Alcina

 

foto © Jean-Guy Python

Georg Friedrich Händel, Alcina

★★☆☆☆

Losanna, Opéra, 6 marzo 2022

(video streaming)

Alcina, disincantata incantatrice

Stefano Poda è riuscito nell’impresa, che si pensava impossibile, di rendere noiosa l’Alcina di Händel con una regia senza drammaturgia, uno sventolare di mantelli, uno sfoggio di costumi, lente passeggiate e gesticolazione manierata come neanche Pier Luigi Pizzi mette più in scena da almeno quarant’anni, e comunque con molta più eleganza.

Il regista, che come sempre si occupa di scenografie, costumi e luci, fornisce la sua lettura freddamente estetizzante riempiendo anche qui la scena di alias dei personaggi – Alcina ne ha una mezza dozzina oltre alla sé stessa da vecchia, Ruggiero ne ha sette, tutti con la faccia dipinta d’argento – di forme geometriche, bucrani, sarcofagi di marmo nero: l’eros mortifero di quest’isola di morti domina su un ambiente gelido in cui personaggi senz’anima si contorcono, digrignano i denti, deformano il viso con smorfie. E non parliamo solo di Franco Fagioli…

Sul pavimento nero a specchio si riflettono costumi in pelle nera e un grande poliedro – una versione maxi della “Ball Chair” di Eero Aarnio, pezzo di design finlandese del 1963 – che scende dall’alto e poi ruotando rivela al suo interno l’alcova a due piani della maga dominatrice, con un letto capitonné bianco dove la maga si fa tutti i maschi in rapida successione prima di trasformarli in belve, piante, sassi o rii – ma questo lo sappiamo noi, sul palcoscenico vediamo solo delle pantere di resina nera e dei fenicotteri da giardino. Enigmatico il finale: Ruggiero spezza l’urna che racchiude i poteri di Alcina, una palla di vetro specchiante, e appaiono gli uomini che hanno ripreso la loro natura umana. Nella gonna da Menina di Velásquez avanza l’Alcina invecchiata che però non sembra dispiaciuta di aver perso tutto. Mah.

Le recitazione è costantemente sopra le righe per Morgana, animalescamente infoiata e con la lingua di fuori che canta «Tornami a vagheggiar!» a cavallo di Ricciardo/Bradamente come se avesse orgasmi multipli ma senza accorgersi che si tratta di una donna. Contorto dalla gelosia è Oronte, del tutto folle Ruggiero per il quale non c’è transizione tra la fase “incantato da Alcina” e la guarigione e qui Franco Fagioli non fa molto per rendere meno artificiale il personaggio creato dal Carestini alla prima al Covent Garden del 1735, per il quale Händel aveva scritto sei arie spericolate che il controtenore argentino affronta con la sua solita esibizionistica arte senza risparmiare gli effetti di cui è capace la sua vocalità che spazia dalle note basse di baritono agli acuti stratosferici. Sarà con ancora maggiore curiosità sentire che cosa farà Carlo Vistoli del personaggio nella ripresa a Firenze quest’autunno nella produzione di Michieletto.

Nella parte del titolo Lenneke Ruiten dimostra grande sicurezza vocale anche se con un’emissione che talora risulta strana e con momenti eccessivamente espressivi, fuori stile. Così è anche per la Morgana di Marie Lys dal timbro tagliente. Molto più in stile Marina Viotti (Ricciardo/Bradamante) che non rinuncia alle agilità e alle variazioni, ma le esprime sempre con eleganza. Juan Sancho fa Oronte come Juan Sancho e  Guilhelm Worms è un Melisso cavernoso e un po’ grezzo. La minuscola parte di Oberto è mantenuta ed è affidata a una deliziosa Ludmila Schwartzwalder.

Diego Fasolis si dimostra il perfetto conoscitore di questo repertorio e trae dall’Orchestra da Camera di Losanna il meglio in fatto di precisione, colori, verve, ma stacca tempi così veloci che sembra voglia finire al più presto perché non ne può più della regia. Il video streaming dello spettacolo si può vedere su arte.tv.

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