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Il Rimskij migliore
La sposa dello zar (o anche La fidanzata dello zar, nell’originale Царская невеста, Carskaia nevesta), è l’unica opera non di genere fantastico di Nikolaj Rimskij-Korsakov ed è anzi altamente drammatica, quasi sinistra con le sue lotte di potere a fianco delle vicissitudini dei protagonisti. Il libretto, di Il’ija Tijumenev e del compositore stesso, è tratto dal dramma in versi omonimo (1849) di Lev Aleksandrovič Mej e la vicenda è basata sugli eventi del 1571, all’epoca dello zar Ivan IV, il Terribile, vedovo in cerca di una moglie, la terza.
Atto I. Grigorij Grijaznoj è stato rifiutato da Marfa Sobakina che si è già promessa a Ivan Lykov. Per scacciare la delusione offre una festa in cui oltre a Ivan invita l’alchimista tedesco Bomelius a cui chiede una pozione per far innamorare la donna che la berrà. La sua ex-fidanzata Ljubaša ascolta la conversazione e quando Grigorij la caccia via giura di vendicarsi.
Atto II. Non si parla d’altro che delle intenzioni dello zar di cercare una moglie tra le belle del paese. Vassilij Sobakin, padre di Marfa, invita il futuro genero Ivan a casa sua. Ljubaša spia da fuori Marfa e, colpita dalla sua bellezza, chiede a Bomelius una pozione per far deperire e poi morire la ragazza. In cambio Ljubaša si concede alle sue brame.
Atto III. In casa di Sobakin si prepara il matrimonio di Marfa con Ivan. Grigorij versa nella coppa di Marfa la pozione, non sapendo dello scambio fatto da Ljubaša. Nel frattempo arriva la notizia che lo zar ha scelto proprio Marfa come sua sposa.
Atto IV. Marfa dopo il matrimonio con lo zar si è gravemente ammalata. Ivan è accusato da Grigorij di averla avvelenata e viene giustiziato. L’orribile notizia fa impazzire Marfa che morirà poco dopo che Grigorij ha ammazzato Ljubaša e si è tolto poi lui stesso la vita.
Rappresentata il 22 ottobre 1899 al Solodovnikov di Mosca, è stata ritenuta dalla critica occidentale un’opera non tipicamente ‘russa’, mentre in patria è considerata non solo rappresentativa della cultura nazionale, ma anche la migliore opera di Rimskij-Korsakov. «In un’epoca in cui la ricerca stilistica stava diventando l’ossessione della nuova generazione di compositori, il cinquantacinquenne Rimskij ritornò – ancora una volta contro corrente – a uno stile ormai storicizzato come quello romantico, scegliendo di mettere in risalto la propria maestria compositiva in un’opera nella quale quintetti, sestetti e altri vari momenti di insieme si susseguono incessantemente, per non parlare del virtuosismo delle parti vocali (specialmente quella del personaggio di Marfa)». (Maria Cristina Petri)
In coproduzione con il teatro alla Scala, la Staatsoper di Berlino, orfana della sala su Unter den Linden in massiccio rifacimento, mette in scena nel brutto Schiller Theater questo nuovo allestimento di Dmitrij Černjakov che ambienta la vicenda nella nostra contemporaneità. Vero è che ad apertura del sipario vediamo una folla in costume in una scena tradizionalissima, ma quando il velario si alza ci accorgiamo che è una ricostruzione visuale, con le comparse in chroma key in uno studio televisivo. Di fianco, in una cabina di regia zeppa di monitor e computer, si sta costruendo un nuovo zar: giacché in tutta l’opera lo zar Ivan non compare mai, questi è inteso da Černjakov come una creazione dei boiardi stessi che riempiranno i telegiornali di regime con la sua figura virtuale. Per dare più credibilità alla loro finzione gli procurano poi una sposa in carne e ossa – di cui trasmettono le false immagini sorridenti quando questa è morta.
Un terzo ambiente, montato su una grande piattaforma girevole, è quello della festa di Grigorij Grijaznoj e negli atti successivi anche la casa dei Sobakin sarà in parte digitalizzata e con lo schermo di un televisore perennemente acceso che trasmette la scelta della moglie dello zar vista come una sfilata di bellezze russe. Il video design è il prodotto di Raketa Media, quelli che hanno realizzato le scene virtuali per l’inaugurazione del rinnovato teatro Bol’šoj di Mosca. Ma a parte le meraviglie tecnologiche la regia di Černjakov si impone per la meticolosa e intelligente cura attoriale degli interpreti e i particolari scenici sempre in linea con il libretto.
Quest’opera così poco rappresentata al di fuori del suo paese è nelle mani qui di un cast di primissimo livello. Daniel Barenboim mette sapientemente in luce tutte le modernità della partitura con una direzione intensissima. Nella parte titolare c’è una Peretjat’ko gioiosamente infantile ma dalla vocalità perfetta. Per la prima volta la ascolto nella sua lingua e le agilità tante ammirate in Rossini qui danno luce smagliante al suo personaggio. Completamente diversa, giustamente, Anita Rachvelishvili che gioca con somma sapienza con la sua voce di velluto dalle infinite sfumature nel complesso personaggio di Ljubaša. Suoi sono gli applausi più intensi del pubblico berlinese. Altrettante ovazioni per l’esperienza operistica (45 anni di carriera) di Anna Tomowa-Sintow quale Domna Saburova. Anche sul fronte maschile solo felici note: dal collaudato Vasilij Sobakin di Anatolij Kočerga al vigoroso Grigorij Grijaznoj di Johannes Martin Kränzle. Nella parte di Ivan Lykov c’è Pavel Černoch, un tenore ben più che emergente dallo smalto vocale splendente e dalla eleganza innata.
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