Paolo Antonio Rolli

Griselda

 

Giovanni Bononcini, Griselda

Bayreuth, Markgräfliches Opernhaus, 18 settembre 2022

(video streaming dell’esecuzione in forma di concerto)

A Bayreuth si scopre una Griselda quasi sconosciuta

Il libretto del 1701 di Apostolo Zeno, basato sull’ultima a novella del Decameron, era stato intonato da Antonio Maria Bononcini nel 1718. Quattro anni dopo, il fratello maggiore Giovanni ritorna sulla vicenda con il testo riscritto da Paolo Antonio Rolli (1) e la nuova Griselda va in scena al King’s Theatre di Londra il 22 febbraio 1722. Il Senesino (Re Gualtiero) e Anastasia Robinson (Griselda) furono tra i fattori di successo dell’opera. Nel 1721 c’era stata la versione di Alessandro Scarlatti e nel 1738 ci sarà quella di Vivaldi, quest’ultima con il testo rivisto da Goldoni.

Giovanni Bononcini (Modena, 18 luglio 1670) si era stabilito a Londra nel 1720 sotto la protezione di John Churchill, I Duca di Marlborough, e si deve a lui se il pubblico inglese ebbe a conoscere l’opera italiana, essendo Händel più giovane di quindici anni. Presto però si accese una vivace competizione tra i due compositori che furono spesso impegnati in produzioni rivali ma anche nella collaborazione della medesima impresa, come i tre atti del Muzio Scevola (1721, su libretto del Rolli) composti il primo da Filippo Amadei, il secondo da Bononcini e il terzo da Händel. La carriera londinese di Bononcini nel 1727 fu però compromessa dalla accusa di plagio avanzata da Antonio Lotti per un madrigale e dovette riparare a Parigi nel 1733 prima di ritornare a Vienna dove morì in povertà nel 1741.

Della Griselda abbiamo un’edizione stampata a Londra «as it was perform’d at the King’s Theatre for the Royal Accademy [sic]» in cui mancano però i recitativi. È un’opera conosciuta quasi solo per l’aria di Ernesto del secondo atto «Per la gloria di adorarvi», interpretata tra gli altri da due dei maggiori cantanti del secolo scorso, Joan Sutherland e Luciano Pavarotti. Ultimamente è appannaggio invece di controtenori che cercano di emulare le prodezze del castrato Benedetto Baldassari, creatore del ruolo.

Dal 1733 l’opera non è mai stata più ripresa e questa è la prima esecuzione completa anche se in forma di concerto nell’ambito del Bayreuth Baroque Opera Festival il cui direttore artistico Max Emanuel Cenčić assume la parte di Gualtiero. Ultimamente Cenčić sceglie ruoli più adatti alla sua voce: «Cerco di seguire il mio corpo e il mio spirito di cantante, di fare ciò che è nelle mie capacità fisiche e spirituali in ogni momento. Tutti dobbiamo essere consapevoli dei nostri limiti e, man mano che invecchio, cerco di trovare ruoli in cui posso essere convincente. Con l’età arriva l’esperienza e si possono sfruttare i cambiamenti del proprio corpo per provare nuovi ruoli, nuovi repertori. Di recente mi sono concentrato maggiormente sui ruoli di contralto. All’inizio della carriera sentivo che la mia gamma inferiore non era forse abbastanza forte, ma ora la mia voce si è sviluppata in quella direzione, quindi sto esplorando i ruoli di Senesino, e questo è stato molto gratificante» ha dichiarato il cantante. Il ruolo originale del Senesino, infatti, più che a pirotecniche prodezze vocali si fa notare per la bellezza delle sette arie comprese nell’opera, anche se qui ne viene omessa una (2). Griselda non è un’opera di grandi contrasti drammatici giacché tutto si basa su un falso presupposto, ma il controtenore croato riesce a delineare fin dal suo primo intervento vocale, l’aria «Affetto, gioia e riso il volto fingerà», la fierezza di carattere del re Gualtiero che per far tacere i cortigiani capeggiati da Rambaldo decide di sottoporre la moglie Griselda a una crudele prova, ripudiandola e annunciandole di volersi risposare con una più giovane fanciulla.

Come Gualtiero anche Griselda ha ben sette arie a sua disposizione oltre al duetto col marito e il mezzosoprano Sonja Runje sfoggia un bel colore, espressività e un certo temperamento, ma la dizione è manchevole, le consonanti doppie sono spesso mancanti e ci sono imprecisioni come quando capanna diventa campana

L’altra coppia di innamorati è quella di Almirena, il soprano Johanna Rosa Falkinger, voce luminosa ed eleganza di fraseggio che rifulge nella sua aria del secondo atto con violino obbligato «Se vaga pastorella degna non sei del trono», ed Ernesto, Dennis Orellana sopranista honduregno nato nel 2000 dall’aspetto ancora più giovane a causa dell’apparecchio ortodontico da adolescente. Esibisce una voce chiara, tonda e corposa ma da timbro quasi infantile. Assieme i due giovani interpretano con felice comunione di voci il ritmicamente vivace duetto «Qual timoroso cervo cacciato, fuggito al monte» del terzo atto. La parte del vilain motore dell’azione, Rambaldo, vede in Sreten Manojlović una giovanile ed espressiva voce di basso di grande proiezione e agilità espresse nelle sue tre arie, una per ogni atto..

Griselda inizia quasi come un concerto per vari strumenti solisti prima di sfociare in una solenne fanfara che introduce alla vicenda. L’ouverture è seguita da 24 arie, generalmente brevi, due duetti e un festoso coro finale. I recitativi mancanti sono stati ricostruiti con stile appropriato dal compositore Dragan Karolić esperto di musica barocca. Benjamin Bayl al clavicembalo dirige la Wrocław Baroque Orchestra, un’eccellente compagine specializzata in questo repertorio, con tempi frizzanti che esaltano i colori di questa partitura la quale, anche se non offre grandi contrasti, rivela comunque una scrittura orchestrale di prim’ordine con strumenti solisti impegnati in molte arie – bello il violoncello nell’aria di Griselda «Quel guardo di pietà lusinga il mio soffrir» del terzo atto o i legni che danno colore al successivo duetto – e una felice ricchezza melodica.

Il video dell’esecuzione è disponibile su youtube.

(1) Rispetto all’originale di Zeno, nella versione di Rolli il personaggio di Corrado è eliminato e altri vengono ribattezzati: Ottone diventa Rambaldo, Costanza Almirena, Roberto Ernesto, mentre Gualtiero da Re di Tessalia diventa Re di Sicilia. La trama della vicenda è già stata raccontata per la Griselda di Scarlatti e per quella di Vivaldi.

(2) Ecco lo schema dell’opera come è stata eseguita al Markgräfliches Opernhaus di Bayreuth. Tra parentesi l’aria omessa.
Ouverture
Atto primo
«Parto, amabile ben mio, ma ricordati di me» Griselda
«Affetto, gioia e riso il volto fingerà» Gualtiero
«Timore e speme van combattendo il dubbio core» Rambaldo
«Volgendo a me lo sguardo vedrai qual dolce affetto» Gualtiero
«Quanto mi spiace ch’amor t’inganna e il cor t’affanna» Almirena
«Non deggio no sperare, né posso non amare» Ernesto
«Sì, già sento l’ardor che m’accende» Gualtiero
«Dal mio petto ogni pace smarrita» Griselda
Atto secondo
«Arder per me tu puoi e non poss’io per te» Almirena
«Per la gloria d’adorarvi voglio amarvi o luci care» Ernesto
«Al mio nativo prato dirò t’ho abbandonato» Griselda
(«Le fere a risvegliar sì fate o cacciatori» Gualtiero)
«Con sì crudel beltà ardire amor mi dà perché si renda» Rambaldo
«Sì vieni ove il rigor d’inique stelle» Griselda
«Che giova fuggire per brama di vita a cerva ferita» Ernesto
«Dolce sogno deh le porta sol l’immagine del vero» Gualtiero
«Se vaga pastorella degna non sei del trono» Almirena
«Caro, addio, dal labbro amato tu venisti accompagnato» Griselda
«Dell’offesa vendicarti è giustizia, amor non è» Gualtiero e Griselda
Atto terzo
Pagina strumentale
«Troppo è il dolore del mesto core, se duro stato l’opprimerà» Ernesto
«Se mai può consolarti, l’amor mio nell’aspra sorte ognor sarà» Almirena
«Quel guardo di pietà lusinga il mio soffrir» Griselda
«Son qual face che s’accende e risplende» Gualtiero
«Qual timoroso cervo cacciato, fuggito al monte» Ernesto e Almirena
«Eterni dèi narrate in ciel di più che fate» Rambaldo
«Per te mio solo bene, se dolci son le pene, la gioia che sarà» Griselda
«Sebben fu il cor, se vero mai non v’abbandonai» Gualtiero
«Viva, viva, s’innalzi e splenda come radiante stella» coro

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Astarto


   

foto @ Birgit Gufler

Giovanni Bononcini, Astarto

★★★★☆

Innsbruck, Landestheater, 27 agosto 2022

 Qui la versione italiana

Astarto de Bononcini, de Rome à Innsbruck via Londres

Le deuxième opéra du settecento repris par Alessandro de Marchi, le directeur musical des Innsbruck Festwochen der alten Musik  dans sa dernière année de fonction, permet une comparaison intéressante entre deux mises en scène aux visées différentes.

Avec le Silla de Carl Heinrich Graun, le metteur en scène Georg Quander avait choisi de confier la construction dramaturgique à la musique elle-même et à la complexité des interventions vocales, notamment au deuxième acte…

la suite sur premiereloge-opera.com

Astarto


   

foto @ Birgit Gufler

Giovanni Bononcini, Astarto

★★★★☆

Innsbruck, Landestheater, 27 agosto 2022

bandiera francese.jpg  Ici la version française

Alle settimane di musica antica di Innsbruck un’opera di rara esecuzione diventa uno spassoso spettacolo

La seconda opera settecentesca ripescata dal direttore musicale delle Innsbrucker Festwochen der alten Musik – Alessandro de Marchi al suo ultimo anno di incarico – permette un interessante confronto sulle messe in scena delle opere del Settecento.

Con il Silla di Carl Heinrich Graun il regista Georg Quander aveva scelto di lasciare alla musica e alla complessità degli interventi vocali, soprattutto nel secondo atto, la costruzione della drammaturgia. In un certo senso l’ex sovrintendente della Staatsoper unter der Linden di Berlino aveva restituito con fedeltà l’intento serio del libretto di Federico II versificato in italiano dal Tagliazucchi, intervenendo con una regia molto sobria. Invece, con l’Astarto di Giovanni Bononcini, opera su libretto di Apostolo Zeno e Pietro Pariati presentato al Teatro Capranica di Roma nel gennaio 1715, Silvia Paoli fa della vicenda solo un pretesto per mettere in burla le solite sconclusionate avventure amorose di personaggi storici o di fantasia al limite del risibile delle opere settecentesche, parlando del nostro presente. (1)

L’ambientazione scelta dalla regista e realizzata tramite le efficaci scenografie di Eleonora de Leo e i costumi di Alessio Rosati, è un generico paese dittatoriale futuro ma che guarda agli anni ’60 del secolo scorso con tocchi di camp, soprattutto nel caso di Fenicio, contestatore con immagini di Che Guevara e Gandhi sulla parete, bandiera arcobaleno sulla tavola e travestimenti gay al momento giusto. Innumerevoli sono le gag e i particolari divertenti che animano questa “tetra dittatura”. Anche qui nel finale, come nel recente Farnace alla Fenice, la presa del potere di Elisa e Clearco (ora Astarto) significa un definitivo addio ad ogni velleità di libertà: a Venezia con la carneficina dei personaggi, qui a Innsbruck facendo tutti diventare  prigionieri in tuta arancione, unico tocco drammatico di una regia ironica e spiazzante che trova giustificazione tra l’altro anche dalla fluidità dei generi dei cantanti che si sono succeduti nelle varie produzioni: alla prima romana del 1715 tutti gli interpreti erano ovviamente maschili per le note prescrizioni papali, mentre alla ripresa di Londra del novembre 1720, col libretto rivisto da Paolo Rolli e la partitura adattata alle diverse tessiture delle voci e ai differenti stili vocali, sulle scene del King’s Theatre non solo i due personaggi femminili erano affidati a due cantanti donne – la mitica Margherita Durastanti (Elisa) e Maria Maddalena Salvasi (Sidonia) – ma anche il personaggio di Agenore era stato cantato da un soprano (Caterina Gallerati) mentre nella parte del titolo si era esibito il castrato Francesco Bernardi, il Senesino, qui al suo debutto londinese, il quale diventerà idolo delle folle e interprete tra i preferiti di Händel. Nella ripresa moderna di Innsbruck, nella versione di Londra, i generi dei ruoli sono ancora cambiati, con un predominio di cantanti donne in tutte le parti, anche quelle maschili, ad eccezione di Fenicio.

Rivale di Händel (1685-1759), di cui era quasi coevo, Giovanni Bononcini (Modena, 18 luglio 1670 – Vienna, 9 luglio 1747) non riuscì a eguagliare il collega di Halle nella facilità melodica e nella ricchezza armonica, ma neanche perpetuò lo stile napoletano allora in gran voga: il suo è un tratto personale ben evidente in questa sua opera consistente in una sinfonia e di una trentina di numeri chiusi distribuiti equamente in tre atti, tutte arie solistiche ad eccezione di tre duetti. Musicalmente il peso dei sei personaggi è nettamente squilibrato tra Sidonia, Agenore e Fenicio (che hanno ognuno a disposizione tre interventi) ed Elisa, Clearco e Nino (rispettivamente otto, nove e sei, tra arie solistiche e duetti).

Con Astarto Bononcini raggiunge il culmine della sua maturità artistica con la versione del 1720, più compatta di quella originale sia nella lunghezza dei recitativi sia nei numeri chiusi, qui ridotti, con la soppressione della parte di Geronzio e una più ricca strumentazione. Per di più qui la parte di Clearco beneficia di arie che nell’originale romano erano affidata ad altri personaggi. Per nulla insolito per i compositori dell’epoca è il riutilizzo di proprio materiale, e Bononcini non fa eccezione riproponendo pagine già scritte per altre opere presentate a Vienna, città in cui aveva lavorato per oltre tredici anni. «Quest’anno Astarto sarà rappresentato per la prima volta in Austria. Una partitura nata a Roma e perfezionata a Londra, ma concepita a Vienna in armonia con la tradizione e i costumi musicali del luogo. Come il suo compositore, Astarto è l’opera di un’anima cosmopolita e inquieta, ricca di stimoli e passioni umane», scrive Giovanni Andrea Sechi sul programma di sala riassumendo le caratteristiche di questo raro lavoro.

La ricostruzione di materiali dell’opera e dei recitativi, mancanti in questa versione, si deve a Stefano Montanari che imbracciando il violino dirige la Enea Barock Orchestra, una compagine di 27 musicisti che formano un ensemble dal suono pulito ma non del tutto esaltante nella ricchezza di colori. È l’entusiasmo del maestro Montanari a conferire smalto a una partitura che, complice anche la omogeneità dei registri quasi tutti femminili, non sembra offrire le gemme melodiche e strumentali del Silla di Graun, ma confida nella professionalità delle voci. Qui è la diversità degli “affetti” messi in campo dagli interpreti a costituire l’interesse per questo negletto lavoro.

Dara Savinova è Elisa, la regina di Tiro combattuta tra l’amore e il ruolo di neo-monarca. Il magnifico timbro e lo stile elegante della cantante riempiono la scena con grande sicurezza. Il suo non è tra i ruoli più ricchi di colorature, ma le agilità comunque presenti sono affrontate con sicurezza. Le sue arie sono spesso contrastate, con una sezione mossa, di furore («Sdegni tornate in petto | del mio tradito affetto | le ingiurie a vendicar») seguita da una più calma, riflessiva («Ma so che invan m’alletta | quest’alma alla vendetta | se poi non la sa far») in cui tradisce il suo lato più femminile, più umano. La parte di Clearco/Astarto trova in Francesca Ascioti un’interprete sensibile che più che sulle pirotecniche agilità punta sulla espressività nelle sue nove arie. Particolarmente convincente quella del terzo atto «Amante e sposa | sì gli sarai». La presenza di un controtenore avrebbe comunque reso più plausibile e musicalmente più vario il ruolo affidato originariamente a un grande castrato. Irresistibile sulla scena è la Sidonia di Theodora Raftis, vocalmente ineccepibile, che la regista trasforma in un personaggio delle commedie anni ’70 di John Waters con la sua parrucca uscita dal film Hairspray e gli outfit di Barbie. Autorevoli vocalmente il Nino di Paola Valentina Molinari, il personaggio più bistrattato nella vicenda, e l’Agenore di Ana Maria Labin, che nella ripresa della sua aria del secondo atto «Spero, ma sempre peno» si impenna in una gloriosa puntatura acuta. Unico maschio in un cast al femminile imperante è quella del basso Luigi de Donato che delinea in maniera efficace un Fenicio ironico o drammatico a seconda delle necessità e sempre preciso nelle agilità, così difficili da realizzare quando sono assegnate a una voce grave. Grande esperto in questo genere, ha confermato le qualità già ammirate altrove.

Il festival si è concluso come tutti gli anni con la esibizione dei finalisti del Concorso Cesti: da 159 partecipanti sono stati selezionati dieci giovani interpreti che hanno dimostrato tutti un buon livello di preparazione e maturo talento. Al primo posto si è classificato un ventiquattrenne tenore britannico – Laurence Kilsby, un nome da tenere a mente – che ha incantato il pubblico e convinto la giuria con la sua intensa interpretazione di «Deh ti piega | deh consenti» da La fida ninfa di Vivaldi, una delle opere in programma l’anno prossimo. Un motivo in più per ritornarci.

(1) Antefatto. Elisa, regina di Tiro, ha deciso di sposare Clearco, il suo amato eroe navale, per proteggerlo dalle macchinazioni di Astarto, il figlio di Abdastarto, il legittimo re che è stato deposto e ucciso da Sicheo, padre di Elisa. Anche se si crede che Astarto siamorto in fasce, c’è chi dice che sia ancora vivo. Infatti Astarto si nasconde nella persona di Clearco, salvato da bambino da Fenicio e cresciuto da lui come un figlio. Nessuno, a parte Fenicio, conosce l’identità segreta di Clearco, che si ritiene figlio di quest’ultimo.
Atto I. Elisa comunica ai grandi del regno, Agenore, Nino e Fenicio, il suo desiderio di sposare Clearco. Agenore, che vuole sposare Elisa, escogita un piano per impedire le nozze e disonorare Clearco. Agenore condivide i suoi pensieri con Nino, che a sua volta è innamorato di Sidonia, la sorella di Agenore. Sidonia, che finge di essere innamorata di Nino, è in realtà innamorata di Clearco e vuole anche impedire il suo matrimonio con Elisa. Clearco torna vittorioso dalla sua ultima missione militare e apprende da Fenicio che Elisa ha deciso di sposarlo. Fenicio ammonisce il figlio e lo esorta a non cedere alle lusinghe del tiranno. La regina ha letto un falso messaggio, in realtà scritto da Agenore, contenente un patto tra Clearco e Astarto per dividere il regno. Clearco viene accusato di tradimento e arrestato. Sidonia approfitta della debolezza di Clearco per avvicinarlo mentre sta scrivendo una lettera d’amore indirizzata a Elisa. Sidonia si offre di consegnare la lettera, alla quale manca il nome della destinataria. Dopo un’accesa discussione sul messaggio sbagliato, Elisa si convince della sincerità di Clearco, lo libera dalla prigionia e ribadisce il suo desiderio di sposarlo. Sidonia decide di usare la lettera di Clearco a suo vantaggio: la mostra a Elisa sostenendo di essere l’amante segreta di Clearco e che il contenuto della lettera era indirizzato a lei. Elisa si ritrova ancora una volta tradita.
Atto secondo. Fenicio sta preparando un complotto per rovesciare Elisa, mentre Clearco cerca di dissuaderlo. Clearco è combattuto tra l’amore per Elisa e quello per il padre. Assorto nei suoi pensieri, viene sorpreso da Elisa, che gli regala Sidonia accusa nuovamente Elisa di tradimento e gli ordina di non parlarle mai più. Sidonia informa Agenore di essere riuscita a oltraggiare Elisa. Quando lei arriva, i due insistono affinché Clearco scopra la cospirazione e insinuano che lui ne sia l’artefice. Nino arriva e informa la regina che il palazzo è attaccato dai suoi nemici, guidati da Fenicio. Clearco accetta di combattere contro il padre. Elisa preferisce affidare la guida dell’esercito ad Agenore, al quale promette la sua mano e il regno. Disperato, Clearco si dichiara ancora una volta innocente. Elisa sta per credergli, ma Nino e Sidonia la convincono a imprigionare nuovamente Clearco. Rimasta sola, Sidonia chiede un giuramento a Nino, che accetta stupidamente di prestarlo. Gli rivela di essere l’amante di Clearco e gli ordina di assecondare i suoi piani e di non rivelarlo a nessuno. Nino si sente perso, combattuto tra la promessa fatta e la gelosia. Fenicio viene portato davanti a Elisa, che lo interroga davanti a Clearco. Elisa minaccia padre e figlio di morte se non le diranno dove si trova Astarto e li lascia soli per qualche istante. Clearco chiede a suo padre di rivelare dove si trova Astarto e Astarto gli rivela la sua vera identità: Clearco è in realtà Astarto, l’erede al trono. Quando Elisa torna, Clearco la blocca e le dice che le rivelerà il segreto solo in privato.
Atto terzo. Elisa è sorpresa di trovare Sidonia e Nino negli appartamenti reali e li affronta. Sidonia coglie l’occasione per confessare a gran voce il suo amore a Nino. Nino, minacciato da Sidonia ricambia il suo amore. Clearco arriva e conferma di sapere dove si trova Astarto, ma lo consegnerà alla regina solo a una condizione: che rinunci al matrimonio con Clearco e sposi invece Astarto. Piena di rabbia, Elisa fa aspettare Clearco e ordina a Nino di uccidere chiunque si avvicini in compagnia dell’ammiraglio. Nel frattempo, Fenicio si è liberato dalla prigionia e sta preparando un nuovo attacco al palazzo con i cospiratori. Clearco incontra Agenore e lo informa che Astarto sposerà Elisa in modo che non ci sia più rivalità tra loro. Lo convince a recarsi dalla regina per poter vedere Astarto con i suoi occhi. Agenore vede che i suoi piani sono definitivamente falliti. Nino torna nella sala del re e comunica a Elisa di aver eseguito l’ordine. Fenicio arriva alla testa dei cospiratori. Elisa gli annuncia con soddisfazione che Astarto è morto. Fenicio, sconvolto dalla notizia, rivela la vera identità di Clearco: se Astarto è morto, Clearco è morto. Fenicio vuole uccidere Elisa, ma viene fermato da Clearco. Tra lo stupore di tutti, Clearco perdona tutti e ristabilisce l’unità tra i presenti.

Polifemo

 

Nicola Porpora, Polifemo

Bayreuth, Markgräfliche Opernhaus, 9 settembre 2021

(video streaming della versione per concerto)

Il rivale londinese di Händel e il suo Polifemo

Ultima delle cinque opere composte a Londra da Nicola Porpora, Polifemo andò in scena al King’s Theatre il 1° febbraio 1735 con un cast stellare: il Farinelli (Aci), il Senesino (Ulisse), la Cuzzoni (Galatea) e nel ruolo del titolo il basso veneziano Antonio Montagnana, già Polifemo nell’Acis and Galatea di Händel. I cantanti avevano lasciato la “seconda” Royal Academy of Music, fondata dal sassone dopo che la prima era fallita nonostante il supporto finanziario del re Giorgio I. I costi esorbitanti dei cantanti e il cambiamento dei gusti del pubblico erano alla base di queste trasformazioni. Una compagnia rivale raccolse tutti i cantanti transfughi e Porpora fu invitato a scrivere per questa nuova Opera of the Nobility con sede il teatro di Lincoln’s Inn Fields, e il suo primo lavoro fu Arianna in Naxo. Il Polifemo ebbe undici repliche nella versione originale e tre nella nuova versione che inaugurò la stagione d’autunno. La seconda versione si caratterizza soprattutto dal taglio dei numeri di Nerea e per molti cambiamenti alla parte di Aci.

Il libretto di Paolo Rolli mescola le vicende mitologiche dell’uccisione di Aci, che viene così trasformato in fonte (Le metamorfosi, libro XIII) con quelle omeriche di Ulisse che acceca il ciclope (Odissea, libro IX).

Atto primo. Scena 1: Un mare calmo sulla costa siciliana, in vista dell’Etna. Il coro canta di due dee. Galatea e Calipso si lamentano di essersi innamorate dei mortali. Mentre il coro loda l’amore, Calipso se ne va. Scena 2: Il tentativo di uscita di Galatea è interrotto da Polifemo. Egli desidera Galatea e si chiede perché lei non sia impressionata dal suo pedigree (è il figlio di Nettuno) o dalla sua forza sovrumana. Galatea afferma che non può amarlo. Polifemo risponde che le fiamme nel suo cuore sono più grandi di quelle dell’Etna. Conoscendo la sua tendenza all’ira e al furore, Galatea vorrebbe che lui capisse che lei si è innamorata del mortale Aci. Scena 3: Si vedono in lontananza le navi di Ulisse; Ulisse sbarca con il suo seguito da una delle navi e viene accolto da Aci. Dopo un lungo e faticoso viaggio, Ulisse è felice di essere approdato e vede una grotta che gli servirà da alloggio adeguato. Aci mette in guardia Ulisse da Polifemo. il ciclope gigante che terrorizza le persone, uccidendole e divorandole. Aci spiega che conosce la routine del gigante e che è riuscito ad evitarlo. Esorta Ulisse ad andarsene. Ma Ulisse vuole vedere prima il gigante; spiega la sua mancanza di paura. Aci pensa che il coraggio di Ulisse è quello che può sconfiggere Polifemo. Poi vede Galatea, il suo amore, avvicinarsi su una nave. Scena 4. Un’altra parte del litorale con casette di pescatori. Calipso, travestita da pescatrice, incontra Ulisse. Egli è preso dalla sua bellezza, mentre lei gli assicura la sicurezza. Scena 5. Entra Polifemo e si diverte a trovare Ulisse pronto alla battaglia. Riconoscendo il suo eroismo, Polifemo si impegna a proteggere Ulisse e i suoi uomini, cosa che Ulisse accetta con diffidenza ma rimane in guardia. Scena 6. In un boschetto, Galatea è felice di essere con Aci ma si meraviglia della mancanza di preoccupazione di Aci per Polifemo. Aci risponde che non ha paura del gigante. Galatea promette di visitare di nuovo il boschetto ma deve andarsene a causa dell’avvicinarsi di Polifemo. Aci risponde che la sua presenza gli dà gioia. Lui se ne va e Galatea si chiede cosa penseranno le altre ninfe del mare della sua relazione con un mortale, sebbene lei lo ami.
Atto secondo. Scena 1. Calipso riflette sulle implicazioni del suo amore con un mortale. (Nella prima versione Nerea incoraggia Calipso a usare il suo fascino nel placare Polifemo per liberare Ulisse dalla grotta dove lui e i suoi uomini nno trovato rifugio. Scena 2. Ulisse si avvicina con un gregge e dice a Calipso che Polifemo gli ha dato dei compiti da pastore e che i suoi uomini sono tenuti prigionieri in una grotta. Spiega che sono prigionieri fino al ritorno degli schiavi di Polifemo con dei regali. Se gli schiavi non hanno portato regali a Polifemo, allora lui li divorerà. Calipso gli dice di non preoccuparsi perché gli dei sono dalla sua parte. Ulisse osserva la sua gentilezza. Scena 3. Aci si crogiola nella sua infatuazione per Galatea. Scena 4. Una vista sul mare. Preparandosi ad incontrare Polifemo, Galatea naviga nella sua conchiglia, incoraggiando le brezze a portarla da Ulisse. Polifemo la intercetta e le chiede perché preferisca un ragazzo ai suoi attributi. Lei lo rifiuta e Polifemo giura vendetta su Aci. Galatea continua a supplicare le brezze di portarla da Aci. Scena 5. Aci e Galatea. Aci incoraggia gli amorini a portare Galatea al sicuro a riva. Aci e Galatea hanno uno scambio concitato in cui rivelano il loro amore reciproco. Galatea dice ad Aci di incontrarla più tardi in una grotta e Aci promette di farlo, la sua passione per Galatea vince le sue paure. Galatea è colpita da Aci e desidera che tutte le sue speranze siano vere. Scena 6. Ulisse si sveglia e trova Calipso che gli spiega chi è lei. Lei gli promette sicurezza se lui le darà il suo cuore e lo avverte che gli schiavi stanno portando regali a Polifemo. Ulisse, felicissimo, canta dell’immortale bellezza. Scena 7. Un boschetto. Aci e Galatea esprimono il loro amore nonostante i sentimenti di paura.
Atto terzo. Scena 1. Una roccia vicino all’Etna, ai cui piedi, in un ombroso pergolato, si trovano Aci e Galatea. Polifemo ammonisce Galatea. Sarebbe stato volentieri una ninfa delle acque per stare con lei. Ma è più potente di Giove e si vendicherà per il suo rifiuto. Getta un sasso e uccide Aci. Scena 2. Galatea piange Aci. Scena 3. Grotta di Polifemo. Ulisse e Calipso si preparano a incontrare Polifemo. Ulisse si chiede perché lei lo aiuta. Calipso spiega che le sue precedenti azioni eroiche l’hanno spinta ad aiutarlo. Lei diventa invisibile mentre Polifemo entra, esultante per aver ottenuto la vendetta. Ulisse gli offre del vino dell’Etna. Polifemo beve e si addormenta. Ulisse prende un tronco ardente e lo conficca nell’occhio di Polifemo ed esulta per averlo vinto. Calipso si rallegra nel vedere Ulisse battere Polifemo. Scena 4. Il sasso caduto su Aci. Galatea è felice che Polifemo sia stato sconfitto, ma implora Giove di restituire Aci alla vita. Scena 5. La roccia si apre e sgorga un ruscello. Aci, ora dio del ruscello, regge un’urna. Sia Aci che Galatea ringraziano Giove per avergli ridato la vita. Scena 6. Ormai cieco, Polifemo vaga per l’isola senza meta. Aci dice a Polifemo che Giove si è vendicato per averlo ucciso. Polifemo riconosce di essere consumato dalla rabbia. Scena 7. Ulisse elogia le ninfe e tutto ciò che lo circonda. Tutti cantano un coro all’amore.

I 29 numeri che compongono l’opera dimostrano la grande libertà del compositore nell’affrontare e scomporre le forme tradizionali facendo ad esempio diventare l’aria con da capo una struttura drammaturgica complessa: alla cavatina di Galatea «Placidetti zeffiretti» (n° 15, scena 4 dell’atto secondo) dopo il recitativo con Polifemo Aci risponde con «Amoretti vezzosetti» (n° 15bis) sulla stessa musica, come se fosse la ripresa dell’aria precedente. L’opera è poi piena di recitativi accompagnati, quasi degli ariosi.

L’aria «Alto Giove», inserita nel film Farinelli (1994), ha rinnovato l’interesse per il Polifemo di Porpora che è stato messo in scena nel 2013 dalla Parnassus Arts al Theater an der Wien mentre una rappresentazione semi-scenica si è avuta al festival di Salisburgo nel 2019. Ora Max-Emanuel Čencić, autore di molte riproposte dei lavori di Porpora, produce questa versione per il Bayreuth Baroque Opera Festival di cui è direttore. Alla direzione dell’ensemble Armonia Atenea il suo direttore artistico George Petrou che esalta i colori e le bellezze strumentali della partitura ma procede a tagli non molto giustificati da un’esecuzione in forma di concerto. Decimati i recitativi, sono eliminate anche alcune riprese dei cori e intere arie, come quella di Calipso e di Aci nel primo atto, ancora di Calipso nel secondo e di Nerea nel terzo. Particolarmente brutto il taglio del recitativo di Polifemo all’inizio del terzo atto quando scaglia il masso sulla coppia di amanti uccidendo Aci: in quei versi il librettista si premura di quasi citare quelli delle Metamorfosi di Ovidio come a ribadirne la nobile parentela.

Un cast di specialisti è quello che vediamo calcare il palcoscenico del meraviglioso Margräflisches Opernhaus. Nonostante il titolo è Galatea il personaggio che ha più numeri solistici per sé: ben sette, contro i sei di Aci e i cinque di Ulisse. Il soprano Julija Ležneva affronta con agio la parte e al termine delle sezioni delle sue arie si sfoga con lunghe e complesse cadenze perfettamente eseguite anche se forse con qualche libertà stilistica. L’innamorato pastore Aci trova nel controtenore Yuriy Mynenko una voce di grande bellezza e purezza di emissione, meno eroica di quello che ci si potrebbe aspettare, soprattutto nell’aria «Nell’attendere il mio bene», con un marziale accompagnamento di trombe e corni, che Cecilia Bartoli in concerto rende in maniera più “virile”…

Max-Emanuel Čencić riserva per sé la parte un po’ meno virtuosistica di Ulisse che risolve al solito con grande classe. Le due ninfe Calipso e Nerea hanno nel mezzosoprano Sonja Runje e nel soprano Rinnat Moriah appropriate interpreti. E infine Polifemo, che ha soltanto due arie solistiche, ma che è il personaggio più complesso e meglio costruito da librettista e compositore, e qui il baritono Pavel Kudinov si cala con autorevolezza nei panni dell’arrogante ciclope crudelmente punito. Gli altri personaggi sono impegnati anche in pezzi di insieme come il duetto «Vo presagendo» di Calipso e Galatea nel primo atto, il duetto Aci/Galatea con cui si conclude gloriosamente l’atto secondo e il terzetto finale dell’opera con Galatea, Aci e Ulisse inneggianti all’amore: «Ah senz’amor | mai, non v’ha | un bel contento».

Publio Cornelio Scipione

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Georg Friedrich Händel, Publio Cornelio Scipione

★★★☆☆

Bad Lauchstädt, Goethe-Theater, 12 giugno 2016

Tra Barbarella e Darth Vader

Perso nella campagna della Sassonia-Anhalt, una volta ricoperta di cupe foreste e ora punteggiata di centrali nucleari, tralicci di alta tensione e pale eoliche, il Goethe-Theater di Bad Lauchstädt testimonia come un tempo questo paesino fosse un rinomato centro di cure termali presso cui villeggiava volentieri madame Goethe.

Si spiega così l’incongruente presenza di un teatro in queste lande: nel 1791, infatti, Johann Wolfgang Goethe, allora direttore principale del teatro di corte di Weimar, propose la costruzione qui di una nuova sala. L’architetto berlinese Heinrich Gentz ricevette precise istruzioni da Goethe circa l’allestimento dell’interno secondo la sua Teoria dei colori. Il poeta stesso contribuì di tasca propria al finanziamento dell’impresa che per ragioni burocratiche si dilungò nel tempo e il teatro fu aperto solo il 26 giugno 1802 con La clemenza di Tito di Mozart.

L’edificio in sé è poco più che un granaio, con le quattro semplici pareti esterne in muratura che aspettano la ridipintura e un guscio interno di legno dall’ottima acustica. L’energia elettrica, di cui si fa ampia produzione fuori, qui all’interno non viene certo sprecata: l’illuminazione è affidata a poche fievoli lampadine che simulano l’impianto a gas originale, non ci sono né aria condizionata né riscaldamento. I sedili sono panche di legno e non parliamo di sopratitoli. Ma chissenefrega, in scena c’è un’opera in lingua italiana, il Publio Cornelio Scipione di Georg Friedrich Händel, una delle offerte del festival che ogni anno la vicina Halle dedica al suo figlio più illustre.

Il libretto di Paolo Antonio Rolli è tratto dall’omonimo lavoro (1704) di Antonio Salvi, basato a sua volta su un capitolo di Ab urbe condita di Tito Livio. Vi si narra dell’arrivo di Scipione (l’Africano, tra i tanti Scipioni di cui è ricca la storia di Roma) a Cartagine vinta dopo tanti sforzi. Il fedele Lelio offre al condottiero vittorioso due prigioniere tra cui c’è la bella Berenice. Ovviamente Scipione se ne innamora, ma questa sospira invece per l’amato Lucejo che doveva sposare il giorno stesso della caduta della città. Il suddetto Lucejo si presenta in incognito travestito da soldato romano e tra scoprimenti e malintesi i due giovani alla fine dei tre atti coroneranno il loro amore grazie anche alla magnanimità di Scipione. Il padre di Berenice, Ernando, e Armira completano il sestetto dei personaggi dell’opera.

Presentata nel marzo 1726, ripresa nel 1730 e poi mai più rappresentata fino a cinquant’anni fa, nella produzione di Händel Scipione costituisce una pausa durante la composizione di Alessandro: lo Haymarket aveva una lacuna di programmazione da colmare, Händel compone l’opera in tre settimane e questa va in scena appena dieci giorni dopo essere terminata. Scipione in origine conteneva anche il personaggio di Rosalba, la madre di Berenice. Ma poiché la cantante originariamente prevista per il ruolo non fu disponibile, quel ruolo fu rimosso e la musica e il testo trasferiti ad altri personaggi, soprattutto Berenice che ha ben nove numeri musicali tra cui quattro arie di lamento («Un caro amante» n. 4; «Dolci aurette che spirate» n. 9; «Ah, pria di rivederti» n. 15 con un bellissimo accompagnamento palpitante degli archi; «Com’onda incalza altr’onda» n. 18) e poi «Scoglio d’immota fronte» n. 22 che chiude il secondo atto o «Già cessata è la procella» n. 27 nelle quali si fa un gran sfoggio di agilità o ancora «Bella notte senza stelle» n. 31. Non sono comunque meno pregevoli le due arie di Armira o le sette di Lucejo, tra cui «Se mormora rivo o fronda» n. 24 dallo stupefatto accompagnamento dei fiati e degli archi.

Scipione come personaggio non ha molti numeri, ma un lungo importante recitativo accompagnato («Il poter quel che brami, il bramar quel che puoi sono in tua forza, e tu goder non vuoi?» n. 22) che dà spessore al personaggio fino a quel momento piuttosto scialbo.

Anche se non ci sono pagine memorabili, tutto il lavoro è di grandissima qualità comunque e il caro sassone ci sorprende ogni volta con la sua stupefacente orchestrazione e la sua invenzione melodica. Pregevoli sono i tre brani strumentali (Sinfonie), mentre delle varie marce presenti nello Scipione una è diventata la marcia del reggimento britannico dei Granatieri della Guardia.

La messa in scena di Angela Kleopatra Saroglou attinge a piene mani in tre diversi mondi fantascientifici della cultura popolare: dalla più lontana Barbarella di Jean-Claude Forest, senza però l’elemento sexy; da Star Trek, tanto che i guanti hanno solo tre dita per fare il saluto del vulcaniano Spock; e ovviamente da Star Wars. Scipione infatti appare nella prima scena uscendo da una nuvola di vapore bianco come Darth Vader e ogni tanto in buca gli archi gravi si divertono a inserire qualche nota delle famose colonne sonore. Le scene di Giorgios Kolios usano quinte e fondi dipinti con mondi lontani presi da illustrazioni di libri di fantascienza e non manca il firmamento fosforescente che adornava il soffitto delle camerette di un tempo. Il tutto ha l’aria un po’ naïf, ma si fa perdonare in un teatrino quasi di cartapesta come questo. Anche le movenze coreografate da Dimitra Kastellou hanno un che di ingenuo così come i costumi di Yiannis Katranitsas, una versione aggiornata di quelli impennacchiati di Pizzi. Non si giustifica comunque del tutto la scelta di ambientare nella fantascienza vicende del 200 a.C. – e non è neanche una novità: l’ambientazione da Guerre Stellari è stata già vista in dozzine di allestimenti d’opera, per lo più a sproposito. Debole la regia attoriale e i cantanti non fanno altro che entrare e uscire (anche da botole) quando è il loro momento. L’unico che si è inventato una sua presenza sulla scena è il tenore Juan Sancho, Lelio, che si è ispirato al robot C3PO per certe gag. Sulla sua resa vocale, però, non ripeto quanto scritto altrove.

Due controtenori interpretano i principali ruoli maschili e qui abbiamo due stili molto diversi: l’ucraino Yuriy Mynenko gioca sull’estensione e sulla forza della voce, il catalano Xavier Sabata sul calore del timbro. Gli applausi più convinti del folto pubblico vanno però al soprano marocchino Hasnaa Bennani, Berenice liricamente sofferta ma capace di agilità nitide e luminose. Di buon livello gli altri due interpreti.

Qui l’opera è diretta da George Petrou con il suo ensemble Armonia Atenea in una produzione della Parnassus Arts. Petrou utilizza la prima versione originale (ce n’è una seconda per la ripresa nel 1730) e concerta con la solita verve i suoi strumentisti che lo seguono a meraviglia, sembrano anche divertirsi e, anche se in pochi, riescono a fornire tutti i colori giusti ai diversi numeri musicali.

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Il maestro Petrou in pausa

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Il “foyer” del teatro all’intervallo

 

Alessandro

Georg Friedrich Händel: ALESSANDRO; Parnassus Arts Production / Armonia Atenea Copyright: Martin Kaufhold, Ernst-Göbel-Str. 37a D - 65207 Wiesbaden, 0171 4158942 Nutzungsrechte beim Urheber. Nutzungshonorar zzgl. 7% MwSt.: Sparkasse Bochum BLZ 430 500 01 KTO 11 35 61 450

Georg Friedrich Händel, Alessandro

Versailles, Opéra Royal, 2 giugno 2013

(video streaming)

Ciak, si gira

Col numero d’opus HWV 21 Alessandro fu composto nel 1726 su libretto di Paolo Rolli tratto dalla storia de La superbia d’Alessandro di Ortensio Mauro. Quella fu la prima volta che le famose cantanti Faustina Bordoni e Francesca Cuzzoni sarebbero comparse insieme in un’opera di Händel. Il cast originale comprendeva anche il Senesino.

Il compositore aveva originariamente previsto che Alessandro fosse il suo primo contributo alla stagione della Royal Academy, ma la Bordoni non arrivò a Londra in tempo e Alessandro fu sostituito dallo Scipione fino al suo arrivo. L’opera ebbe la sua prima rappresentazione il 5 maggio 1726 al King’s Theatre di Londra e fu un clamoroso successo, con una serie di tredici repliche che sarebbero state ancora di più se il Senesino non si fosse ritirato per un’indisposizione. Lady Sarah Cowper si lamentò in una lettera che era difficile ottenere i biglietti, tanto che Händel fece rivivere l’opera nelle stagioni 1727 e 1732.

La storia racconta il viaggio di Alessandro Magno in India e lo descrive meno in vena eroica che vanagloriosa e indeciso nelle questioni di cuore, tanto da farne quasi un’opera comica.

Atto I. È in corso una battaglia con Alessandro (Alessandro Magno) che assedia la città indiana di Oxidraca. Nonostante le numerose vittorie ottenute altrove, i difensori della città ottengono il meglio dal suo esercito ed è in pericolo personale quando viene salvato dal suo generale Clito (Clito il Nero), principe di Macedonia. Nell’accampamento di Alessandro, due principesse, entrambe innamorate di Alessandro, sono molto preoccupate per la sua sicurezza: Lisaura, una principessa di Scizia, e Rossane (Roxana), una principessa presa prigioniera da Alessandro nella sua precedente campagna in Persia. Le principesse rivali sono tormentate dalla gelosia perché Alessandro sembra incapace di decidere quale di loro preferisca. Il re indiano Tassile, a cui Alessandro ha salvato la vita e riportato sul trono, porta la lieta novella alle principesse che Alessandro è sano e salvo. Entrambe le donne sono felicissime per la notizia, che rattrista Tassile, poiché è irrimediabilmente innamorato della principessa Lisaura. Nel tempio di Giove, Alessandro ringrazia per l’ennesima gloriosa vittoria, ma la sua apparente invincibilità gli è andata alla testa. Annuncia di essere un dio, il figlio del divino Giove, e ordina che sia adorato come tale. Il generale Clito protesta contro questo sacrilegio, facendo infuriare Alessandro, che ordina l’esecuzione di Clito, ma alla fine cede alle suppliche delle principesse e mostra misericordia.
Atto II. Alessandro, trovando entrambe le principesse affascinanti, non riesce ancora a decidere tra loro due e le incoraggia entrambe allo stesso modo. Rossane, la prigioniera, si appella ad Alessandro per liberarla e mostrare la sua magnanimità. Alessandro esita a farlo, temendo che lei lo lasci, ma alla fine accetta di liberarla dalla sua schiavitù. Nel frattempo, il generale Leonato e altri ufficiali di Alessandro sono sconvolti dalla sua apparente folle megalomania e complottano per assassinarlo. Nei suoi alloggi Alessandro annuncia ai generali riuniti che intende dividere tra loro i vasti territori che ha conquistato e regalarli tutti. Il suo status di dio vivente da adorare sarà sufficiente per lui. Il generale Clito è costretto ancora una volta dalla sua coscienza a denunciare tanta prepotenza, al che Alessandro sta per trafiggerlo con la spada, ma all’improvviso il tetto crolla. Miracolosamente nessuno è ferito, il che non fa che rafforzare la convinzione di Alessandro di essere amato dagli dèi. Alessandro ordina al suo seguace Cleone di condurre Clito in prigione. Rossane ha sentito parlare dell’attentato ad Alessandro e crede che abbia avuto successo. Piange disperata e Alessandro, udendola, è profondamente toccato da tanta devozione e decide che sarà la donna di sua scelta. Non appena glielo ha chiarito, tuttavia, re Tassile porta la notizia che il popolo di Oxidraca, che sembrava essere stato finalmente sconfitto, sta inscenando una rivolta. Alessandro si precipita in battaglia, lasciando Rossane ancora una volta ansiosamente a pregare per la sua sicurezza.
Atto III. Il generale Leonato libera Clito dal carcere e getta invece Cleone in galera, ma anche Cleone viene rilasciato dai suoi sostenitori. I cospiratori sono ora decisi a condurre una guerra aperta contro il loro ex leader Alessandro e guidano gran parte del suo esercito all’ammutinamento. Cleone è a conoscenza di questa trama e informa Alessandro che, avendo deciso di prendere in moglie Rossane, dà dolcemente la notizia alla principessa Lisaura, spiegando che non è abbastanza buono per lei e che Re Tassile, il suo più caro amico, la ama e non lo vuole ostacolare. Tassile è felicissimo. I congiurati e l’esercito ribelle si lanciano in battaglia contro Alessandro, ma il re Tassile lo sostiene con le sue truppe e i congiurati vengono sconfitti. Chiedono pietà, che Alessandro generosamente concede. Alessandro sposerà Rossane, Tassile avrà Lisaura, tutti sono perdonati e lodano la magnanimità del grande eroe.

Come per tutta l’opera seria settecentesca, Alessandro è rimasto ineseguito per molti anni, ma con la rinascita dell’interesse per la musica barocca e l’esecuzione storicamente informata, oggi viene presentato in festival e teatri d’opera quali il Badisches Staatstheater di Karlsruhe nel 2012 e Versailles nel 2013, da cui proviene questa produzione disponibile solo in CD audio della DECCA con una distribuzione leggermente diversa da quella  trasmessa da Antenne 2. Nella registrazione video si riconosce subito lo stile della coreografa Lucinda Childs, qui anche regista, nei danzatori che piroettano durante l’ouverture e questa volta la danza moderna ben si adatta alle note saltellanti della musica o a quel che sappiamo della danza dell’epoca.

«I primi minuti di questo Alessandro fanno venire allo spettatore i sudori freddi: i personaggi piumati, i costumi falsamente Grand Siècle, gli atteggiamenti pseudo-barocchi, le pose statiche o ridicole… Mica ci propinano uno pseudo-Pier Luigi Pizzi, un Massimo Gasparon, o peggio? Niente affatto. Passata la prima scena, in cui Alessandro Magno distrugge le mura della città assediata di Ossidraca a colpi d’ariete – ovviamente nulla di tutto ciò si vede in scena – ci rendiamo conto che quello che abbiamo appena visto è stato solo una “messa in scena”, in particolare la ripresa di un film – come avrebbe dovuto farci capire il ciak prima dell’ouverture. Lucinda Childs ha infatti avuto l’idea molto pertinente, anche se non originale [si pensi anche solo al Ciro in Babilonia di Livermore], di trasferire nella Hollywood degli anni ’20 il libretto impossibile di Antonio Paolo Rolli, dove la gelosia amorosa relega molto sullo sfondo la dimensione politica (la conquista dell’India) e religiosa (le origini divine rivendicate dal conquistatore). Alessandro diviene qui un protagonista snob, una sorta di Tom Mix che, invece di western, gira dei peplum di serie B, mentre Rossane e Lisaura sono le attrici tra cui divide i suoi favori: una bionda Gloria Swanson tendenza peste e labbra gonfie la prima, una specie di bruna Pola Negri, sua rivale alla Paramount, l’altra. L’odio tra le stelle del cinema muto regge bene il confronto con le primedonne del tempo di Händel a Londra e probabilmente parla più al pubblico oggi che non lo scontro tra la Cuzzoni e la Bordoni. […] Lo spettacolo si svolge a volte al di fuori dello studio cinematografico, nei camerini delle signore o al “Händel’s Bar”, dove gli attori si rilassano tra una ripresa e l’altra. Quest’ultimo dettaglio naturalmente evoca il famoso “Harpsichord Bar” di David McVicar nella sua indimenticabile Agrippina […], ma tutto ciò viene assimilato in un insieme coerente, dove la danza è perfettamente integrata nell’azione senza prevalere sul canto. […] Abbiamo trascorso una piacevole serata in compagnia di un’opera che, pur non ponendosi in cima alla produzione händeliana non è meno ricca di pagine superbe». (Bernard Schreuders)

L’Orchestra Armonia Atenea diretta dal suo George Petrou svela tutta l’energia che il compositore sassone ha posto nel suo lavoro. Eroe della serata è ovviamente il Cenčić, che dipana i virtuosismi scritti per il Senesino con facilità ed eleganza. La coppia di dame, Blandine Staskiewicz (Rossane) e Adriana Kučerová (Lisaura) qui è meno sfavillante di quella su disco (Julia Ležneva e Karina Gauvin), mentre Xavier Sabata (Tassile) si conferma tra i migliori controtenori del momento e la resa della sua aria «Vibra cortese amor» incanta giustamente il pubblico dell’Opéra Royal. Il basso Pavel Kudinov (Clito), il controtenore Vasily Khoroshev (Cleone) e l’immancabile Juan Sancho completano il cast.

Dopo Versailles, lo spettacolo è stato ripreso a Vichy, Vienna, Bucarest, Atene.

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La locandina dello spettacolo

Deidamia

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★★★★☆

Il Maestoso, il Magnificente e il Sublime

Ultima delle 39 opere italiane di Händel, andata in scena nel 1741 su libretto di Paolo Antonio Rolli, il “melodrama” Deidamia si rifà agli eroi omerici con una trama relativamente semplice: il giovane Achille, per sfuggire alla morte predetta dall’oracolo se avesse partecipato alla guerra di Troia, è allevato sull’isola di Sciro come una fanciulla di nome Pirra dal re Licomede e si innamora di Deidamia, sua figlia. Ulisse e Fenice, ambasciatore greco, si recano sull’isola per smascherare l’eroe e convincerlo a partecipare alla guerra. Durante una caccia, Achille svela la propria identità e quando Ulisse offre in dono alle fanciulle stoffe, gioielli e armi, Achille sceglie queste ultime e lascia Deidamia per seguire i greci alla guerra.

Il tono dell’opera è leggero e coerente con la morale cantata in coro alla fine dell’opera: «Non trascurate, amanti, / gl’istanti del piacer: / volan per non tornar».

Come è stato osservato «Le ultime opere di Handel hanno una prospettiva diversa, e anche un diverso stile musicale da Giulio Cesare o da Alcina, così come gli ultimi quartetti di Beethoven sono diversi da quelli dell’op. 59. Il confronto non è azzardato: le ultime opere di Handel sono meno dirette ed estroverse delle prime. La stessa cosa si potrebbe dire degli ultimi oratorii in confronto ai primi» (Donald Burrows).

Lo smisurato palcoscenico del Muziektheater di Amsterdam è l’ideale per accogliere l’ariosa e coloratissima scena di Paul Steinberg che rappresenta la superficie del mare in cui appare all’inizio un sottomarino che trasporta Ulisse, sotto le mentite soglie di Antiloco, e Fenice. Ma c’è posto anche per la silhouette dell’opera di Sydney, quasi balena dalle fauci spalancate, e per un’isola con palma incorporata in questa produzione del 2012 della Nederlandse Opera. Durante le arie e i da capo la regia di David Alden si sfoga in azioni coreografiche, di Jonathan Lunn, o sceniche spiritose anche se non sempre di buon gusto e talora inutili (come la quasi onnipresente finta violoncellista), ma nel complesso si tratta di una messa in scena ironica e divertente.

Sally Matthews è una Deidamia di gran bella presenza, ha una voce dal timbro vellutato, ma non lesina le acrobazie vocali quando è ora. Ottimo il soprano Olga Pasichnik come Achille. Completa il terzetto di voci femminili l’Ulisse di Silvia Tro Santafé eccellente per la sicurezza della sua vocalità. Ineguale e manierata invece la Nerea di Veronica Cangemi. Il basso Umberto Chiummo e il baritono Andrew Foster-Williams da parte loro disegnano con una spiccata caratterizzazione i ruoli di Licomede e Fenice rispettivamente.

Punto di eccellenza della produzione è la partecipe direzione di Ivor Bolton alla guida del Concerto Köln, una delle migliori orchestre barocche in giro.

Il blu-ray esalta l’immagine in alta definizione e i colori luminosi e iperrealisti della scenografia e dei costumi. Sottotitoli in italiano? Neanche per sogno.