
★★★★☆
Un’ardente arringa per la dignità umana
Il breve racconto Claude Gueux di Victor Hugo, da cui è tratta quest’opera, è del 1834 (lo scrittore francese è quindi poco più che trentenne) e denuncia le inumane condizioni dei detenuti e la sproporzione delle pene, prima di tutto quella di morte. Nel 1861 saranno Memorie dalla casa dei morti di Dostoevskij a trattare lo stesso tema, autobiografico nel caso dello scrittore russo reduce dalla pena da lui scontata in Siberia, e anche questo ispirerà un lavoro in musica, questa volta di Leoš Janáček.
Occasione del lavoro sono i resoconti del processo a Claude Gueux – la parola gueux in francese significa pezzente – condannato a morte per assassinio nel 1826. Hugo riscrive la sua vita in prigione fino all’esecuzione capitale passando per i motivi del suo crimine.
Nel testo c’è una lunga riflessione sui ruoli e i doveri della società nei confronti di chi ha commesso un crimine, riflessione che nel libretto dell’opera è affidata al coro. Perché quest’uomo ha rubato? Perché ha ucciso? E lo scrittore risponde: «Il popolo ha fame, il popolo ha freddo. La miseria lo spinge verso il crimine o il vizio, secondo il sesso […] Questa testa dell’uomo del popolo, coltivatela, dissodatela, annaffiatela, fecondatela, illuminatela, moralizzatela, utilizzatela: non sarà più necessario mozzargliela».
L’operaio di Hugo nel libretto di Robert Badinter (avvocato e politico che è stato più volte ministro della Giustizia francese ed è conosciuto come uno dei principali portabandiera della campagna politica che portò nel 1981 all’abolizione della pena di morte in Francia) diventa un canut, un tessitore di seta, e la sua abilità è sfruttata nella prigione di Clairvaux in cui è stato rinchiuso per essere salito sulle barricate issate dai canut lionesi minacciati nel loro lavoro dalle macchine tessili importate dall’Inghilterra.
Commissionato dall’Opéra de Lyon, il lavoro è andato in scena il 27 marzo 2013, prima opera dell’organista e compositore Thierry Escaich, classe 1965. Suddivisa in un prologo, 16 scene, due interludi e un epilogo, l’opera ha quattro personaggi principali:
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Claude è una forza della natura che fisicamente impone rispetto, ma di natura gentile e tormentato dalla nostalgia per la famiglia e dalle ingiustizie, una specie di Jean Valjean ante litteram. Uccide il direttore non nell’ira, ma nelle veci di giustiziere;
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Albin sa scrivere, è giovane e minuto e offre metà della sua razione di pane a Claude che è più grande e grosso di lui. Dopo essere stato vittima delle violenze degli altri prigionieri, trova in Claude protezione e affetto;
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il direttore del carcere è anche responsabile del lavoro dei detenuti che sfrutta spietatamente a favore dell’imprenditore. Non mostra alcuna briciola di umanità.
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il capo-carceriere non c’è nel romanzo di Hugo: è un personaggio aggiunto per incarnare le residue qualità umane del direttore. Appare solo alla tredicesima scena ed è interpretato dallo stesso cantante dell’imprenditore della quarta scena.
Con i mezzi dell’armonia moderna, Escaich scrive a suo modo un’opera tradizionale con preludio, cori, arie e un epilogo orchestrale concertati con rigore e passione dal giovane Jérémie Rohrer. La partitura prende talora la forma di mottetti salmodianti o di allucinazioni sinfoniche che hanno l’irruenza del fortissimo di un organo che usi tutti i registri.
Anche se non ne ha il physique du rôle, in quanto tutt’altro che grande e grosso, Jean-Sébastien Bou si immerge con abnegazione nel personaggio titolare di cui ritrae con efficacia la ferma non accettazione dell’ingiustizia che deve subire facendone un ritratto convincente. Neanche Albin trova nel fisico non gracile di Rodrigo Ferreira l’aspetto suggerito dal testo, ma il controtenore brasiliano supplisce alla sua vocalità, questa sì gracile, con l’intensità dell’interpretazione. Spietato direttore del carcere è lo stagionato ma sempre autorevole Jean-Philippe Lafont. Tra i tanti interpreti secondari si fanno notare il tenore Rémy Mathieu e il baritono Laurent Alvaro.
Nello struggente finale una ballerina in tutù bianco porta, al momento della morte di Claude che finalmente ha tutto per sé un grosso pezzo di pane, uno squarcio di bellezza fino a quel momento negatogli nel claustrofobico e tetro ambiente del carcere. La prigione di Clairvaux è infatti il quinto personaggio della vicenda, una macchina di oppressione molto ben definita nella messa in scena di Olivier Py e Pierre-André Weitz: a metà tra il campo di concentramento e una struttura a gabbie di galline fatta ruotare dalla forza fisica dei detenuti.
Oltre che dal pubblico lionese, l’opera di Escaich ha ricevuto unanime consenso sui siti di musica e sulla stampa. Si vedano ad esempio gli articoli usciti su “Le Monde” e su “Gramophone” .
Il disco, tecnicamente eccellente, contiene come bonus un’interessante conversazione con compositore e librettista. Sottotitoli solo in francese e inglese.
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