Richard Wagner, Parsifal
★★★★☆
Monaco, Nationaltheater, 8 luglio 2018
(diretta streaming)
Oper für Alle (opera per tutti), ma non il solito spettacolo estivo
Luglio: mentre i teatri italiani chiudono le loro porte e le strutture all’aperto si apprestano a ricevere le masse di melomani avidi di Aide e Traviate, in quel di Monaco di Baviera non si pongono il problema di mettere in scena, in un pomeriggio torrido, le quattro e passa ore del Parsifal.
I 2100 posti del National Theater non sono sufficienti a soddisfare le richieste e nella piazza antistante il teatro la folla attende da ore sotto il sole per seguire la performance di due tra i massimi artisti della scena lirica: Kirill Petrenko, direttore alla guida della Bayerisches Staatsorchester, e Jonas Kaufmann, tenore, nel ruolo titolare. Non che gli altri interpreti siano da meno: René Pape, Nina Stemme, Christian Gerhaher, Wolfgang Koch sono tra i nomi di questa attesissima produzione che vede un regista attuale, ma non controverso, come Pierre Audi, affiancarsi a un artista come Georg Baselitz in una decostruzione, disgregazione dell’ultima opera di Wagner. L’intervento dell’artista neo-espressionista però, pur se intenso, non lavora a favore della teatralità del lavoro e ne esalta la staticità e il carattere di Bühnenweihfestspiel, rappresentazione scenica sacra, ma senza cerimoniale religioso: non ci sono calici, processioni e il discoprimento del Graal si riduce a porsi le mani davanti agli occhi. Audi non risponde alle domande di chi sono i cavalieri, di che cos’è questa redenzione. Lascia quasi tutto in sospeso e la vicenda diventa una storia di auto-riconoscimento, di consapevolezza di sé di un “puro folle” che si lascia dietro le scorie dell’ignoranza per accettare la multidimensionalità della dignità umana. La redenzione dei peccati qui è il raddrizzare quello che era stato capovolto, come sono le figure del pittore tedesco.
Un Parsifal Audi l’aveva già messo in scena nel 2012 ad Amsterdam, dove le scenografie erano state disegnate da un altro grande artista contemporaneo, Anish Kapoor. Se là la scena era del tutto astratta, qui Baselitz opta invece per un disegno di rocce e alberi (atto I e III) che si accasciano sul terreno come il muro dell’effimero castello di Klingsor (atto II). Stravaganti i costumi disegnati da Florence von Gerkan: i cavalieri lasciano cadere le pesanti vesti e restano in indumenti color carne a cui sono aggiunte imbottiture per evidenziare le penzolanti nudità, «rovine di figure» secondo le parole dell’artista tedesco. Lo stesso fanno le “fanciulle in fiore”, che espongono la nudità dolorosa che vediamo nei suoi quadri. Non è sorprendente che Parsifal non sia affatto attratto da loro. Le luci di Urs Schöhnebaum lasciano sempre in ombra la scena che si accende di rosso nell’incantesimo del venerdì santo e di un bianco accecante in taluni momenti del secondo atto.
Davanti a un sipario su cui sono dipinte quattro enormi figure umane, si dipanano le note del preludio. Solenne ma non estenuata, di una sospensione piena di mistero, di qualcosa di indicibile, la lettura di Kirill Petrenko è trasparente, fatta di colori delicati nonostante la colossale orchestra. Gli impasti sonori tra fiati e archi hanno un equilibrio magico, come magica è l’eco dei cori fuori scena. I pianissimi sfumano nel silenzio, gli interventi drammatici sono lancinanti, ma sempre controllati: Petrenko sembra accarezzare i suoi strumentisti, chiedere piuttosto che imporre, e il risultato, pur se solo apprezzato nella trasmissione video e non dal vivo in sala, è stupefacente e tale da mettere in una luce inedita il lavoro di Wagner. Un giudizio di chi era presente in platea si può leggere qui e conferma l’impressione.
Ottima la regia video con primi piani che ricordano le inquadrature dei film di Bergman ed esaltano la prestanza attoriale degli interpreti, qui quasi insuperabili. Il liederista Christian Gerhaher disegna a meraviglia un sofferto Amfortas cui presta tutte le sfumature necessarie. Fuori scena Bálint Szabó è un autorevole Titurel, mentre René Pape riprende per l’ennesima volta la parte di Gurnemanz cui dedica tutta la sua sapienza di fraseggiatore e fine narratore. Un Klingsor più losco che temibile è quello di Wolfgang Koch mentre Nina Stemme è una Kundry intensa, che passa dagli acuti al registro più profondo alle grida con grande sicurezza.
E infine Jonas Kaufmann. Finalmente nel suo repertorio, delinea un Parsifal che evolve dalla cautela con cui osserva l’ambiente del primo atto, alla sicurezza del secondo, alla finale presa di coscienza, con una ricchezza di voci e un’espressività che rendono estremamente umano il personaggio. Non c’è difficoltà vocale che non renda con agio e convinzione. Un ruolo in cui lascia una traccia indelebile e da cui sarà difficile prescindere in futuro.
Alla fine della rappresentazione, salutata da fragorosi applausi, gli artisti escono fuori per ricevere le acclamazioni del pubblico della piazza, acclamazioni che diventano ovazioni per il direttore musicale e per il tenore. Molti i “bravi” gridati dal pubblico, indice della presenza di non pochi italiani (all’estero “bravo” è anche femminile e plurale…). Quelli stufi delle solite Aide e Traviate.
⸪