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Christoph Willibald Gluck, Orfeo ed Euridice
★★★★☆
Roma, Teatro dell’Opera, 19 marzo 2019
(registrazione video)
La “bella semplicità” di Orfeo
Coprodotto col Théâtre des Champs-Élysées, Château de Versailles Spectacles e Canadian Opera Company, arriva a Roma lo spettacolo di Robert Carsen del 2011. La versione originale del lavoro di Gluck va in scena in un teatro dove, parecchi decenni fa, nella parte di Orfeo si alternavano mezzosoprani en travesti – dalla Besanzoni alla Stignani alla Barbieri – mentre nell’originale viennese del 1762 la voce fu quella del castrato Gaetano Guadagni, apprezzato per il suo caldo registro centrale, dicono le cronache dell’epoca.
Qui debutta nel ruolo Carlo Vistoli, un contraltista già ampiamente affermato che ha dimostrato ancora una volta la bellezza naturale e la morbidezza del suo timbro, la chiara dizione e l’eccezionale proiezione per un registro di voce così particolare. Le doti recitative gli permettono di reggere magnificamente la scena su cui è sempre presente nei tre atti eseguiti senza intervallo, così da concentrare la tensione della vicenda. Ne esce un Orfeo sinceramente segnato dalla sofferenza, ma che non perde mai di musicalità e proprietà di stile. Di Vistoli non si sa se ammirare di più le arie, tra cui la gemma melodica del «Che farò senza Euridice» qui eseguita con un da capo ricco di eleganti variazioni, o gli intensi recitativi.
Mariangela Sicilia è sensuale, umana ed espressiva nella breve ma intensa parte di Euridice. Emőke Baráth è l’unica interprete che ha portato Amore di questa produzione – quasi un alter ego di Orfeo in quanto vestito esattamente come lui – sulle tavole di Versailles e conferma la freschezza della sua linea di canto.
Robert Carsen allestisce la vicenda in una modernità senza tempo, uno spazio scenico quello di Tobias Hoheisel depurato di ogni orpello: una distesa di terra in cui si apre la buca per la salma di Euridice, una buca attraverso la quale si accede all’altro mondo, come già avveniva nel suo Zauberflöte. Il tutto è immerso nelle luci radenti dello stesso Carsen e di Peter van Praet. Unici elementi scenici sono delle tazze contenenti una fiamma che si trasforma in acqua nella scena dei Campi Elisi. Il rapporto tra Orfeo ed Euridice qui è più fisicamente stretto in quanto essi non si ignorano, ma solo quando i loro sguardi si incrociano avviene la trasgressione del divieto con conseguente seconda morte della donna.
È un Orfeo con lieto fine questo di Gluck. Il compositore ha affidato a questa “azione teatrale” il ruolo di manifesto del rinnovamento del teatro musicale e nella concezione sia drammatica che musicale il suo è un lavoro di rottura con l’opera seria del passato e la sua artificiosità per inaugurare una nuova “bella semplicità” in cui azione e musica si fondono in un insieme che porterà al Musikdrama wagneriano. La purezza della versione originale ha un riscontro non solo nel rarefatto allestimento di Robert Carsen, ma anche nelle scelte musicali del direttore Gianluca Capuano che depura il gesto del vibrato e lo consegna a un suono secco e a frasi nette, ma il maestro, esperto del barocco, avrebbe ottenuto esiti decisamente migliori con un’orchestra più attenta ed abituata a questo repertorio. Qui il risultato è appena apprezzabile. Anche dal coro ci si poteva aspettare un’esecuzione più attenta. Impietoso il confronto con I Barocchisti diretti da Diego Fasolis al Théâtre des Champs-Élysées (in rete ci sono i dieci minuti iniziali).
Purtroppo non ha migliorato le cose la deludente registrazione video, con due telecamere fisse e una captazione del suono che privilegia troppo l’orchestra.
⸪