Falstaff

 

Giuseppe Verdi, Falstaff

★★★☆☆

Parma, 10 ottobre 2011

(registrazione video)

«Cessi l’antifona. La urlate in contrattempo» …

… dice Falstaff a Bardolfo e Pistola, ma in questa edizione sembra che i due ribaldi non vogliano seguire il suo consiglio e continueranno per tutta l’opera a urlare in contrattempo. Non molto meglio sono gli altri cantanti. Il Ford di Luca Salsi non lascia il segno e il quartetto delle donne talora ha imbarazzanti problemi di intonazione. Per fortuna che Ambrogio Maestri invece, indiscusso interprete del ruolo titolare, sfoggia le sue doti di musicalità e presenza scenica a favore di questa edizione del 2011 dal Teatro Farnese di Parma che fa parte del cofanetto “Tutto Verdi” a celebrazione del bicentenario della nascita del maestro di Busseto.

«I casi in cui si articola la vicenda del Falstaff sono ancora affini a quelli consueti del melodramma verdiano e fanno perno su quella passione che è la molla di quasi tutte loro trame: la gelosia. Soltanto che qui essa è vista sotto l’angolo di una favolosa saggezza senile, che tutti i casi della vita avvolge in una serena comprensione: come se il vario spettacolo degli affanni umani fosse visto non dall’interno, con partecipazione appassionata, ma da un’altezza immensa, o con un cannocchiale rovesciato, sì che la stessa piccolezza dei protagonisti produce un effetto comico». (Massimo Mila)

Intimorito dalla storica cornice e impossibilitato a usare gli apparati tecnici di un teatro moderno, lo scenografo Jamie Vartan si limita a costruire un fondale dipinto, delle lenzuola appese a dei fili e pochi mobili di scena, tra cui l’enorme letto di Falstaff la cui testiera è ingentilita da un palco di corna di cervo. Con queste scene e costumi rigorosamente d’epoca (surreale il paggio nell’armatura) il regista Stephen Medcalf costruisce un piacevole spettacolo che non ha momenti morti.

Il giovane e attivissimo Andrea Battistoni (la sua pagina web rigurgita dell’incredibile numero di impegni operistici, sinfonici e cameristici che lo vedono coinvolto) compensa come può l’infelice acustica del teatro con l’impeto della sua età, ma così si perde l’affascinante intreccio del “canto di conversazione”, la malinconia e l’ironia che rendono unico il testamento artistico del Nostro. Sembra poi più interessato a dipanare gli aspetti orchestrali della partitura che a fare una vera e propria concertazione con i cantanti. Esemplare è l’ultima scena in cui non si raggiunge mai un momento di omogeneità e coesione tra le tante voci in scena.

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