Phaéton

Jean-Baptiste Lully, Phaéton

★★★★☆

Versailles, Opéra Royal, 2 giugno 2018

(video streaming)

Il Sole sul carro e il Sole sul trono

Allegoria della divorante ambizione per il potere, la tragédie lyrique su libretto del Quinault (tratto dalle solite Metamorosi ovidiane) si sviluppa musicalmente in un declamato arioso strettamente legato alla parola che nel 1683 andava contro corrente rispetto a quanto si faceva nell’opera veneziana,  dove la forma aria-recitativo assumeva il predominio. Per certi verso il Phaéton di Lully è quindi il testimone oltralpe del recitar cantando nato a Firenze e divenne fondamentale per l’opera francese, essendo la sua “sublimità retorica” pienamente congeniale alla corte del Re Sole.

E anche qui si parla del Sole, o meglio del carro del Sole secondo la vulgata mitologica, su cui salirà per la prima e ultima volta, giacché ci perderà la vita, Fetonte.

Il prologo ha il consueto fine encomiastico, celebrativo delle qualità del monarca: nei giardini del palazzo di Astrea si celebra «un eroe cui spetta gloria immortale» e i personaggi divini proclamano l’avvento di una nuova età dell’oro (quella di Luigi XIV) in cui regnano pace e giustizia. Nella rielaborazione di Quinault, il mito di Fetonte viene arricchito da un intreccio di carattere sentimentale: Teone, figlia di Proteo, capisce che Fetonte non l’ama più e intende sposare Libia, figlia del re Merope, per diventare re d’Egitto. Climene, madre di Fetonte, dapprima sostiene il figlio nei suoi progetti, ma dopo la profezia di morte di Proteo cerca invano di dissuaderlo. Merope annuncia di aver scelto Fetonte come proprio successore, provocando la disperazione di Libia, che ama riamata Epafo, figlio di Iside. Quest’ultima rifiuta le offerte sacrificali di Fetonte, che vengono distrutte nel suo tempio trasformato in un abisso abitato dalle Furie. Per dimostrare le proprie origini divine al rivale Epafo, Fetonte ottiene dal padre, il Sole, di guidare il suo cocchio, ma quando perde il controllo rischiando di incendiare la Terra viene colpito da un fulmine di Giove.

Non è facile capire il parallelismo del Re Sole con uno dei personaggi dell’opera. Certo non con Fetonte, la cui ambizione si rivela mortale, ma neppure con il Sole (Apollo), un dio che vede il figlio distrutto sotto i propri occhi. Allora non rimane che Giove, dispensatore di punizione a chi troppo ambisce, ma purtroppo non si sa come venne effettivamente letta a corte questa allegoria.

C’è chi visto nel Phaéton di Lully un’allusione alla caduta di Fouquet, colpevole di essersi troppo elevato alla corte del Re Sole. Ma il tema è sempre attuale e la messa in scena di Benjamin Lazar gioca con i luoghi e i tempi mescolando pronuncia antica e gesticolazione dell’epoca barocca con i fantasiosi costumi di Alain Blanchot e le scenografie di Mathieu Lorry-Dupuy, a un tempo sobrie e monumentali, con prismi dorati per la scena del palazzo del Sole. Invece delle coreografie alla fine del II atto vengono proiettati video di parate militari di tutte le epoche – un’altra forma di esibizione del potere – e immagini caleidoscopiche.

Vincent Dumestre, alla guida di un nutrito ensemble formato dal Poème Harmonique e dagli strumentisti di MusicÆterna, ottiene un ricca tavolozza di colori aiutato da un coro impegnato anche in passi di danza. Eccellente il reparto vocale femminile in cui Eva Zaïcik delinea una casta Libye, Lea Trommenschlager un’autorevole Clymène e Victoire Bunel una sensibile Théone. Nonostante un ruolo musicalmente poco impegnativo, lo haute-contre Mathias Vidal riesce a creare un Phaéton di rara eleganza ed efficacia, certo non a rendercelo simpatico, impresa impossibile. Ma è Cyril Auvity (nelle tre parti del Sole, del Tritone e della Terra ferita) a destare la maggiore impressione dal punto di vista vocale. Altrettanto degna di nota è la resa vocale di Lisandro Abadie, anche lui nell’impegno triplice di Epaphus, Jupiter e Saturn in cui fa rifulgere un’ampia tessitur. Nelle parti minori figurano efficacemente Elizaveta Svešnikova (Astrée), Aleksandre Egorov (Merops) e Viktor Šapovalov (Protée).

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