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Pascal Dusapin,Macbeth Underworld
★★★★☆
Bruxelles, La Monnaie, 20 settembre 2019
(video streaming)
Macbeth aux Enfers
Ci sono ancora oggi teatri che aprono la loro stagione con un’opera nuova, mai ascoltata prima: un rischio, certo – anche se fino a un secolo fa questa era quasi la regola – ma che in questo caso si è rivelato un successo per il teatro di Bruxelles con il Macbeth Underworld di Pascal Dusapin, compositore francese classe 1955, che riporta un suo lavoro alla Monnaie dopo la Penthesilea di cinque anni fa. Musicista da sempre legato alle avanguardie musicali del suo tempo, Dusapin ha avuto come maestri Messiaen, Xenakis e Donatoni e per il teatro ha scritto opere tra le quali Perelà uomo di fumo (2003), commissionato dalla Filarmonica della Scala, Faustus Last Night (2006) per l’Opéra di Lione e la Staatsoper di Berlino, Passion (2008) per il Festival di Aix-en-Provence. Macbeth Underworld è la sua settima opera lirica.
In un prologo e otto capitoli, il libretto di Frédéric Boyer in inglese zeppo di citazioni dall’originale scespiriano, si concentra su pochi personaggi: Macbeth, la Lady, il fantasma (non necessariamente di Banquo), «Three Weird Sisters» che prendono il posto delle streghe e un portiere – l’azione avviene infatti in un ambiente che potrebbe essere l’aldilà oppure anche solo un incubo della coppia. Quando si dice azione si esagera perché ben poco succede e il lavoro ha un carattere quasi oratoriale. Solo la messa in scena ci fa comprendere che in questo “aldilà” Macbeth e la moglie sono condannati a rivivere i criminosi avvenimenti della loro vicenda criminale.
Il regista Thomas Jolly ha lavorato a stretto contatto con il compositore per la realizzazione dell’opera, come racconta egli stesso: «Quando ho incontrato Pascal Dusapin la partitura non era ancora completa: ma bisognava comunque che io costruissi il mio progetto registico. L’ho invitato dunque a parlarmi della sua musica utilizzando aggettivi ed espressioni che io ho trascritto: ho perciò messo su la regia senza aver ascoltato la musica. Dopo sono arrivate le prove con il piano, ho fatto qualche aggiustamento, ma è stato solo una settimana fa che ho sentito interamente la musica. Riconosco che è stata una fortissima emozione vedere all’improvviso la traduzione musicale di ciò che Pascal mi aveva detto».
La partitura è ricca di trame sontuose, esplosioni minacciose e climi inquietanti, punteggiati da momenti di stasi, echi di musica dell’era elisabettiana – in orchestra c’è anche un arciliuto – e momenti solistici sulla scena affidati a un violinista. La componente delle percussioni è molto varia, con strumenti provenienti dall’Africa, dall’America Latina e dal Tibet. Un organo dà il tono solenne e ultraterreno. Dusapin chiede molto ai cantanti e impegna in tessiture impervie e stratosferiche le tre sorelle. Di volta in volta utilizza un sistema piuttosto singolare: una lunga nota con un testo di più parole ma nessun ritmo preciso e spetta ai cantanti imprimere il proprio ritmo sulla frase monodica e il compositore sorprende per una prosodia che a volte è contraria al ritmo naturale della lingua. Altri “colori” vocali utilizzati, come il canto con molto respiro, con o senza intonazione, o Sprechgesang – fanno parte del vocabolario vocale classico del XX secolo.
La messa in scena di Jolly è buia, punteggiata da lame di luce. Una grande piattaforma girevole incorpora tre piattaforme più piccole consentendo così interazioni straordinariamente complesse tra alberi scheletrici, un arco a colonne sormontato dalle corna di un cervo e incorniciato da atlanti, scale a chiocciola in metallo, un letto che inghiotte la Lady e un lavandino dal cui rubinetto esce sangue. I personaggi si arrampicano su e giù per il set o fra i rami indossando i particolari i costumi di Sylvette Dequest: quelli del coro femminile sono fatti di ragnatele grigie, il fantasma indossa una scintillante ferita da pugnale e il portiere con un candelabro in mano ha i capelli rossi da clown e una gorgiera. Bruno de Lavenère disegna un incubo, una giostra sinistra e macabra che rinchiude i personaggi in una scenografia sempre in movimento, proprio come in un sogno dove lo spazio è in una ininterrotta metamorfosi. Determinante è il suggestivo gioco luci di Antoine Travert
Il tutto è però freddo e cerebrale e non si arriva mai a partecipare al dramma dei personaggi nonostante la eccezionale bravura degli interpreti: la Lady che ha dimenticato le brame di potere e ora è una moglie preoccupata per il suo matrimonio e con il ricordo di un figlio morto è una vocalmente inappuntabile Magdalena Kožená; Macbeth, per cui «è meglio essere con i morti che essere tormentati dagli spasimi dello spirito», ha la voce purissima e diabolicamente estesa di Georg Nigl; il fantasma ha l’imponente figura di Kristinn Sigmundsson; le tre fantastiche sorelle sono affidate a Ekaterina Lekhina, Lilly Jørstad e Christel Loetzsch; il portiere è l’attempato Graham Clark. Alain Antinoglu dimostra anche questa volta la sua maestria in questo repertorio dirigendo i suoni impietosi della complessa partitura.
⸪