uomo capace di salvarla. Compaiono gli strel’cy che cantano ubriachi, inseguiti dalle mogli infuriate. La situazione è placata da Kuz’ka con una canzone. Arriva agitatissimo lo scrivano, il quale annuncia che il quartiere degli strel’cy è stato assalito e preso dalle truppe dello zar. Gli strel’cy, sollecitati da Kuz’ka, chiedono a Chovanskij di mettersi alla loro guida, ma il principe si rifiuta: il nuovo zar è molto potente, è meglio attendere.
Atto quarto. Scena prima. Nella ricca sala da pranzo di Ivan Chovanskij. Mentre il principe pranza, le contadine intonano un malinconico canto d’amore. Ivan chiede qualcosa di più allegro ed è molto contento della nuova canzone. Tuttavia giunge un domestico di Golicyn, che gli annuncia un grave pericolo. Il principe lo ignora e lo fa frustare, poi ordina alle sue schiave persiane di danzare per lui. Compare Šaklovityj, il quale lo informa di una convocazione presso la zarevna Sof’ja. Dopo qualche incertezza Chovanskij accetta, ma mentre si avvia un sicario lo pugnala. Šaklovityj si china sul suo corpo e ripete sprezzante la canzone appena udita. Scena seconda. Sulla Piazza Rossa, davanti alla Cattedrale di San Basilio. Golicyn è condotto in esilio. Dosifej piange la disfatta dei cospiratori: sui Vecchi Credenti incombe la minaccia dello sterminio. Dosifej discute con Marfa sull’opportunità che i Vecchi Credenti lascino un esempio perenne immolandosi. Andrej entra accusando Marfa di avergli sottratto Emma, ma la donna afferma che lei sta facendo ritorno in Germania. Andrej minaccia di farla bruciare come strega e chiama a raccolta gli strel’cy col suo corno, ma si ode un suono minaccioso. Marfa narra ad Andrej dell’assassinio di suo padre e gli offre riparo tra i Vecchi Credenti. Mentre gli strel’cy vengono condotti al patibolo, un messo dello zar Pietro annuncia che sono stati perdonati.
Atto quinto. L’eremo dei raskol’niki in una foresta vicino a Mosca. Dosifej ed i suoi seguaci si sono rifugiati nella foresta. Dosifej, amareggiato per le sofferenze dei suoi confratelli, li esorta a prepararsi al sacrificio vestendosi di bianco e accendendo candele. C’è anche il principe Andrej che canta il suo amore perduto. Marfa gli ricorda del loro amore passato, assicurandolo che non lo abbandonerà. Dosifej e i suoi seguaci, vestiti di bianco con le candele accese, costruiscono la pira. Una tromba annuncia l’avvicinarsi dei soldati di Pietro. Marfa canta ad Andrej la loro situazione senza speranza e Dosifej esorta tutti ad essere forti per l’ultima volta. Marfa dà fuoco alla pira mentre i Vecchi Credenti intonano l’ultimo canto.

(2) Ma quelli che si scandalizzano per le regie moderne delle opere liriche non sono mai entrati negli ultimi trent’anni in un teatro ad assistere a uno Shakespeare, un Čechov, un Goldoni? Pensano che siano messi in scena ancora come ai tempi della Berhnardt o della Duse o di Zacconi? Pensano che il teatro sia un museo per preservare intatta la tradizione interpretativa di un’epoca? Di quale epoca poi?

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