Alphonse Royer

La favorite

 

foto © Gianfranco Rota

Gaetano Donizetti, La favorite

Bergame, Teatro Donizetti, 18 novembre 2022

★★★★★

  Qui la versione italiana

L’édition critique et intégrale de La Favorite ouvre brillamment le Festival Donizetti 2022 de Bergame

C’était le point fort du festival Donizetti 2019 : L’ange de Nisida avait été ingénieusement mis en scène par Francesco Micheli, le directeur artistique du festival, dans un théâtre Donizetti encore en restauration, avec un public disposé dans les loges fraîchement repeintes, l’action prenant place au parterre. L’ange de Nisida  constitue la malheureuse première version de ce qui allait constituer plus tard une grande partie de la musique de La favorite (le théâtre parisien où L’ange de Nisida devait être présenté ayant fait faillite peu avant la création de l’ouvrage)…

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La favorite

 

foto © Gianfranco Rota

Gaetano Donizetti, La favorite

Bergamo, Teatro Donizetti, 18 novembre 2022

★★★★★

bandiera francese.jpg  Ici la version française

Nell’edizione critica, integrale e nella lingua originale, La favorite inaugura il Donizetti Opera 2022

Era stato l’avvenimento del Donizetti Opera 2019, parliamo de L’ange de Nisida che fu genialmente messo in scena da Francesco Micheli, direttore artistico del festival, in un Teatro Donizetti che era ancora un cantiere per il restauro, con il pubblico nei palchi ancora freschi di pittura e l’azione in platea. Era la prima sfortunata versione – il teatro parigino in cui doveva essere presentata fallì poco prima del debutto – di quello che poi costituirà gran parte della musica de La favorite.

Un piccolo Don Carlos – ma neanche tanto piccolo – per l’ambientazione spagnola e il dissidio tra potere monarchico e religioso che mette uno contro l’altro il re di Castiglia Alfonso XI e Baltazar, superiore del convento di San Giacomo di Campostella, a causa dell’infatuazione del re per Leonora di Guzman, La favorite è forse la più francese delle opere di Donizetti, un tipico grand opéra, quattro atti, balletto, una vicenda in cui gli affari privati si mescolano a quelli di stato, con predominanza però dei primi. Dopo il Guillaume Tell di Rossini fu l’opera italiana più di successo nella Parigi degli anni 1830-1840.

Seppure qui da noi sia stata spesso rappresentata nella traduzione italiana, ultimamente si predilige la versione francese, così come avviene per Les Vêpres siciliennes e il Don Carlos di Verdi: sono opere che hanno un valore in quanto concepite per un sistema produttivo e un contesto culturale differente, di qui la necessità di conservare la lingua originale per preservarne la specificità. Donizetti conosceva bene le esigenze dei teatri d’oltralpe e nelle sue opere francesi si uniformava con abilità ai gusti di quel pubblico. E non si tratta solo dei ballabili: recitativi e arie erano scritti pensando alla «poesia teatrale francese», limitati erano i crescendi e le cabalette che facevano invece furore a Sud delle Alpi. Fu grazie a questa strategia che “Monsieur Donizettì” riuscì a monopolizzare per anni la scena parigina riscattando così l’ostracismo subito dall’opera italiana ai tempi dell’Ancien régime.

Di tutto questo dimostrano di tener conto sia Riccardo Frizza, che dirige l’opera, sia Valentina Carrasco, che la mette in scena. Il direttore, qui di casa, riesce a coniugare due impegni che sembrano contrastarsi, ma che invece devono essere entrambi presenti nella lettura di un lavoro come questo: valorizzare le preziosità e i dettagli strumentali di una partitura che rappresenta la vetta della maturità del compositore bergamasco e nello stesso tempo realizzare la grandiosità di una concezione unitaria di straordinaria teatralità qual è il grand opéra. Sotto la bacchetta di Frizza le arie prendono il volo e i drammatici recitativi assumono un vigore tale da sfociare in quella “scena” che sarà il fondamento del teatro di Verdi. L’alternanza convento-palazzo-convento diventa evidente non solo dal punto di vista visivo, ma anche auditivo, con colori che contraddistinguono i diversi ambienti e snodi drammatici della vicenda. Nella sua lettura il maestro bresciano recupera un numero che dopo le prime repliche fu tagliato ed è presente solo nell’appendice dell’edizione critica: è la cabaletta del duetto tra Léonor e Alphonse, cassata per ragioni politiche, in quanto qui il re si scatena con veemenza contro la Chiesa. Ripristinati sono anche i balletti, ma ne riparleremo a proposito della regia.

Il quartetto vocale sul palcoscenico difficilmente potrebbe essere migliore: Annalisa Stroppa presta il suo grande temperamento e particolare timbro da soprano Falcon, più vicino quindi al registro di mezzo-soprano, a una Léonor de Guzman di grande intensità. Bellezza di fraseggio e sobrietà di accenti conferiscono alla figura dell’infelice donna un’eleganza che non sempre è la qualità precipua di altre interpreti in questo ruolo. Semplicemente stupefacente è Javier Camarena, un Fernand di eccezione non solo per gli acuti che sgorgano con incredibile naturalezza e facilità da una linea di canto di rara perfezione, ma per la sensibilità con cui dipinge la malinconia di un personaggio combattuto tra un sincero anelito religioso e un meno controllabile impulso amoroso. In questo repertorio donizettiano il tenore messicano si rivela quasi irraggiungibile.

Particolarmente malvagio e infido qui è l’Alphonse XI di Florian Sempey, che fu don Fernando D’Aragona nell’Ange de Nisida: il baritono – l’unico cantante di lingua francese, ma per una volta la dizione è curata in tutti gli interpreti – presta la prepotente presenza scenica e la sua autorità vocale per delineare il complesso personaggio tormentato da pulsioni erotiche e gelosie distruttrici in rotta di collisione con il Balthazar di Evgeny Stavinsky, in nuce il Grande Inquisitore dell’opera di Verdi di quasi quarant’anni dopo. Caterina di Tonno è come sempre bravissima qui nella breve ma importante parte di Inès mentre Edoardo Malletti è un efficace Don Gaspar. Il coro Donizetti Opera è rimpolpato dal Coro Accademia Teatro alla Scala. Diretta da Salvo Sgrò, la giovane compagine si dimostra vocalmente e scenicamente spigliata nel seguire le indicazioni della regista Valentina Carrasco che assieme agli scenografi Carles Berga e Peter van Praet (che si occupa anche delle luci) e alla costumista Silvia Aymonino, allestisce uno spettacolo che si rivela imperdibile.

Come nell’altro grand opéra all’italiana, Les Vêpres siciliennes, la regista argentina si rivela convinta a non tentare una strada alternativa al grand opéra, bensì a restituire il genere ma a modo suo, con la sua personalità. Gestualità e movimenti sono magistralmente delineati, le masse dei cori ottimamente gestite, l’attorialià dei cantanti esaltata. E poi, esattamente come nelle “Stagioni” dei Vêpres romani, c’è il momento spiazzante del “balletto”, venti minuti che interrompono l’azione ma che qui sono invece perfettamente integrati nel disegno della regista. Ecco dunque lo “harem” delle vecchie favorite del re – possiamo immaginare come nella sua volubilità il monarca/sultano di turno in quale considerazione tenesse le concubine “utilizzate” e poi scartate – : una ventina di anziane signore, prelevate dalle case di riposo del circondario, hanno qui un loro momento di gloria nel rappresentare le donne dimenticate dal re. Più che un vero e proprio balletto, si tratta di una specie di pantomima coreografata da Massimiliano Volpini in cui le vecchiette passano il tempo ricordando il passato, provando vestiti, truccandosi, coinvolgendo Léonor che è venuta a trovarle in melanconici balli: quello sarà il futuro anche dell’attuale favorita, non c’è da illudersi. Anche l’arrogante Alphonse viene travolto dallo stuolo di vecchiette e ne uscirà malconcio con la faccia coperta dal rossetto delle indiavolate che ritorneranno nel finale ad accogliere il corpo di Léonor morente formando una specie di “Pietà” di grande intensità emotiva. Un momento di grande teatro che suggella un bellissimo spettacolo.

L’ange de Nisida

Photo © Gianfranco Rota

Gaetano Donizetti, L’ange de Nisida

★★★★★

Bergamo, Teatro Donizetti, 16 November 2019

   Qui la versione italiana

In a reborn theatre a never born opera.

Before reopening in 2020 after extensive refurbishment, Bergamo’s Teatro Donizetti unlocks its construction site for a never seen opera by its illustrious fellow citizen, L’ange de Nisida first heard in concert in London last year.

In 1839, following the favourable outcome of his Lucie de Lammermoor in Paris, the Théâtre de la Renaissance commissioned a new opera from Donizetti for its coming season. Although completely finished, the work never made it to the stage due to the theatre’s bankruptcy in May 1840, while rehearsals were under way…

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L’ange de Nisida

Photo © Gianfranco Rota

Gaetano Donizetti, L’ange de Nisida

★★★★★

Bergamo, Teatro Donizetti, 16 novembre 2019

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L’opera mai nata. In un teatro che rinasce.

Il Teatro Donizetti di Bergamo, in attesa di essere ri-inaugurato nel 2020 dopo un vasto restauro, apre il suo cantiere per proporre una rarità del suo illustre concittadino, quell’Ange de Nisida di cui l’anno scorso a Londra era stata data un’esecuzione in forma di concerto.

Nel 1839 sulla scia del successo della sua Lucie de Lammermoor il parigino Théâtre de la Renaissance aveva commissionato a Donizetti un nuovo lavoro per la sua stagione successiva. Nonostante fosse del tutto ultimata, l’opera non andò mai in scena a causa del fallimento del teatro nel maggio 1840, mentre erano in corso le prove. Senza perdersi d’animo, Donizetti allora utilizzò parte del libretto e della musica per La favorite, dramma che fu rappresentato all’Académie Royal de Musique (Opéra) alla fine di quello stesso anno. Che poi la musica de L’ange de Nisida fosse un adattamento di una Adelaide per il Théâtre Italien, progetto a sua volta naufragato, la dice lunga sui complessi rapporti con i teatri francesi del compositore che nel frattempo all’Opéra Comique aveva in scena la sua Fille du régiment e all’Opéra Les Martyrs!

De L’ange de Nisida, su libretto di Alphonse Royer e Gustave Vaèz ispirato dal dramma Les amours malheureux, ou Le comte de Comminges di François-Thomas de Baculard d’Arnaud (Parigi, 1790), manca il libretto a stampa e la partitura, smembrata per l’utilizzo ne La favorite, è un mucchio informe di 470 pagine conservate alla Bibliothèque Nationale de France. Il lavoro paziente e sapiente della studiosa Candida Mantica ha permesso di ricostruire una partitura che ora viene utilizzata nella sua originalità, senza le interpolazioni effettuate nel concerto di Opera Rara al Covent Garden poi registrato in CD: qui manca la sinfonia iniziale e i punti lacunosi sono stati lasciati volutamente tali.

Prima parte. Leone, soldato di ventura, ferisce un gentiluomo e, per sfuggire alla pena capitale, scappa a Nisida, dove s’innamora di Sylvia, nobile fanciulla ingannata dal Re Ferdinando con una falsa promessa di matrimonio e che invece ne fa la sua amante. Gli ignari abitanti dell’isola, soggiogati dal suo fascino, la chiamano invece l’Angelo di Nisida. Don Gaspar, faccendiere del Re, aspetta che arrivi il sovrano per l’abituale incontro con la fanciulla, quando s’imbatte in Leone e gli offre la sua “protezione”. Sylvia, in- quieta per la presenza del giovane in quel frangente, gli dichiara che il loro sentimento è impossibile; Leone è determinato a insistere, mentre arriva il Re, che riconosce in lui il condannato e ne ordina l’arresto. Sylvia ottiene la grazia per Leone, quando sopraggiunge un monaco, il Padre Superiore, man- dato dalla Santa Sede a denunciare la scandalosa relazione: il Re viene minacciato di scomunica, per Sylvia invece si profila il convento se non lascerà la corte. Don Gaspar tenta di calmare il Re: bisogna trovare qualcuno disposto a sposare la donna, in cambio di una allettante ricompensa. Leone venuto a sapere di questo progetto si offre egli stesso come sposo. Il Re, dapprima riluttante, accetta credendo che la soluzione lo favorisca nel continuare la relazione.
Seconda parte. Don Gaspar ha capito che Leone ama Sylvia e cerca invano di dissuadere il Re. Sylvia vorrebbe dimenticare Leone che crede voglia sposarla solo per interesse. Nei pressi della cerimonia i cortigiani deridono il giovane per aver preso in moglie l’amante del Re. Irrompe quindi il padre Superiore, sconvolto dal coinvolgimento di Leone in simili macchinazioni. Leone tuttavia rifiuta le profferte del sovrano e Sylvia comprende allora la purezza dei suoi sentimenti. Il giovane risolve di prendere i voti: il Padre Superiore lo accompagna e accoglie in monastero; la straziata Sylvia, travestita da novi- zio, lo raggiunge per chiedergli perdono; il giovane inizialmente la respinge, poi cede al suo amore, ma la fanciulla si accascia e muore. Il Monaco, turbato dalla presenza del cadavere di Sylvia nel convento dei monaci, ne cela l’identità. Leone sconvolto da tanta ipocrisia annuncia la propria morte.

Rispetto a La favorite, questa è un’opera semiseria contenente quindi un elemento comico nel personaggio di Don Gaspar, il macchinatore del dramma in cui la contessa Sylvia, vittima dei giochi di potere tra chiesa e Regno di Napoli, diventa la favorita di re Fernando d’Aragona, combattuto tra doveri istituzionali e vita privata, mentre Leone de Casaldi, innamorato e contraccambiato da Sylvia, è incarnazione degli slanci amorosi. Come Lucia, Sylvia è l’unica donna in un mondo dominato da passioni e interessi al maschile. Ovviamente un libretto del genere non sarebbe stato accettato dalla censura italiana, anche se qui Sylvia ha un che di mistico (gli ignari abitanti dell’isola, soggiogati dal suo fascino, la chiamano infatti l’angelo di Nisida), carattere che manca alla Léonor de La favorite.

Un avvenimento musicale del genere non poteva non avere una cornice di eccezione, e questo è avvenuto. La non finitezza del teatro ancora in restauro è diventata un elemento della drammaturgia scelta dal regista Francesco Micheli: il pubblico prende posto nei primi tre ordini di palchi e in una tribuna in palcoscenico. L’azione avviene in platea, come nel teatro elisabettiano, dove nel primo secondo e secondo atto un telo azzurro rappresenta il mare del golfo di Napoli che cinge l’isola di Nisida, qui raffigurata dal mucchio di pagine della partitura smembrata. Nella scenografia di Angelo Sala il palazzo della contessa a Napoli del terzo atto è un lucido pavimento in cui si specchiano i meravigliosi costumi di Margherita Baldoni; nel quarto basta un grande tappeto bianco per delineare i confini del convento. Il gioco luci di Alessandro Andreoli aggiunge altro fascino all’inconsueto spazio dove si susseguono vari coup de théâtre, tra cui quello del coro, che nella prima parte ha fatto i suoi interventi dai palchi dell’ultimo ordine nei suoi abiti ordinari, ma nella seconda parte scende in platea sfoggiando sontuosi costumi le cui decorazioni richiamano le immagini delle carte da gioco. E di carta, si scopre ben presto, sono fatti mantelli, cappelli e strascichi che i cantanti si strappano per indossare i sai dei monaci del finale. Anche il costume da angelo di Sylvia è di carta: la precarietà della sua condizione è messa così crudamente in evidenza.

Se nella regia di Micheli non si sa se ammirare di più l’abile uso dello spazio o il gioco attoriale degli interpreti, di livello altrettanto eccelsa è la componente musicale, a iniziare dalla direzione appassionata ma precisa di Jean-Luc Tingaud dell’Orchestra Donizetti Opera mentre il coro, istruito da Fabio Tartari, si è dimostrato anche questa volta uno dei migliori in Italia.

E veniamo ai solisti, solo cinque, ma tutti stupefacenti. Lidia Fridman aveva già stupito nell’Ecuba a Martina Franca e qui si conferma interprete sensibile e drammatica nella sua figura ieratica. Leone è Konu Kim, timbro e potenza vocale di tutto riguardo con mezze voci splendidamente espresse, acuti lancinanti e un grande temperamento. Di Florian Sempey già si conosceva l’eleganza e l’espressività, qui come Don Fernando d’Aragona conferma le sue doti. Nel Don Gaspar, i cui couplets finiranno nel Don Pasquale, è un efficace Roberto Lorenzi mentre Federico Benetti dà voce solenne al Monaco.

A questo punto si può affermare che L’ange de Nisida possa contendere il posto de La favorite negli estimatori di Donizetti, che l’altra sera erano numerosi e hanno tributato allo spettacolo una standing ovation con applausi interminabili. Solo un’altra replica, ma è previsto un DVD.

La favorite

Gaetano Donizetti, La favorite

★★★☆☆

Firenze, Teatro del Maggio Musicale, 22 febbraio 2018

(live streaming)

Amore sacrilego e conflitto tra corona e chiesa nell’intimo grand opéra di Donizetti

Se è complessa la storia compositiva di questo lavoro Donizettiano, non lo è da meno la vicenda delle sue rappresentazioni, con le varie traduzioni dell’originale francese. Quest’ultimo si è imposto finalmente anche qui in terra italica, come in quest’ultima produzione proveniente da Barcellona che per la prima volta viene presentata a Firenze. Giusta e sacrosanta l’idea di optare per la versione originale, che si impone nettamente rispetto alla traduzione italiana, ma qui il francese dei coristi è piuttosto approssimativo e nei solisti le parole talora sono inventate e le frasi incomprensibili.

Il solo con una dizione accettabile è Mattia Olivieri, re Alphonse dalla linea elegante, il canto espressivo e molto sfumato. È la sorpresa della serata e col suo mantello rosso rappresenta una presenza scenica necessaria in tutto quel nero e grigio. Léonor de Guzman è interpretata con intensità dal mezzosoprano Veronica Simeoni, bel fraseggio, timbro piacevole, ma le note estreme sono un po’ intubate. Celso Albelo è come sempre vocalmente strepitoso e per una volta scenicamente efficace nella figura un po’ imbelle  di Fernand. Balthasar nobile ma non di grande carattere quello di Ugo Guagliardo. Ottimo il coro del teatro impegnato in pagine magari non essenziali ma piacevoli.

C’è subito aria da grand opéra nelle note dell’ouverture, che richiama i temi che ascolteremo nel corso del lavoro. Fabio Luisi debutta da operista nel teatro di cui sarà a breve il direttore musicale e opta per un buon equilibrio tra pomposità francese e cantabilità italiana, senza una sbavatura, mettendo in luce la preziosa strumentazione donizettiana (si trattava di un debutto parigino, il compositore doveva dare il meglio di sé) accompagnando con cura i cantanti in scena. Ovviamente i ballabili sono tagliati, il che rende ancora più atipico questo lavoro ibrido.

Peccato per la messa in scena di Ariel García Valdés: è del 2002 ed era brutta già allora. Ripresa da Derek Gimpel è totalmente priva di una regia per dare significato ai movimenti dei cantanti e delle masse. La scenografia consiste in uno scoglio nero in mezzo al palcoscenico, ovviamente rotante per suggerire i luoghi dell’azione, ma per nessuno di questo risulta idoneo: certo non per il convento del primo atto, non per la galleria da cui si ammira l’Alcazar dell’atto secondo, tanto meno per l’Alcazar del terzo o il chiostro del convento del quarto. Sarebbe piacevole il gioco di luci che colorano il fondo di Dominique Borrini, ma sono brutti gli occhi di bue che seguono i personaggi come in uno spettacolo di rivista. I costumi di Jean-Pierre Vergier rasentano il ridicolo  per le parrucche delle donne e per gli abiti degli uomini: gonna pantalone e cache sex rigonfio, soprattutto quello del re. Ecco dove si concentra il potere…

La musica che si è ascoltato risuonerà a luglio in altra veste: a Londra è prevista l’esecuzione in forma di concerto de L’ange de Nisida, lo sfortunato lavoro che per il fallimento del teatro parigino cui era destinato non poté mai andare in scena e venne frettolosamente rielaborato per il Théâtre de l’Académie Royale de Musique diventando appunto La favorite.

Jérusalem

Giuseppe Verdi Jérusalem

★★★☆☆

Liegi, Théâtre Royal, 23 marzo 2017

(video streaming)

Il primo Verdi francese

Rifacimento de I Lombardi alla prima crociata di quattro anni prima, Jérusalem è un grand-opéra in quattro atti su libretto in francese di Alphonse Royer e Gustave Vaëz. Rappresentato a Parigi il 26 novembre 1847 è il debutto di Verdi in terra di Francia. L’editore Ricordi l’acquistò come se fosse un’opera nuova e nella traduzione in italiano di Calisto Bassi fu poi data alla Scala nel 1850 come Gerusalemme. Nonostante sia il rifacimento dei Lombardi, la trama è diversa.

Atto I. Tolosa, anno 1095. Il matrimonio fra Hélène, figlia del conte di Tolosa, e Gaston, conte di Béarn, dovrebbe porre fine alla guerra civile fra i due casati e la folla auspica l’alleanza sotto le comuni insegne crociate. Entrano il conte, suo fratello Roger, Hélène e Isaure, dama di compagnia. Giungono anche Gaston e i suoi. I vecchi nemici si stringono la mano e le nozze vengono acconsentite. Ma Roger, attratto incestuosamente dalla nipote, brucia di gelosia, mentre quasi tutti hanno oscuri presentimenti. Giunge il legato papale Adhémar de Monteil che nomina il conte capo supremo dei crociati francesi in Terrasanta. Giuramento solenne, poi tutti se ne vanno. Dalla cappella vicina s’ode un canto di monache. Roger, tornato indietro, è inquieto. Giunge un soldato sconosciuto e Roger lo istruisce: dei due inginocchiati a pregare dovrà risparmiare quello che porta la tunica e uccidere l’altro. Poco dopo dalla cappella s’odono delle grida, ma a cadere sotto i colpi è stato il conte, che, in segno di pace, aveva ceduto la tunica a Gaston. Il visconte viene condannato all’esilio.
Atto II. Palestina, nel 1099. In una grotta Roger, in preda al rimorso, è divenuto un santo eremita. Egli disseta un pellegrino, poi corre a soccorrere i suoi compagni. Giungono due donne, Hélène e Isaure, sulle tracce di Gaston. Esse riconoscono nel pellegrino il suo scudiero e vengono a sapere che il padrone si trova a Ramla. Partite le donne, giungono i crociati francesi con Ademar e un redivivo conte di Tolosa sopravvissuto alle ferite riportate. Quando Roger torna e lo vede vivo e vegeto ha un sussulto, ma non gli si rivela. Chiede solo di poter combattere con i crociati per espiare un antico delitto. A Ramla Gaston è ostaggio dell’emiro. Un ufficiale trascina Hélène, appena catturata che racconta che i crociati del padre non oseranno attaccare. Rimasti soli, i due giovani si abbracciano. Ma l’armata cristiana è vicina. Gaston ed Hélène, lasciati soli dai difensori, tentano la fuga ma sono ripresi.
Atto III. Nell’harem dov’è rinchiusa, Hélène assiste alle danze delle concubine. Entra l’emiro e annuncia che se i crociati attaccheranno la sua testa cadrà. S’ode un gran tumulto: i cristiani sono già dentro Ramla. Giunge Gaston, che si è liberato. Entra vittorioso con i suoi il conte di Tolosa, fa arrestare il suo quasi assassino e, incurante delle smanie di Hélène, la trascina via di forza. Nella piazza di Ramla, i crociati, col conte e il legato del papa, condannano a morte Gaston per l’indomani. Il giovane, disperato, vorrebbe morire subito. Atto IV. Nella valle di Josafat, Hélène passa accanto alla tenda di Gaston. Ademar chiede all’eremita di assistere il condannato. Quando questo è tratto fuori, Hélène, con Isaure, attende l’esito dello scontro. Giunge il conte vittorioso in compagnia di un misterioso guerriero, con la celata abbassata, che si è coperto di gloria: è Gaston, che si rivela a tutti, chiedendo giustizia. Giunge anche l’eremita Roger ferito a morte, ma in tempo per rivelare la verità e contemplare con gioia Gerusalemme liberata.

Con una trama condensata e un tenore in meno, ha alcune pagine nuove, ma mantiene comunque quelle più note, come il coro «O Signore del tetto natio» (che qui diventa «Ô mon Dieu, ta parole est donc vaine») o l’aria del tenore «La mia letizia infondere» («Je veux encore entendre»). Il piglio è diverso e il compositore si adatta al nuovo ambiente non solo con l’introduzione degl’immancabili ballabili, ma anche con un’orchestrazione più morbida che meglio si adatta alla nuova lingua. Ben l’ha capito Speranza Scappucci che in questa produzione dell’Opéra Royal de Wallonie a Liegi non preme sul pedale del tono guerresco ma fin dalle prime note dell’ouverture esalta la musicalità di questa partitura che ha nelle pagine sinfoniche, esemplare quella del «levar del sole», momenti egregi.

Il cast di interpreti ha tre punte di autorevolezza. Marc Laho, il tenore belga che riprende la parte creata per il Duprez, ha timbro simile a quello di Roberto Alagna, grande eleganza e dimostra facilità di emissione nell’arduo ruolo di Gaston, puntature comprese. Altrettanto efficace nelle agilità trasferite dall’italiano al francese è la Hélène di Elaine Alvarez che per di più esibisce un giusto piglio drammatico. I due assieme infiammano il duetto con cui termina il secondo atto. Nel ruolo di Roger si fa notare la maturità interpretativa raggiunta da Roberto Scandiuzzi, ma sono passati vent’anni  dalla sua prima incisione e talora si sentono.

Se la componente vocale è efficace, non altrettanto si può dire di quella visiva. La messa in scena è di vecchia tradizione, con la scenografia di Jean-Guy Lecat rigorosamente simmetrica nei suoi archi e nei suoi pilastri e una regia, di Stefano Mazzonis di Pralafera che non si pone problemi di suggerire qualcosa che vada al di là del convenzionale. In totale discrepanza con la lettura impersonale del regista è invece l’ironica coreografia di Gianni Santucci per i lunghi ballabili del terzo atto, con acrobazie da break dance che contrastano con la gaia musica “ballettistica” scritta dal compositore.

I costumi di fantasia non sfigurerebbero nella Turandot, con l’emiro che sembra un imperatore cinese mentre le guardie sembrano uscite da un film di fantascienza.

Coprodotto con Torino vedremo lo spettacolo al Regio, ma nella versione originale, I Lombardi alla Prima Crociata. Si perderà così il balletto, peccato. Nessun problema per scene e costumi. Che si tratti di Milano o Tolosa, sono comunque avulsi dalla storia.

  • Jérusalem, Scappucci/Pralafera, Liegi, 23 marzo 2017

La favorite

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★★★☆☆

Haute couture in scena

Perché facciano fare ai couturier più famosi i costumi per uno spettacolo teatrale rimane un mistero. Non c’è un caso, dico uno, in cui l’allestimento ne abbia tratto vantaggio, anzi. Non sfugge alla regola nemmeno questa Favorite del Capitole de Toulouse del 2014 ai cui costumi ha messo mano nientemeno che Christian Lacroix con ettometri di sgargiante raso di seta buttati addosso sui corpi dei cantanti e del coro. La protagonista sembra aver indossato l’abito al contrario tanto poco si adatta alla sua figura e ne è come imbozzolata. Le gorgiere si accompagnano a cerniere lampo e gonne sbilenche in una commistione di stili che può essere divertente su una passerella, ma risulta fastidiosamente sconclusionata sulla scena.

La regia di Vincent Boussard non osa nessuna attualizzazione o lettura politica o psicanalitica della vicenda, ma riesce ad essere lo stesso assurda con quella onnipresente valigia illuminata dall’interno e la recitazione sopra le righe dei personaggi.

La vicenda dell’ideazione de La favorite, su libretto di Alphonse Royer e Gustave Vaez, è sintomatica del mondo creativo donizettiano: «è un centone: gran parte della musica è quella dell’Ange de Nisida, alcuni spunti derivano da Pia de Tolomei e da L’assedio di Calais, la romanza di Fernand “Ange si pur” è innestata dal Duc d’Aube. Alcuni numeri dell’Ange, a loro volta, erano stati cavati dall’incompiuta Adelaide, opera semiseria basata sul dramma di Baculard d’Arnaud Les Amours malheureux, ou Le comte de Comminge (Parigi, 1790). Anche la scena finale dell’Ange si ispirava al dramma di Arnaud, presentando analogie con il libretto dell’Adelaide e Comingio che Gaetano Rossi scrisse per Giovanni Pacini (Milano 1818). Il libretto in tre atti dell’Ange, di Alphonse Royer e Gustave Vaëz, venne ampliato in quattro atti e adattato alle attese del pubblico dell’Opéra. La vicenda mantenne un impianto drammaturgico abbastanza simile, soprattutto nella seconda parte, salvo alcuni importanti cambiamenti nell’ambientazione e nei ruoli vocali (nell’Ange, Don Gaspar è un basso buffo e la protagonista un soprano di coloratura improntato all’esempio della Lucie francese). Come grand opéra, La favorite risulta abbastanza atipica: c’è l’ampio balletto, nell’atto terzo, nel quale all’Opéra brillava Carlotta Grisi, futura interprete di Giselle; ma per il resto il coro ha solamente una funzione ornamentale e suggerisce l’opposizione di ambienti, quello austero del convento in cui si apre e si chiude l’opera e quello dai toni sgargianti della corte di Castiglia. L’elemento storico-politico è trascurato, a parte le battute che si scambiano Balthazar e Alphonse, nel momento in cui le ragioni sentimentali del sovrano cozzano contro la ragion di stato e il volere della Chiesa romana: l’episodio prefigura alla lontana lo scontro fra Filippo II e il grande Inquisitore nel Don Carlos verdiano. Del grand opéra è mantenuta la libertà formale (i numeri non seguono sempre gli schemi pluripartiti dell’opera italiana, spesso si articolano più agilmente), ma la vicenda, nel complesso, è a carattere privato: un dramma intimo, di cui il protagonista è Fernand, che incarna gli ideali dell’amor cortese e rimane vittima del proprio candore di novizio inesperto del mondo. L’opera narra proprio del suo viaggio ‘di conoscenza’: Fernand si allontana dal convento, si scontra con la società, ritorna al convento nell’ultimo atto, perseguitato dal fantasma del suo amore infelice. Il personaggio di Léonor è uno dei primi grandi ruoli ottocenteschi per mezzosoprano; concepita per Teresa Stolz, non presenta caratteri di agilità brillante (a parte la cabaletta della sua aria del terzo atto, della quale la versione originale presenta una cadenza completa omessa nella versione italiana), piuttosto si abbandona a melodie di ampio respiro, soffuse di malinconia, e a frasi veementi e appassionate: sul suo esempio saranno scritte Eboli e Amneris». (Susanna Franchi)

La favorita della vicenda è Leonor de Guzmán, amante del re Alfonso XI di Castiglia (1329-1350), il re della Reconquista del sultanato di Granada. Nella finzione librettistica di Alphonse Royer e Gustave Vaez è il monaco Fernand a guidare l’esercito che riesce nell’impresa. Lo stesso Fernand è però innamorato della Leonor per la quale ha abiurato al suo voto di castità.

Atto I. Nel regno di Castiglia, 1340. Nel convento dei frati di Santiago de Compostela, padre Balthazar nota il novizio Fernand assorto nei suoi pensieri. Fernand gli rivela che è innamorato di una donna di cui non conosce né il nome né la condizione, e decide di abbandonare il convento per trovare la ragazza. Il padre lo avverte delle insidie della vita mondana. Intanto, sull’isola di Leon, Inez e le sue amiche attendono il battello che conduce Fernand alla bella sconosciuta. Fernand la trova: è Leonor, che gli dice di amarlo, ma non potrà mai essere sua sposa. Inez, intanto, avvisa i due che sta arrivando il re. Fernand, ingenuamente, crede che la donna sia corteggiata dal re Alphonse XI di Castiglia, anche se egli è sposato. Per compiacerla, e ascoltando un suo consiglio, decide di seguire la carriera militare.
Atto II. Nei giardini d’Alcazar, Alphonse commenta con Don Gaspar la vittoria sugli infedeli, dove si è distinto il giovane Fernand. Anche se deve ricevere un messo dal papa, Alphonse riceve la sua amante Leonor, con cui da tempo ha una relazione. Leonor si ribella, stanca della sua relazione col re, e lo avvisa di non fare azioni sconsiderate, visto che Alphonse, per amor suo, decide di ripudiare la moglie. Durante la festa che il re ha organizzato per Leonore, Alphonse scopre che Fernand ama la bella, e la Favorita rivela che ella è innamorata di un giovane di cui non rivela il nome. Irrompe Balthazar, messo del papa, che minaccia il re, maledice Leonore, e consegna la bolla papale contenente la scomunica per Alphonse.
Atto III. Alphonse, scoperto che Fernand ama Leonor, decide di farli sposare, per rappacificarsi con la Chiesa. Leonor rimane interdetta, ma decide di confessare a Fernand il passato, e manda Inez a cercarlo. La povera Inez, però, viene arrestata da don Gaspar. Il re nomina Fernand marchese, e viene celebrato il matrimonio dei giovani. Improvvisamente arriva Balthazar, e il giovane capisce che ha sposato l’amante del re, e lancia ingiurie su Alphonse e Leonor, spezza la spada ai piedi del re, ed esce con il padre Balthazar.
Atto IV. Nel convento di san Giacomo, i monaci stanno scavando le loro tombe. Fernand ricorda l’amata Leonor, sul procinto di prendere i voti (Favorita del re… spirito gentil ne’ sogni miei). Proprio Leonor compare, spossata dal dolore e in fin di vita, e chiede perdono a Fernand pregando nella cappella. Subito dopo essere stato ordinato, Fernand incontra Leonor e si sconvolge. Leonor si dichiara innocente, e muore ottenendo il perdono dell’amato.

Concepita per Parigi dove debuttò il 2 dicembre 1840 con grande successo, fu rappresentata alla Scala come Elda in italiano in una traduzione di Calisto Bassi nel 1843, dopo un allestimento a Padova dell’anno precedente come Leonora di Guzman. In seguito per motivi di censura – la storia di un giovane che abbandona i voti per l’amore di una donna non era facilmente nella penisola dell’epoca – subì vari mutamenti anche nel titolo diventando Riccardo e Matilde. Esiste anche una edizione di Francesco Jannetti ancora utilizzata, ma molto distante dall’originale francese, in cui l’intreccio, coerente nell’originale, diviene piuttosto sconclusionato in questa versione. Nel 1860 il finale dell’opera fu completamente riscritto. Per l’edizione de La favorite qui registrata si fa invece riferimento alla versione originale francese con l’espunzione però dei ballabili di prammatica allora.

Antonello Allemandi dimostra fin dall’ouverture piena autorità sull’orchestra che sa piegare ai colori cangianti di questo piccolo grand opéra. La protagonista del titolo ha in Kate Aldrich un’interprete del bel canto (come ha dimostrato a Pesaro nella Zelmira) che qui però manca di sensualità nel suo personaggio. Del tenore di Shanghai Yijie Shi, Fernand, si ammirano lo squillo e lo stile, ma non la presenza scenica. Entrambi mostrano incertezze nella lingua, soprattutto il mezzosoprano americano, cosa che non avviene ovviamente nel francese Ludovic Tézier, baritono forse un po’ sopravvalutato, che finora non si è reso memorabile in nessuno dei ruoli che ha ricoperto, neppure questo del re Alfonso. Ancora più modesti gli altri interpreti.

Il DVD Opus Arte rende bene in HD i colori traslucidi in scena. Sottotitoli in inglese, francese, tedesco, giapponese e coreano.

  • La favorite, Luisi/García-Valdés, Firenze, 22 febbraio 2018
  • La favorite, Frizza/Carrasco, Bergamo, 18 novembre 2022