Gioachino Rossini, Semiramide
direzione di Henry Lewis
allestimento di Pier Luigi Pizzi
10 novembre 1992, Teatro la Fenice, Venezia
Testamento estetico che Rossini lascia all’Italia prima di trasferirsi a Parigi, Semiramide è la formalizzazione di un modello di opera dalle proporzioni così perfette da presentarsi come astratta sublimazione. Con quest’opera il compositore evita lo sperimentalismo delle opere del periodo napoletano, ma non è un ritorno sui propri passi, quanto piuttosto l’elaborazione di una forma di opera talmente idealizzata da non avere precedenti.
Librettista (Gaetano Rossi, lo stesso del Tancredi) e compositore scelgono per il lavoro da rappresentare a Venezia per il Carnevale 1823 La tragédie de Sémiramis di Voltaire, dal cui Tancrède era derivata la stessa opera presentata dieci anni prima, sempre alla Fenice.
Rispetto all’originale, Rossi introduce un nuovo personaggio, Idreno, un principe indiano che ama Azema. Questa deroga alla fonte primaria è dettata dal fatto che nella compagnia c’era un tenore e bisognava farlo cantare, ma serve anche a introdurre il tema amoroso in un libretto che in realtà del tema dell’amore se ne fa poco o nulla, in quanto viene relegato entro la piccolissima cornice che ruota intorno al personaggio di questa principessa babilonese che tutti, Idreno, Arsace, Assur, inspiegabilmente amano. Inspiegabilmente perché ad Azema non è dato alcun rilievo drammaturgico nell’opera. Infatti sembra comparire più che altro per dare senso alla presenza di Idreno e permettergli di far sfoggio di due arie di trascendentale difficoltà.
Rispetto alla tragedia di Voltaire è nuova anche la situazione di Assur che, mentre sta per violare la tomba di Nino, vede, lui solo, lo spettro del re. Non può non tornare alla mente a questo proposito la celebre scena dell’apparire dello spettro di Banco nel Macbeth di Shakespeare, non unico debito da pagare al drammaturgo inglese. Il tema dello spettro che ritorna a chiedere vendetta è presente anche in Amleto, la cui vicenda è in ultima istanza la stessa di Semiramide.
Con Semiramide Rossini elabora un impianto formale dalla chiarezza cristallina. Innanzitutto una sinfonia che è tra le più elaborate e ricche dal punto di vista strumentale, con una scrittura per i fiati sontuosa nel primo tema. Poi solo arie e duetti, nessun pezzo d’insieme se non l’introduzione e i due finali. Bisogna risalire fino al Tancredi per trovare una simile assenza di concertati. E, come in Tancredi, ciò che colpisce è la perfezione della forma di arie e duetti, impostati tutti, senza eccezione alcuna, sullo schema della cavatina, o parte cantabile, tempo di mezzo, dove il coro fa progredire lo sviluppo drammaturgico, e cabaletta conclusiva. Ma a dispetto di questa analogia con il primo dei trionfi rossiniani, Semiramide rivela la maturazione di dieci anni di intenso lavoro.
Di complessità ed estensione pari solo a quella del Guillaume Tell, è ad esempio l’introduzione, che comprende l’entrata dei vari gruppi corali e di tutti i personaggi tranne Arsace, il quale farà la sua comparsa nel brano successivo con un recitativo che è diretto pendant della sortita di Tancredi. Il finale primo ha anch’esso dimensioni monumentali e non meno efficace è il finale secondo.
Solo due sono le edizioni video disponibili di quest’opera rossiniana: quella diretta da Conlon al Met nel 1990 e quella più recente di Zedda alla Vlaamse Opera nel 2011. Manca questa di Venezia del bicentenario dalla nascita del compositore pesarese, rimasta giustamente nel ricordo di chi l’ha vista per la peculiarità dell’allestimento e per gl’interpreti.
Il regista Pier Luigi Pizzi costruisce un opprimente mondo monocromo bianco sia nella scenografia sia negli inscatolati costumi, con la sola eccezione del rosso impennacchiato Arsace. Per poi passare al total black nella seconda parte per i due regicidi.
Henry Lewis con un’orchestra e un coro non in stato di grazia effettua frequenti e impietosi tagli alla partitura, falcidiando non solo i recitativi, ma eliminando intere scene.
Semiramide è una strepitosa Mariella Devia; come Arsace Ewa Podleś sostituisce degnamente la inizialmente prevista Marilyn Horne; Assur è un autorevole Carlo Colombara; Idreno un Luca Canonici allo stremo delle sue possibilità nonostante gli sia stata tolta un’aria.
In rete è disponibile anche l’edizione 1980 di Aix-en-Provence con Caballé, Horne, Ramey e López.
⸪