∙
Giuseppe Verdi, Simon Boccanegra
★★★☆☆
Parma, Teatro Regio, 14 ottobre 2022
(live streaming)
L’ur-Boccanegra e i suoi difetti a Parma
È dovere dei festival fare conoscere le versioni alternative dei capolavori dei compositori che intendono celebrare e bene ha fatto dunque il Festival Verdi, finalmente in versione completa dopo la sospensione del 2020 e la forma ridotta del 2021, a presentare la versione originale del 1857 del Simon Boccanegra, quella che a Venezia aveva replicato il fiasco de La traviata di quattro anni prima. Un’edizione che per la prima volta integra documenti autografi ritrovati nella villa di Sant’Agata del Maestro in una nuova produzione assegnata alla regista Valentina Carrasco, debuttante a Parma.
Le principali differenze di questo ur-Boccanegra, oltre alla miriade di piccoli aggiustamenti sia al testo che alla musica approntati da Verdi e Boito per l’edizione del 1881, stanno nella presenza di un breve preludio costruito su temi che verranno esposti nel corso dell’opera, una virtuosistica cabaletta a conclusione dell’aria di sortita di Maria/Amelia e una scena di festa alla fine del primo atto che nella seconda versione verrà sostituita dalla ben più incisiva scena del Gran Consiglio. Manca quindi il monologo di Paolo «Me stesso ho maledetto» e il personaggio non ha il peso che avrà nella futura versione. Simone Boccanegra qui non è ancora quella grande opera dove la riflessione politica e il disinganno del potere coinvolgono anche gli affetti privati come sarà con Boito, in questa versione abbiamo una storia privata immersa in uno scontro politico.
Nella lettura della Carrasco è la lotta di classe la protagonista: la plebe è sostituita dagli operai, lavoratori dal coltello facile, i patrizi dai capitalisti. La ferocia del potere è rappresentata dalle carcasse di bue appesi in un macello, la congiura una resa di conti tra mafiosi. La registra illustra in maniera molto realistica l’espressione “carne da macello” e la violenza espressa nel libretto – sangue, pugnale, morte sono i termini più frequenti – e ambiente la vicenda nella Genova degli anni ’60, come si evince dai costumi di Mauro Tinti, dai video in bianco e nero e dalle scene di Martina Segna. Questo realismo si trasforma però in un quadro simbolico di riappacificazione nel finale quando Genova diventa inopinatamente un campo di grano e i camalli del porto candidi pastori da presepe con scialletto di pelle di agnello. Il corrusco Quarto stato di Pellizza da Volpedo si trasforma così in un romantico quadro di mietitori dove viene portato in scena anche un agnellino vivo e il sole al tramonto è reso con sei riflettori puntati sul pubblico, ma tutto questo ottimismo non sembra confermato dalla musica, pessimistica quanto mai. Che poi le carcasse da macello avrebbero urtato la sensibilità di molti spettatori era prevedibile ed è avvenuto, ma non è questo il punto. La regista dimostra di possedere molte idee, anche troppe, ma spesso sono espresse in maniera pesante e poco coerente e la recitazione non rende più plausibili i personaggi. Qui la morte di Simone è tra le più imbarazzanti viste finora e la fanciullaggine di Amelia eccessiva.
Senza riserve è invece la realizzazione musicale affidata alla conduzione esperta di Riccardo Frizza che rende il meglio di questa partitura ancora un po’ grezza, ma che lascia intravedere i tesori futuri. I tempi scelti sono convincenti, il colore scuro e gli sprazzi di luce sono ben resi, giusto è l’equilibrio tra orchestra e cantanti, precisi gli interventi del coro, qui impegnato anche in passi coreografici e movimenti complessi, peraltro ben controllati dalla Carrasco.
Nobile e introverso è il Simone di Vladimir Stoyanov: più che la fierezza dell’ex corsaro qui predomina l’amore per la figlia ritrovata negli affetti privati e la delusione in quelli pubblici. Nel finale condividerà il pianto con l’altro padre, Fiesco, un autorevole Riccardo Zanellato. David Cecconi, privato della sua pagina più importante, non riesce a dare tridimensionalità al suo Paolo Albiani mentre la coppia dei giovani può contare sul sicuro mestiere di Piero Pretti, un Gabriele Adorno se non attorialmente, vocalmente convincente, e una freschissima Roberta Mantegna che affronta senza esitazione e con ottimi risultati la cabaletta «Il palpito deh frena» quando Amelia è in attesa dell’arrivo del suo amato.
Il video streaming dello spettacolo è disponibile sul portale operastreaming.com, il palcoscenico virtuale dell’Emilia-Romagna.
⸪