John Hughes

Acis and Galatea

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★★★☆☆

Per gli amanti del balletto

Masque, pastorale, serenata, oratorio, “little opera”. Si spre­cano le definizioni per questo lavoro del 1718 creato per una rappresenta­zione privata del Conte di Caernarvon su libretto a tre mani di Gay, Pope e Hughes. Dieci anni prima lo stesso Händel aveva scritto la sere­nata dramma­tica Aci, Galatea e Polifemo, stesso soggetto, tratto dalle Metamorfo­si di Ovi­dio (libro tredicesimo), ma con libretto in italiano e composta dal 23enne musicista durante il suo soggiorno napoletano.

La Royal Opera House di Londra, sempre nel 2009, decide di rappresentare Acis and Galatea affidando al balletto gran parte dell’azio­ne in scena. Il coreografo Wayne McGregor, sua è anche la re­gia, affianca a ogni personaggio uno o due ballerini che contrappuntano con i loro astratti movimenti il canto.

La vicenda è presto raccontata: la ninfa Galatea ama, ricam­biata, il pastore Aci che il perfido Polifemo uccide per fu­riosa ge­losia dopo che la ninfa ha rifiutato le sue sozze profferte. Ad Aci rimane la consolazio­ne di ottenere l’immortalità essendo trasfor­mato in fonte.

Il direttore Christopher Hogwood dirige con la solita sa­pienza l’Orchestra of the Age of the Enlightenment e i suoi stru­menti d’epoca (ma come sembra diversa la stessa orchestra sotto la bacchetta di Wil­liam Christie…). Danielle de Niese, Charles Workman e Paul Agnew cercano di infon­dere vita ai personaggi da pittura arcadica che, soprattut­to nella pri­ma parte, faticano a coinvolgerci. Se avete avuto una giornata pesante o avete la digestione difficile, difficilmente arri­verete svegli alla fine dell’att­o. Ma con il coro che dà inizio al secondo atto le cose cambia­no di colpo e si avverte la zampata del genio teatrale del “caro sassone”. Sui toni dapprima dolenti di «Wretched lovers» si in­nestano i nervosi contrappun­tismi che descrivono con vivezza l’arrivo del gigante Polifemo, la figura più vivace dell’opera, che Händel tratteggia con ironia. Qui però è affidata a un monocorde Matthew Rose (e chissà cosa avrebbe fatto un Bryn Terfel di que­sto ruolo).

L’attenzione va tutta ai bravissimi ballerini: l’intenso Ed­ward Watson e l’eterea Lauren Cuthbertson nei ruoli dei prota­gonisti, ma di prim’ordine anche gli altri membri del Royal Bal­let, tutti in una calzama­glia color carne che vuole simulare la nu­dità di una condizione di natura senza tempo. Anche la de Niese nel finale mette a profitto le sue abilità coreutiche in un pas de deux con il ballerino Aci. Parrucche e costumi sembrano pescati all’ultimo momento da un trovarobe preso dalla fretta. Che dire altrimenti della bionda trecciona e delle ciocie ai piedi della ninfa? E la mise da spaventapasseri dei due pastori?

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