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Franz Schreker, Die Gezeichneten (Gli stigmatizzati)
★★★★☆
Lione, Opéra Nouvel, 13 marzo 2015
(video streaming)
La bella e la bestia sull’isola della depravazione
In Die Gezeichneten (Gli stigmatizzati) «ciascuno dei protagonisti porta “un segno”: Alviano quello della bruttezza da cui è soggiogato, Tamare quello della bellezza e Carlotta il crisma del suo cuore debole ma appassionato. Tutti elementi qui identificati in personaggi diversi ma in realtà tutti aspetti della condizione umana, e della natura dello stesso Alviano, sorta di divinità creatrice […] Elysium è la creazione di un dio colpevole e Alviano è come un Faust o un Prometeo, incapace di sfuggire a sé stesso e alla sua anima. Tutto ciò che genera, in realtà, è una sua proiezione. Anche se di quell’isola, per via della sua bruttezza, Alviano si sente indegno. Carlotta è il personaggio più interessante, quello che più di tutti manifesta il desiderio sessuale. Carlotta si dà alla notte, si butta nell’isola senza inibizioni, fiera della sua individualità, è pubblicamente indipendente. Manifesta insomma, tutti i sentimenti di quest’opera: non amore, ma eros, non sentimento, ma voglia, anima, ego, desiderio». Così scriveva il regista Graham Vick alla vigilia della sua messa in scena nel 2010 dell’opera di Schreker a Palermo.
Ora a Lione, con la regia del tedesco David Bösch e la direzione orchestrale di Alejo Pérez, ritorna quest’opera “degenerata” ed è la prima volta per la Francia.
Le immagini di giovani scomparse e poi del volto terrorizzato di una di loro – sono le ragazze figlie dei ricchi borghesi rapite per farne strumento di piacere – ci introducono all’isola ideata da Alviano per la bellezza delle arti e della natura, sulla quale invece sfogano la loro libido i patrizi genovesi. Il tema attualissimo della schiavitù sessuale suggerisce al regista un’ambientazione contemporanea. In un panorama desolato il fondo è uno schermo gigante su cui sono proiettate immagini di una fredda bellezza non meno inquietante di quanto avviene in scena. La lettura “cinematografica” di Bösch è l’aspetto più interessante e la messa in scena ha un’atmosfera talora da film dell’orrore. Scioccante è la scena dell’adescamento di un bambino col palloncino da parte di uno di questi depravati che poi compare da solo col palloncino e in bocca il lecca-lecca che era servito come esca.
Schreker è stato definito come il vero erede di Wagner e in effetti il duetto finale tra Alviano e Tamare ha una una drammaticità e una ricchezza armonica quali si ritrovano nei lavori che si ascoltano a Bayreuth. Però, anche se il compositore non aderirà mai ai codici della scuola viennese, la sua musica prelude lucidamente al teatro espressionista e atonale di Alban Berg, a quella Lulu impregnata di furiosa sessualità. «La musica [di Schreker] fa crollare ogni stereotipo sessuale repressivo accettato dalla società: lo scardina, lo annulla, lo annichilisce. Nell’amplesso finale fra Carlotta e Tamare ogni parte dei due corpi in amore è nobile zona erogena che si trasforma in bellezza di canto; e mentre nell’amore estetico (ma libero!) di Carlotta per Alviano tutto l’eros è destinato – alla fine – a svanire con la realizzazione del ritratto dell’essere difforme, nell’attrazione sessuale finale che Carlotta prova per l’aitante Tamare il suo erotismo si scatena e i suoi ripetuti orgasmi toccano punte davvero estreme: addirittura vuole che Tamare la uccida proprio nel momento culminante del suo godimento! “Dammi morte! esultava il suo sguardo | Dammi gioia!”. […] La vera libertà sessuale è tutta racchiusa nelle stupende pagine musicali della partitura di Schreker: esse sono permeate da sonorità assai sensuali, non mancano cromature [sic] che disgelano i richiami erotici e gli impasti orgiastici». (Giuseppe di Salvo)
Alejo Pérez rende bene i bellissimi impasti impressionistici dei preludi e degli interludi, gli scoppi orgiastici, fino alla dissoluzione sonora del finale in cui si acquietano finalmente le pulsioni più sfrenate come pure quelle di morte. Ottima la resa dell’orchestra malgrado degli archi che si vorrebbero un po’ più intensi.
Ottimo il lavoro attoriale sui cantanti. Alviano trova nella presenza e nella tessitura tenorile di Charles Workman tutte le sfumature del carattere di questo sofferto personaggio. La Carlotta che ama l’anima di Alviano, ma desidera ardentemente il corpo di Tarare, ha in Magdalena Anna Hofmann un’interprete sensibile e dai molti colori. L’acidità del timbro forse non è quella che avrebbe voluto l’autore, ma è per lo meno funzionale alla definizione del personaggio, qui un’artista ribelle un po’ punk. Simon Neal in giubbotto di pelle nera ha la strafottenza che il ruolo di Tamare richiede, ma vocalmente è un po’ rigido.
Ottima occasione questa di conoscere il lavoro di Schreker. Aspettiamo di poter ammirare su scena anche gli altri, almeno Der ferne Klang (Il suono lontano, rappresentata nel 1912) e Der Schatzgräber (Il cacciatore di tesori, 1918).
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