Der Rosenkavalier

Richard Strauss, Der Rosenkavalier

★★★★★

New York, Metropolitan Opera House, 16 maggio 2017

(live streaming)

L’ultima Marescialla della Fleming

Renée Fleming ha cantato più di settanta volte la Marschallin nel Rosenkavalier di Richard Strauss e questa ha deciso che sia l’ultima volta. Abbandona il ruolo che forse l’ha resa più famosa e in cui ha meglio espresso le sue qualità vocali ed espressive. Con meno recite alle spalle, anche Elīna Garanča ha deciso di abbandonare la parte di Octavian per affrontare un nuovo repertorio. Nella serata trasmessa in streaming dal Metropolitan l’intesa tra le due interpreti è palpabile: la Marescialla della Fleming raggiunge il massimo pathos  e quando entra in scena questa commedia giocosa viene trasformata in uno struggente inno alla vita e al tempo che passa.

Per l’occasione Robert Carsen ha approntato una versione della vicenda trasportata dal XVIII secolo agli anni che precedono la Prima Guerra Mondiale, quelli del debutto dell’opera, avvenuto nel 1911. Faninal è un borghese arricchitosi con la vendita di armi e l’ultima immagine che vediamo nello spettacolo è una fila di soldati che muoiono sotto il cannone che avevamo visto esposto nel salone del suo palazzo. È la fine di un’era, non solo quella dell’Austria felix, ma di un intero mondo.

Nel primo atto la scenografia di Paul Steinberg ci aveva introdotti nella camera da letto della Marschallin con la fuga di saloni del principesco palazzo viennese. Nel secondo atto siamo negli ambienti più trendy del palazzo acquistato da Faninal e disegnato da un architetto Jugendstil. Il terzo è l’ambiente di un lussuoso bordello in cui quadri licenziosi  (che a un certo punto si illuminano come in un peep show) rimpiazzano i ritratti degli Asburgo di palazzo Werdenberg.

Altissima è l’attenzione attoriale da parte del regista, ma qui si va sul sicuro con gli interpreti a disposizione. Già si sapeva come la Fleming fosse un’attrice consumata, ma in questa nuova produzione sembra superare sé stessa nell’espressione controllata delle sue emozioni: la vulnerabilità, la coscienza di non essere più giovane (32 anni! ma siamo nel Settecento), il desiderio di fermare il tempo per non arrivare a quel giorno («Heut oder morgen oder den übernächsten Tag») quando sarà abbandonata da Octavian, che ha la metà dei suoi anni, e avrà trovato una ragazza più bella e più giovane di lei. Ma nel finale il regista introduce una trovata maliziosa: invece di uscire al braccio di Faninal, qui è a quello del giovane ispettore di polizia, ex intendente del marito, e probabilmente suo prossimo amante.

Se la Marschallin rappresenta il côté malinconico, crepuscolare del Rosenkavalier, il lato farsesco è impersonato dal barone Ochs, qui uno strepitoso Günther Groissböck, dalla fisicità infaticabile e vocalmente irrefrenabile nel suo marcato dialetto viennese. Mattatore nel primo atto, onnipresente nel secondo, malinconicamente fallito nel terzo, il tour de force è portato a termine in maniera spettacolare dal baritono austriaco che delinea un personaggio ben distante dalla figura bonario del “vecchio zio”: qui è un agguerrito cacciatore di doti necessarie a raddrizzare i declinanti affari di famiglia e uno che non si ferma nemmeno davanti al ricatto quando scopre la relazione della cugina con il giovane.

L’Octavian di Elīna Garanča gioca sul filo del rasoio tra femminilità e mascolinità: per ben due volte il ragazzo si traveste da donna, la seconda come una Marlene Dietrich dell’Angelo Azzurro, con esilaranti risultati. Forse troppo esilaranti per il Rosenkavalier? Sì se si pensa agli allestimenti cui siamo abituati e che spesso sono rivolti a una esaltazione della malinconia della vicenda suggerita da Hofmannsthal, no se si legge con attenzione il libretto. La Vienna di Carsen è la Vienna degli scandalosi Sigmund Freud, Karl Kraus e Arthur Schnitzler – il cui Reigen aveva destato la censura imperiale.

Con il cameo dello strepitoso Matthew Polenzani, il Cantante Italiano, il resto del cast è di ottimo livello. Erin Morley è una Sophie deliziosa ma dalle idee chiare, quasi una agguerrita suffragetta; Markus Brück un tronfio ed efficace Faninal; Tony Stevenson, il proprietario della locanda, è qui la tenutaria del bordello la cui orchestrina tutta al femminile che allieta i clienti viene direttamente dal film di Billy Wilder A qualcuno piace caldo.

Sebastian Weigle dirige con chiarezza e tempi acconci la partitura, ma è difficile dare un giudizio sui volumi sonori a causa dell’audio a tutti decibel con cui le opere in streaming vengono proiettate nelle sale cinematografiche, per lo meno qui a Torino.

Pubblicità