La scuola de’ gelosi


Antonio Salieri, La scuola de’ gelosi

★★★☆☆

Torino, Teatro Regio, 15 maggio 2022

Salieri ha fatto scuola

Senza tema di sbagliare si può dire che, a parte la ristretta cerchia degli eruditi, la figura di Antonio Salieri sia nota al grande pubblico, nel bene e nel male, solo grazie al film Amadeus in cui Shaffer (autore del testo) e Forman (regista) costruiscono un personaggio in gran parte di fantasia ma che ha la convincente presenza dell’attore F. Murray Abraham. Ma prima ancora, a dipingere il compositore di Legnago sotto una luce sinistra era stato Puškin con la sua pièce del 1830 Mozart e Salieri in cui la gelosia di Salieri per il giovane compositore di Salisburgo lo spinge ad avvelenarlo. La realtà storica è un’altra cosa e chissà se c’è stata veramente una rivalità tra i due musicisti, che arrivarono a comporre congiuntamente una cantata nel 1785, Per la ricuperata salute di Ofelia, su testo di Da Ponte, commissionata dal marito della cantante Nancy Storace.

Pochi mesi dopo aver inaugurato il nuovo Teatro alla Scala con Europa riconosciuta, il 28 dicembre 1778 al Teatro San Moisè di Venezia Antonio Salieri presenta la sua quindicesima opera: ambientata in Milano, è La scuola de’ gelosi, dramma giocoso su libretto di Caterino Mazzolà. Il cast è formato da interpreti che ritroveremo nelle future opere di Mozart – Nancy Storace (qui Contessa) sarà la prima Susanna delle Nozze, Francesco Benucci (Blasio) il primo Figaro, Francesco Bassani (Lumaca) il futuro Don Alfonso di Così, Michael O’Kelly (Conte) il primo Don Basilio – o che avevano già fatto parte di opere precedenti – Caterina Cavalieri (Ernestina) era stata Konstanze e Theresia Teyber (Carlotta) Blonde nel Singspiel Die Entführung aus dem Serail.

Quella del 1778 fu la prima di una lunga serie di versioni che hanno reso la vita difficile a chi ha voluto ricostruire l’edizione critica de La scuola de’ gelosi. Già una seconda versione fu messa in scena a Vienna il 22 aprile 1783 e qui la novità fu l’inserimento di alcune arie scritte da Lorenzo Da Ponte, il suo primo contributo all’opera buffa. Il librettista di Mozart scriverà poi per Salieri La scuola degli amanti, che il compositore però non completerà e diventerà il sottotitolo del Così fan tutte mozartiano, mentre nel 1795 scriverà La scuola dei maritati per Vicente Martín y Soler.

Atto I. È notte. Blasio, ricco commerciante, sveglia la cameriera Carlotta e il servitore Lumaca: credendosi tradito dalla moglie Ernestina, intende setacciare la casa alla ricerca di un intruso. I servitori sono esasperati e Carlotta osserva che nessun geloso è mai riuscito a impedire di essere tradito. Blasio vuol mettere Ernestina sotto chiave, perciò manda Lumaca a comperare un lucchetto: insegnerà al mondo come si custodisce una moglie. Ernestina è esacerbata dalla gelosia del marito e quando Carlotta le recapita un biglietto galante, si chiede se non dovrebbe alla fine cedere alle attenzioni di un altro uomo. Blasio, che le ha sorprese a confabulare, si impossessa del biglietto, ma ciò che gli è stato fatto prendere è solo un innocuo ritaglio di giornale. Il Conte, passeggiando nel giardino del suo palazzo, pensa alle donne: ognuna ha un’affascinante particolarità, e lui le desidera tutte. Quando la Contessa gli si avvicina, lamentando la sua indifferenza, la invita a cercare delle distrazioni e gli addita il Tenente, che si sta avvicinando; con il proprio atteggiamento, il Conte mette entrambi in imbarazzo. Il Tenente lo rimprovera: la Contessa meriterebbe il suo amore, ma il Conte non si sente più attratto dalla moglie e in cerca di avventure, tenterà l’impresa più difficile per un seduttore: conquistare la moglie di Blasio, il principe dei gelosi. Il Tenente compiange la Contessa: chi vuole essere amato, non dovrebbe mostrare il proprio amore. Blasio rincasa preoccupato: a seguito di una querela, deve affrontare un processo che sarà presieduto dal Conte. In quel momento si presenta proprio il Conte che rassicura Blasio: farà annullare la causa nei suoi confronti. Quando finalmente riesce a farlo allontanare, spiega a Ernestina di aver inscenato la querela per poterla incontrare. Blasio rientra con una scusa. Il Conte lo provoca, affermando che le mogli dei gelosi sono le prede più facili: non è possibile — riflette — non provare pietà per il dolore di una donna trascurata. Ma Blasio vuole custodire Ernestina proprio perché l’ama: nessuno riuscirà a entrare in casa sua. Partito Blasio, Ernestina si prepara per uscire; può farlo perché Lumaca le ha procurato un’altra chiave per il lucchetto: poiché Blasio la trascura, troverà il modo per farlo disperare. Al Conte, che si rifà vivo, propone di far visita insieme all’Ospedale dei Pazzi, per osservare che fine fanno i gelosi: i due si avviano insieme, ma Blasio rientra inaspettatamente, e dopo di lui si presenta la Contessa, con la scusa di prendere Carlotta, destinata a passare al suo servizio. Quando scopre che Ernestina è uscita in compagnia del Conte, si infuria: sopraffatta dallo sdegno, non sa come comportarsi. Presso il Manicomio degli Amanti Gelosi, Blasio si appresta a spiare Ernestina e il Conte. Sulle tracce del Conte giungono anche la Contessa e Carlotta: travestite da zingare, fingono di leggere la mano al Conte e a Ernestina, e hanno facile gioco a metterli in imbarazzo. Infine Blasio, fuori di sé, esce dal suo nascondiglio: ne segue un generale battibecco.
Atto II. Lumaca si presenta a casa del Conte e chiede a Carlotta se Blasio può essere ricevuto. Lumaca è attratto da Carlotta, ma sa che per averla dovrebbe sposarla; meglio pensarci bene: a giudicare dai padroni, l’amore può rendere infelici… Sopraggiunge Blasio, che si lamenta con il Conte dell’imbarazzante situazione in cui lo ha messo corteggiando Ernestina. Il Conte risponde mostrandogli la propria galleria d’arte, con i ritratti di Vulcano e Giunone, due innamorati gelosi che si sono resi ridicoli. Ne segue un litigio tra il Conte e la Contessa. Il Tenente ha un’idea: la Contessa e Blasio dovrebbero usare la stessa strategia del Conte, e fingere indifferenza per i consorti; si dovrebbe poi far venire Ernestina al palazzo e mostrarle il ritratto di una donna, insinuando che si tratti dell’amante di Blasio. Inizialmente esitante, Blasio mette in opera il piano e in effetti l’interesse di Ernestina si rivolge repentinamente al marito, presunto infedele. Ma quando Ernestina si allontana, Blasio è di nuovo vittima della gelosia. Il Tenente esorta Blasio e la Contessa a perseverare nel piano. Il Conte è perplesso per l’improvvisa indifferenza della moglie; quando Blasio si allontana, il Tenente insinua che abbia un amante e il Conte si preoccupa: solo le mogli dei mariti gelosi cedono facilmente. Il Tenente suggerisce poi alla Contessa di far credere al Conte di avere un amante. Perciò scrive un biglietto galante a lei indirizzato, da far cadere nelle mani del Conte. Quando questi si allontana con Ernestina, la Contessa medita sull’atteggiamento del marito: amareggiata, si augura che torni a desiderarla come un tempo. Presso una casa di campagna, Ernestina è in attesa del Conte, il quale, venuto in possesso del biglietto indirizzato alla Contessa, è adirato col Tenente. Il Conte ha invitato lì Ernestina col pretesto di sorprendere Blasio e la sua amante e Blasio, sempre attanagliato dalla gelosia, li ha seguiti, accompagnato da Lumaca. Nascosto, ascolta la loro conversazione e non riesce a trattenersi dal ripetere, come in un’eco, le loro parole, facendosi così sorprendere. Ma inopinatamente compaiono la Contessa e il Tenente, accompagnati da Carlotta. Travestiti da pastori, decantano le gioie delle scappatelle. Le due coppie di sposi si trovano faccia a faccia e tutti sono convinti di aver ragione di essere gelosi. È a questo punto che il Tenente risolve la situazione, rivelando che le due tresche — la propria con la Contessa e quella di Blasio con la donna del ritratto — sono fittizie. La vicenda si conclude, così, tra reciproche assoluzioni e rinnovate promesse di fedeltà.

L’opera di Salieri è sul solco del teatro settecentesco veneziano in cui venivano sviluppate situazioni comiche sul «lucido disincanto rispetto alla passione amorosa», scrive nel programma di sala Elena Biggi Parodi, massima esperta della musica di Salieri, che continua: «la licenziosità dell’opera barocca veneziana, densa di provocazioni sessuali, indicava al pubblico come gli impulsi erotici di cui ciascuno è preda siano illusori e passeggeri». Un atteggiamento cinico che si ritrova in molti punti del libretto. Ma La scuola de’ gelosi anticipa anche chiaramente la trilogia dapontiana o certo Rossini, con la Contessa che richiama la analoga Contessa delle Nozze, il Conte che è metà Almaviva metà Don Giovanni, Carlotta la Susanna ancora delle Nozze, il Tenente il Don Basilio sia delle Nozze sia de Le barbier de Séville di Beaumarchais. E anche in quest’ultima pièce troviamo sia lo scambio dei bigliettini sia la lezione di musica.

Possiamo verificare tutto ciò con lo spettacolo allestito dal Teatro Regio di Torino e proveniente dalla Kammeroper des Theaters an der Wien, una piccola sala di trecento posti. Previsto per la sede più adatta del Piccolo Regio, l’ex commissaria straordinaria ha voluto invece che fosse messo in scena nella sala principale così che questo gioiellino settecentesco deve vedersela con le inusitate dimensioni del teatro grande e lo scenografo Christof Cremer deve ridurre a circa un terzo della larghezza del palcoscenico il suo minuscolo ambiente. Ambiente genialmente ideato che permette i vari cambi di scena tramite una struttura rotante a puzzle messa in moto da un danzatore la cui presenza non sembra ulteriormente necessaria. L’iperdecorativismo della scena si riflette anche nei costumi di taglio contemporaneo disegnati dallo stesso Cremer mentre la regia di Jean Renshaw gestisce con fluidità l’andirivieni dei personaggi ma non può far molto con la psicologia schematizzata dei personaggi, anche se alcuni tocchi arguti insaporiscono la recitazione.

La musica di Salieri è molto ben costruita, con attenzione ai particolari colori degli strumenti e al trattamento delle voci, ma forma una specie di continuum ritmico che a lungo andare genera una certa monotonia, che la direzione corretta ma senza guizzi di Nikolas Nägele non tenta di alleviare. Molto interessanti sono le improvvisazioni al clavicembalo di Jeong Un Kim che qui accompagnano le esibizioni dell’invadente ballerino. E soprattutto resta la bellezza di certi numeri musicali magistralmente costruiti in cui la dicotomia recitativo-aria viene superata per realizzare delle vere e proprie scene complesse e di indubbia efficacia teatrale.

La compagnia di canto si è rivelata eterogenea, con punte di eccellenza per la Contessa di Elisa Verzier dal bel timbro omogeneo in tutti i registri. La sua prima aria «Gelosia, dispetto e sdegno | lacerando il cor mi vanno» arriva solo prima del finale primo, ma è sufficiente per delineare il suo carattere che ritroveremo in quello della Contessa mozartiana. Ancora più significativa l’aria del secondo atto «Ah, già sia de’ miei sospiri | sazio il fato e sazio il ciel», una delle quattro arie scritte da Da Ponte. L’altra interprete femminile degna di nota è Anna Marshania (Carlotta) che canta invece la prima aria in questa edizione: «Gelosia d’amore è figlia, | ma da quella l’odio nasce», che afferma la contraddizione del sentimento amoroso quando degenera in cieca gelosia. Il mezzosoprano austriaco si dimostra cantante e attrice di solida presenza. Adolfo Corrado (Lumaca) è il primo che vediamo in scena e da quel momento la sua simpatica presenza ci accompagnerà nei momenti più buffi della vicenda. «Che figura! … Com’è brutta! … Vado? … Sto? .. Cos’ho da far?»: nelle tenebre della notte scambia il padrone stesso per un intruso in una situazione che il libretto descrive con precisione quasi cinematografica: “Nell’entrare che fa nella porta, dove prima è entrato Blasio, urta con lui, che esce armato: gli ammorza il cerino e sbigottito ritorna indietro tremando in mezzo alla scena. Blasio pure tremante lascia cadersi le pistole di mano”. La grande proiezione della voce fa del basso-baritono un sicuro interprete che affronterà questa estate all’Arena di Verona la parte del Gran Sacerdote di Belo nel Nabucco verdiano. Un’altra voce grave è quella del russo-uzbeco Askàr Lahskin (Blasio) il «biadaiuolo, marito geloso», che si esprime soprattutto in recitativi e in pezzi di insieme, ma che nel secondo atto ha un bellissimo pezzo solistico, «Adagio… allor potrei… | È moglie, io son marito…», anche questa scritta da Da Ponte, una scena più che un’aria vera e propria, in cui il cantante esprime con efficacia l’inettitudine del suo personaggio. Meno efficaci risultano invece il Conte di Omar Mancini, voce chiara ma di poco spessore e interpretazione poco focalizzata, e la Ernestina di Carolina Lippo, voce esile e dalle agilità poco sostenute. Strana figura quella del Tenente «uomo di spirito» che Joan Folqué risolve con uno svagato tono lirico ironico e appropriato al personaggio che ha un momento importante nel primo atto, «Ah non siate ognor sì facili | donne belle a dare il cor», un’altra delle arie di Da Ponte.

Questa del Teatro Regio è una proposta molto interessante che ha divertito il pubblico torinese facendogli conoscere uno dei compositori di maggior successo del Settecento.

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