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Wolfgang Amadeus Mozart, Idomeneo
★★★☆☆
Salisburgo, Felsenreitschule, 27 luglio 2019
(video streaming)
L’Idomeneo di Sellars e l’attualità del mito
La città è minacciata dalle acque: l’ira di Nettuno o il global warming? Idomeneo si gioca il futuro sacrificando il figlio come facciamo noi oggi con il nostro pianeta. Ecco il konzept suggerito da Peter Sellars per la sua messa in scena della prima opera seria con cui Mozart conquistava il pubblico della corte bavarese al Teatro Cuvilliés di Monaco nel gennaio 1781.
Questo Idomeneo è frutto della sua seconda collaborazione con Teodor Currentzis dopo La clemenza di Tito del 2017, l’ultima opera seria del salisburghese. Quella era centrata sui temi del terrorismo e delle migrazioni, questa su quello ecologico, non una gran novità di questi tempi e nel caso dell’Idomeneo ci aveva già pensato Michieletto nel 2013.
Sia il regista che il direttore esprimono un approccio molto disinvolto, soprattutto il secondo si prende molte libertà, come è il suo solito. Currentzis effettua un drastico taglio dei recitativi realizzando un continuum musicale in cui si perde l’equilibrio tra arie e “pause” recitate su cui si basa l’opera seria settecentesca di cui l’Idomeneo è la sintesi e l’ultimo vero prodotto. Ma non è l’unica libertà: riprese e cadenze molto libere, interludi al pianoforte, lunghe pause di silenzio. Se Arbace è privato di entrambe delle sue due arie, musiche estranee all’opera vengono invece introdotte: il terzo atto inizia con un numero del Thamos, re d’Egitto K345 dove la voce del Gran Sacerdote, qui quella di Nettuno, ammonisce i mortali: «Figli della polvere, tremate e rabbrividite | prima di insorgere contro gli dei! | Il fulmine vendicatore li protegge | contro il vano affronto dell’empio!» con il coro, schierato in platea. Inaspettato ma comunque congruo con la drammaturgia in quel momento. Un’altra novità è la scena con rondò della versione del 1786, «Non temer, amato bene», per Idamante prima del suo sacrificio. Per Elettra invece c’è l’intromissione dell’aria da concerto con pianoforte «Ch’io mi scordi di te» inserita al terzo atto. Nella drammaturgia di Antonio Cuenca Ruis manca anche la scena del sacrifico così che si passa subito all’intervento della voce di Nettuno e allo scioglimento del voto. Musiche strumentali prendono poi il posto del consueto finale formato dall’aria di Idomeneo «Torna la pace al core» e dal coro «Scenda Amor, scenda Imeneo». Di quel che rimane delle musiche originali si ammira comunque la capacità del direttore di gettare nuova luce su una musica che si pensava di conoscere bene: la trasparenza orchestrale, la dolcezza degli andanti, la frenesia dei momenti drammatici, la terribilità del coro «Oh voto tremendo». Validi strumenti sotto la sua bacchetta sono la Freiburger Barockorchester e il coro MusicÆterna di Perm su cui ha fatto un apprezzabile lavoro il direttore Vitaly Polonsky.
Nella regia di Sellars i personaggi sono quasi sempre presenti in scena, così che alcuni numeri musicali cambiano di significato perdendo il loro effetto, come nel caso della seconda aria di Elettra con Idamante lì accanto a lei, così che lo struggente canto solitario della donna diventa un’aria di seduzione per trattenere l’amato. E Idamante diventa banalmente l’eterno indeciso tra le due donne. Il regista manca alcuni momenti come quello della tempesta, che qui ha poco di terribile o la confessione di Idomeneo davanti al popolo, cadaveri ai suoi piedi vittime del mostro marino.
Nel suo sempre elegante e suggestivo apparato scenografico George Tsypin non utilizza il caratteristico fondale di pietra della Felsenreitschule: tutto si svolge sul palcoscenico, dove tubi trasparenti e luminosi spariscono nel pavimento, come le colonne del tempio di Nettuno. Forme traslucide ingombrano la scena, oggetti spiaggiati che poi vengono minacciosamente sospesi.
Al coro e agli interpreti è affidata un’ampia gesticolazione mentre i momenti coreografici sono condensati nei pochi minuti del finale con una specie di pantomina di Lemi Ponifasio affidata ai due danzatori Brittne Mahealani Fuimaono e Arikitau Tentau, quest’ultimo proveniente dalle isole del Pacifico che per prime spariranno sotto l’acqua a causa dell’innalzamento del livello degli oceani. Come succede talora nel teatro di regia l’idea prevale sulle necessità drammaturgiche e qui non si sentiva la mancanza di questa aggiunta, per di più su musiche estranee all’opera. Bruttocci sono i costumi di Robby Duiveman in cui le divise militari, mimetica azzurro mare per i greci e color terra per i cretesi, in realtà sembrano dei pigiami.
Russell Thomas è un nobile e autorevole Idomeneo, di bel timbro ma le agilità non sono la sua cosa migliore. Paula Murrihy è Idamante en travesti, vocalmente corretta ma il personaggio è piuttosto latitante. Sorpresa della serata è la Ilia di Ying Fang, voce di bellissimo colore, intensa espressività e buona dizione dell’italiano, cosa rara in un cantante orientale. Il soprano cinese incanta nel suo «Zeffiretti lusinghieri» intonato sul tempo espanso scelto da Currentzis e poi ancora nel duetto seguente, reso dal regista con grande sensibilità. Nicole Chevalier è un’Elettra di temperamento ma un po’ sopra le righe, secondo le richieste registiche, anche se non lesina legati e mezze voci in «Soavi zeffiri soli spirate» su un accompagnamento delicatissimo dell’orchestra e del coro e prima ancora in «Idolo mio, se ritroso». Grande successo di pubblico ha la sua aria da concerto. Efficace il resto degli interpreti.
Nella ripresa televisiva, lo stesso Sellars insiste con primissimi piani che cambiano totalmente la percezione dello spettacolo visto dal vivo. Un altro elemento che rende questo Idomeneo molto diverso, cosa non del tutto positiva.
⸪