foto © Birgit Gufler
∙
Antonio Caldara, Ifigenia in Aulide
Innsbruck, Tiroler Landestheater, 8 agosto 2025
ici la version française sur premiereloge-opera.com
La prima volta dell’Ifigenia di Caldara
Antonio Caldara, veneziano del 1670, compose Ifigenia in Aulide su libretto di Apostolo Zeno per celebrare Carlo VI nel 1718. Ripresa a Innsbruck da Ottavio Dantone con l’Accademia Bizantina, l’opera rivela una scrittura ricca e raffinata. Gli eccellenti interpreti — Marie Lys, Shakèd Bar, Carlo Vistoli — compensano una messa in scena a dir poco imbarazzante.
Nato a Venezia nel 1670, Antonio Caldara diventa maestro di corte presso i Gonzaga a Mantova e poi è a Barcellona presso il re spagnolo Carlo III. Alla morte dell’Imperatore Giuseppe I, Carlo III diventa l’imperatore Carlo VI d’Austria, il Carlo a cui vengono rivolte le lodi – «Grande, o Carlo, è la tua gloria, | perché più grande è tua pietà» – il personaggio nella Licenza con cui si conclude Ifigenia in Aulide. L’opera che Caldara intona sul testo che Apostolo Zeno, un altro veneziano, gli aveva approntato con un finale che rispecchia lo happy ending di prammatica nelle opere barocche e che Zeno risolve ricorrendo a un finale diverso sia da quello tragico di Euripide sia dal lieto fine per intervento divino raccontato anche da Ovidio nelle Metamorfosi. Quella di Zeno, una versione adottata anche da Racine, è ancora differente: è la principessa di Lesbo e prigioniera di Achille a dover essere sacrificata! Infatti si scopre che è lei la figlia che Elena ebbe prima del suo matrimonio con Menelao e che, appreso dall’oracolo che la figlia sarebbe morta giovane, questa fu cresciuta con un nome diverso. Pertanto, è Elisena il vero sacrificio richiesto da Diana: «Un altro sangue d’Elena ei chiede, | e un’altra Ifigenia. | Ella è presente. A lei | Elena è madre. Di segrete nozze | l’ebbe da Teseo, ed Ifigenia chiamolla», come racconta Ulisse. Il libretto di Zeno ebbe molto successo e venne messo in musica fra i tanti da Porpora (1742), Traetta (1759), Jommelli (1773) e da Vincenzo Federici ancora nel 1809.
Atto primo. Le navi greche si radunano nel porto di Aulide in Beozia per salpare alla volta di Troia. Tuttavia, una prolungata bonaccia impedisce loro inizialmente di proseguire il viaggio: è la vendetta di Diana su Agamennone il comandante in capo dei Greci, che aveva ucciso una cerva sacra a lei e aveva affermato di essere un cacciatore migliore della dea stessa. Il veggente Calcante spiega che Diana può essere placata solo sacrificando Ifigenia, la figlia maggiore di Agamennone. Suo padre è disperato nel tentativo di salvare la vita di Ifigenia e anche il suo fidanzato Achille è determinato a impedire il suo sacrificio. Agamennone ha scritto a sua moglie Clitennestra chiedendole di venire in Aulide con Ifigenia. Ulisse intercetta una seconda lettera che revoca questa istruzione e così madre e figlia arrivano pensando che il matrimonio di Ifigenia e Achille debba essere celebrato lì. Agamennone non vede alcun modo per salvare la vita di sua figlia e l’esercito greco si mostra desideroso di vendicarsi dei Troiani.
Atto secondo. Achille ha conquistato l’isola di Lesbo, alleata di Troia, e ha portato la sua principessa Elisena come prigioniera. Elisena si è innamorata del conquistatore e complotta contro Ifigenia per impedire il suo matrimonio con la figlia di Agamennone. Clitennestra e Ifigenia pensano che Achille abbia abbandonato la sua sposa per Elisena, ma lui riesce a convincerle che i suoi sentimenti per Ifigenia sono rimasti immutati. Arcade, confidente di Agamennone, che conosce il destino che attende la principessa, lo rivela alle due donne e ad Achille, che intende impedire il sacrificio di Ifigenia con la forza, se necessario.
Atto terzo. Per la stragrande maggioranza dei Greci, tuttavia, la vendetta contro Paride e Troia è più importante della vita di Ifigenia, e così Agamennone deve cedere. Quando Ifigenia capisce cosa sta succedendo, è disposta a morire per placare l’ira della dea. Tuttavia, la Ifigenia, che deve essere sacrificata non è la figlia di Agamennone.: gli dèi rivelano a Calcante che in realtà è Elisena, principessa di Lesbo e prigioniera di Achille, a dover essere sacrificata. Infatti, lei è la figlia che Elena ebbe dal famigerato donnaiolo Teseo, prima del suo matrimonio con Menelao. Il veggente apprese che la figlia di Elena e Teseo sarebbe morta giovane, motivo per cui fu cresciuta con un nome diverso. Pertanto, è Elisena è il vero sacrificio richiesto da Diana e lei si toglie la vita. L’ira di Diana viene così placata e la figlia di Agamennone rimane in vita. I Greci possono salpare per Troia con il vento favorevole.
Al centro dei festeggiamenti per l’onomastico dell’imperatore, il 4 novembre 1718 al Teatro di Corte Leopoldino di Vienna Ifigenia in Aulide fu rappresentata con il solenne disegno architettonico di Giuseppe Galli da Bibiena per sei cambiamenti di scena e con intermezzi danzati. I lunghi recitativi introducevano oltre trenta arie solistiche (1) molto differenziate, dalla accurata orchestrazione e con la presenza di strumenti obbligati. Compositore fecondo (oltre ottanta i lavori teatrali attribuitigli), Caldara ha unito nel proprio stile la tradizione veneziana madrigalistica e concertante di Monteverdi e Cavalli, il melodismo della scuola napoletana di Scarlatti, lo strumentalismo di quella bolognese di Corelli.
Per la prima volta in tempi moderni l’Ifigenia di Caldara viene ripresa e costituisce il primo titolo operistico delle Settimane di Musica Antica di Innsbruck, giunte quest’anno alla 49esima edizione. Il direttore musicale Ottavio Dantone alla testa della sua Accademia Bizantina dà ancora una volta prova della sua competenza e sensibilità in questo repertorio con la sua direzione attenta e misurata che mette in luce la bellezza di una partitura che, anche se non brilla per la sua particolare tensione drammaturgica, offre però perle musicali di particolare bellezza. La Licenza finale è qui anticipata a mo’ di Prologo davanti al sipario e cantata dal soprano che interpreterà la protagonista del titolo, che invita a celebrare la fama dell’imperatore così «che sol de’ fasti suoi suona […] rauca la tromba». E infatti sono le trombe dell’ensemble a prodursi in una solenne fanfara che precede la sinfonia vera e propria che introduce l’opera. La voce che ascoltiamo è quella di Marie Lys, una Ifigenia inizialmente ingenua che si entusiasma all’idea di assistere al sacrificio – senza sapere che sarà lei la vittima – per poi accendersi di furie per il ritardo delle nozze con l’amato e infine accettare il ruolo di vittima sacrificale. L’interpretazione si adatta con sicurezza a queste trasformazioni e particolarmente toccante l’addio alla madre in «Madre diletta, abbracciami | mai più ti rivedrò», senza però scadere nel patetico. Accenti ben dosati anche quelli del mezzosoprano Shakèd Bar, una Clitennestra dal colore forse un po’ troppo chiaro per il personaggio, ma la tecnica vocale e l’espressività dell’interprete riescono a delineare con efficacia il carattere della madre di Ifigenia. Il terzo personaggio femminile, quello di Elisena, è affidato alla fresca presenza vocale e scenica del soprano Neima Fischer, applaudita al Concorso Cesti di due anni fa per il bel timbro e la fluida linea di canto, qui messe a servizio della principessa prima fatta prigioniera, poi tormentata dall’amore per Achille e poi alla fine sacrificata sull’altare di Diana.
Cinque i personaggi maschili presenti nell’opera e a loro sono affidati, a dispetto del titolo, i numeri musicali più interessanti. Non per il re Agamennone magari, che trova nel tenore Martin Vanberg un cantante non sempre a suo agio negli scarti del personaggio, quanto per Teucro, qui l’affidabile controtenore Filippo Mineccia dal fraseggio scolpito e dalla forte espressività, a cui Caldara destina l’aria «Tutto fa nocchiero esperto» con violino accompagnato. Una parte non tra le principali come quella di Arcade si trova con un numero sorprendente in cui i versi «Sprone al core, ed ali al piede | ho da fede e da pietà» sono accompagnati da un severo fugato orchestrale, una della sorprese strumentali di cui il compositore dissemina il suo lavoro. Il baritono Giacomo Nanni, anche lui uscito dalla fucina del Concorso Cesti, riesce a definire il personaggio con il suo timbro elegante e l’agile fraseggio. Magnificamente scolpito l’Ulisse del tenore Laurence Kilsby, una delle voci più strepitose laureate dal Cesti, soprattutto nell’aria del secondo atto «È debolezza temer cotanto» magnificamente intonata sulle furenti strappate degli archi dell’orchestra. E poi c’è Achille, a cui Caldara affida le arie più impervie che il controtenore Carlo Vistoli rende con facilità e un’eleganza senza pari. È lui a iniziare l’opera con «Asia tremi, Argo festeggi», qui stranamente privata della seconda parte e del da capo, sfoggiando agilità strepitose che ritroveremo nelle altre cinque arie, tra cui «Passerò con chi svenò» che conclude con un tripudio di trilli e colorature assortite la prima delle due parti con cui è diviso lo spettacolo, e ancor più «Se mai fiero leon vede assalita» dove le agilità di forza sono affrontate e risolte con grande musicalità. Anche questa volta è la sua la performance più eccitante e spettacolare della serata.
Serata che dal punto di visto visivo è riduttivo definire deludente: la messa in scena del duo barcellonese Santi Arnal e Anna Fernández (regia, costumi e concezione) si è rivelata di livello scolastico e ingenuo con scenografie e costumi di Alexandra Semenova di rara bruttezza, soprattutto quelli maschili formati da bermuda e improbabili giacconi da pastori sardi, elmi torreggianti e sandali. Ci sono alcune cose che personalmente non sopporto in un allestimento operistico: il teatro d’ombre, l’uso dei burattini, lo sdoppiamento dei personaggi e le coreografie inutili. Qui sono presenti tutte e quattro…
Ancora una volta è la parte musicale che vince con gli applausi del pubblico che festeggia cantanti, direttore e orchestra con punte di entusiasmo meritatissimo.
(1) Struttura dell’opera:
Sinfonia
Atto primo
1. Aria Asia tremi, Argo festeggi (Achille)
Recitativo accompagnato Qual tumulto nell’alma e
2. Aria Se a debole pupilla (Achille)
3. Aria Non ho cor così spietato (Teucro)
4. Aria A vista del crudele (Elisena)
5. Aria Sprone al core, ed ali al piede (Arcade)
6. Aria Sull’ali della speme, e del desio (Achille)
7. Aria Nella prole, e nel comando (Teucro)
8. Aria Veggo già. Che ai greci legni (Ulisse)
9. Aria Di questo core (Agamennone)
10. Aria E con gli occhi, e col pensiero (Clitennestra)
11. Aria Il mio core, il genitore (Ifigenia)
Atto secondo
12. Aria Amasti in quel cor perfido (Clitennestra)
13. Aria Addio, infido: addio per sempre (Ifigenia)
14. Aria Passerò con chi svenò (Achille)
15. Aria Non vo’ se deggio piangere (Elisena)
16. Aria Tutto fa nocchiero esperto (Teucro)
17. Aria È debolezza temer cotanto (Ulisse)
18. Aria Ubbidisci; e non cercar (Agamennone)
19. Aria Se il tuo amor (Arcade)
20. Aria O vincerò di un perfido (Clitennestra)
21. Aria Se mai fiero leon vede assalita (Achille)
22. Aria Verace, o menzognera (Ifigenia)
Atto terzo
23. Aria Non ti parlo di mia fede (Teucro)
24. Aria Vergogna e dispetto (Elisena)
25. Aria Più del cielo e più del fato (Ifigenia)
26. Aria Preparati a svenar e figlia, e madre (Clitennestra)
27. Aria Qual quercia da più venti (Agamennone)
28. Aria Sposa, addio: ma questo, o cara (Achille)
29. Aria Madre diletta, abbracciami (Ifigenia)
30. Aria Erto e scosceso è ‘l colle (Ulisse)
31. Aria Ah, che se fosse estinta (Clitennestra)
32. Aria Nell’anima agitata (Elisena)
33. Coro Gli avversi fati
34. Duetto e coro A noi seconde (Ifigenia e Achille)
⸪

































