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Georg Friedrich Händel, Agrippina
Vienna, Theater an der Wien, 29 marzo 2016
(live streaming)
Sesso, potere e fake news. Ieri come oggi
È inutile girarci intorno: che cos’è Agrippina se non una vicenda di sesso e potere? Robert Carsen qui va dritto al segno nella sua lettura del dramma di Händel e fin da subito vediamo infatti Agrippina promettere i suoi favori sia a Pallante sia a Narciso affinché sostengano l’elezione del figlio Nerone dopo il falso annuncio della morte di Claudio. Due scene simili che il regista Carsen rappresenta in modo ironicamente identico sulla stessa scrivania. «Quanto fa quanto puole | necessità di stato; io stessa, io stessa: | nulla più si trascuri, all’opra all’opra | lode ha, chi per regnar inganno adopra» commenta cinicamente Agrippina dopo aver usato i due bellimbusti e averli poi spediti ad aizzare la folla a favore del figlio. Nella scena seguente vediamo infatti Nerone, debitamente ripreso dalle telecamere, distribuire soldi a dei finti poveri. Come dice Claudio, in questa vicenda non si sa chi dica il vero e chi mentisca.
A bilanciare questa storia di intrighi e menzogne c’è quella, vera storia d’amore, di Poppea e Ottone. Ma ancora di Nerone sarà l’ultima scena in questa drammaturgia di Ian Burton: appena ottenuto il potere Nerone fa uccidere Agrippina, Poppea e tutti gli altri lasciandoci con l’amaro di una risata sardonica. Un guizzo finale simile a quello dell’Incoronazione di Poppea dove Carsen all’ultimo istante ci fa presagire la tragica fine della protagonista ora vittoriosa.
Qui siamo al Theater an der Wien che è diventato la sede lirica più interessante del panorama viennese soppiantando, con la sua stimolante programmazione, la conservatrice Staatsoper. La cinica vicenda, messa nero su bianco dal cardinal Grimani per il San Giovanni Grisostomo e presentata con grande successo il 26 dicembre 1709 (la prima fu seguita da 27 repliche consecutive), già allora era piena di allusioni politiche all’attualità del tempo. Carsen non fa che aggiornare queste allusioni: nei lucidi ambienti di un’EUR patinata (le belle scenografie sono di Gideon Davey), Claudio, tronfio e donnaiolo, non nasconde la sua somiglianza a Mussolini in pubblico, a Berlusconi nell’intimità e a tanti altri potenti d’oggi, con Trump in prima linea.
Nella lettura di Carsen non c’è vero dramma, ma un’elegante trasposizione che fa il verso alla serie televisiva House of Cards, ma non altrettanto inquietante. Così invece delle terme romane in scena c’è la piscina di una spa di lusso con modelle in bikini e aitanti giovanotti che fanno ginnastica e gli stilizzati archi piacentiniani del Palazzo della Civiltà del Lavoro prendono il posto del Colosseo.
Thomas Hengelbrock mette in luce le straordinarie doti musicali della partitura con ritmi elettrizzanti e la Balthasar-Neumann-Ensemble, pur utilizzando strumenti d’epoca, ha però la piena sonorità di un’orchestra moderna in tutti suoi settori, dagli archi fluidi e corposi, ai fiati perfettamente intonati, all’impeccabile accompagnamento di clavicembalo, liuto e tiorba. Spiace ancor di più quindi il taglio di alcune arie.
Patricia Bardon è qui un’incisiva Agrippina votata anima e corpo, soprattutto il secondo, all’ambizioso piano di far diventare imperatore il figlio Nerone. La voce a tratti denuncia una certa stanchezza che la cantante compensa con un’innegabile presenza scenica come nella sublime aria «Pensieri», irta di difficoltà di intonazione in quella moderna e sorprendente trama sonora, fatta soprattutto di silenzi stupefatti e di dolorose strappate degli archi. La Poppea che si destreggia abilmente con ben tre diversi spasimanti ha qui la figura sensuale di Danielle de Niese, un po’ meno agile della Cleopatra del Giulio Cesare di Glyndebourne sia nella voce sia nel fisico, ma comunque la sua è pur sempre una interpretazione magistrale e si può comprendere come tutti ne siano innamorati. Con Claudio truccato da Berlusconi, lei assomiglia in maniera inquietante a Ruby el Mahroug…
Eccoli i pretendenti: dal Claudio temibilmente bonario del basso vocalmente possente Mika Kares, al Nerone di Jake Arditti, controtenore della scuola anglosassone che sciorina le agilità di «Come nube che fugge dal vento» a una velocità prodigiosa. come Tom Verney, Narciso, molto esile. Pallante suadente è quello di Damien Pass.
Fin qui sono stati nominati tutti cantanti di lingua non italiana, e infatti spesso si è sentita qualche parola impastata o qualche pronuncia sbilenca. Con l’Ottone di Filippo Mineccia, invece, abbiamo il caso di un controtenore italiano, fiorentino per di più, che dà lezioni a tutti per proprietà di dizione, sensibilità e intensità di espressione. La nobiltà e la bontà di questo personaggio, l’unico positivo della faccenda, non sembra però aver solleticato la fantasia del regista che non ne ha sfruttato la riconosciuta presenza scenica. Di certo Ottone è l’unico personaggio che non appartiene alla linea “brama di potere, strategia politica, torbide trame, desiderio sessuale, gelosia criminale” degli altri. Ma se il libretto del Grimani non gli dà il dovuto merito, ci pensa però la musica di Händel, come nell’aria «Tacerò purché fedele» con quel bellissimo accompagnamento di violoncello all’inizio del terzo atto – che qui però viene tagliata!
Produzione di lusso che sicuramente vedremo in altri teatri europei. Su quelli italiani c’è poco da sperare.
⸪