
foto © Alciro Theodoro da Silva
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Georg Friedrich Händel, Imeneo
★★★☆☆
Göttingen, Deutsches Theater, 8 maggio 2016
(registrazione video)
Il conflitto tra amore e dovere nella penultima opera di Händel, un’“operetta”
Assieme al Faramondo anche l’Imeneo si gioca il titolo dell’opera più brutta di Händel: «We had nothing new yet but the operetta of Hymen, in my opinion the worst of all Handel’s compositions. Yet half of the songs are good» (Non c’è stato ancora nulla di nuovo se non l’operetta Imeneo, a mio parere una delle peggiori composizioni di Händel, anche se metà delle arie sono buone), scrive Charles Jennens, il librettista del Saul e del Messiah, in una lettera del 29 dicembre 1740 a pochi giorni dalla seconda (e ultima) ripresa dopo la prima del 22 novembre.
Anche in questo caso la musica si salva, quello che fa difetto è la mancanza di tensione drammatica: Rosmene deve scegliere tra due spasimanti, Tirinto e Imeneo. Ciò avviene al primo atto, ma ci vorranno altri due atti per la decisione. Questo è un soggetto tipico per l’opera seria, che però metterebbe in campo la solita molteplicità di incidenti, mentre qui l’azione è come sospesa per tutta l’opera.
Il libretto è la riscrittura anonima dell’omonimo componimento in due atti di Silvio Stampiglia messo in musica da Nicola Porpora nel 1723 a Napoli in occasione del matrimonio di un nobile di corte e poi in una versione in tre atti a Venezia nel 1726 come Imeneo ad Atene.
La scena è “Un piacevole giardino” ad Atene. L’opera si apre con il lamento di Tirinto sul suo amore Rosmene, una vergine della dea Cerere, rapita da barbari pirati assieme alla sua confidente Clomiri. Mentre piange con il padre di Clomiri Argenio, vengono a sapere che un uomo coraggioso e forte, Imeneo, travestito da fanciulla e rapito anche lui, ha ucciso i pirati mentre dormivano. Tutti gioiscono e Imeneo si aspetta che Rosmene lo sposi, anche se i veri sentimenti della giovane sono per Tirinto. Inoltre, Clomiri è innamorata di Imeneo e lo aiuta a capire che Rosmene è titubante a causa della sua relazione con Tirinto. Imeneo insiste sul fatto che Rosmene è ingrata, mentre Tirinto la chiama infedele. Entrambi la sollecitano a decidere chi sposare, ma lei finge la follia. Tirinto sostiene che è fuori di testa e lei alla fine sposa Imeneo: finalmente ha capito che il vero amore non è così importante come l’onore e il dovere. Rosmene chiede a Tirinto di essere felice per lei. Il coro alla fine dell’opera ribadisce che non ci si deve inchinare al proprio desiderio, ma alla ragione, non bisogna seguire i sentimenti e la fedeltà, ma la gratitudine e l’onore.
Scritto per cinque voci, Imeneo è una “serenata” ed è il penultimo lavoro espressamente scritto per il teatro: con Deidamia Händel si congederà dalle scene e scriverà da allora solo oratorii. Imeneo venne ancora proposto una volta a Dublino in forma di concerto in una nuova versione nel 1742. La prima produzione moderna è della Opernhaus di Halle nel 1960. Tre sono le edizioni discografiche disponibili: Rudolf Palmer (1986), Andreas Spering (2004) e Fabio Biondi (2016).
Non potendo mancare in un festival dedicato alle composizioni di Händel, a Göttingen Imeneo viene eseguito dal suo direttore Laurence Cummings con la solita padronanza stilistica e un cast efficace. Il baritono William Berger è il tronfio Imeneo, «Esser mia dovrà | la bella tortorella» è il suo programma; il controtenore James Laing è il lagnoso e melodrammatico Tirinto per il quale «sorge nell’alma mia | qual va sorgendo in cielo | picciola nuvoletta | che poi tuona e saetta»; il soprano Stefanie True la «semplicetta» Clomiri; il basso Matthew Brook è Argenio, che per convincere la ritrosa Rosmene tira in ballo la storia del leone che risparmia «su l’arena di barbara scena» l’uomo che gli aveva tolto la spina in Africa. Un gradino più in alto si colloca la Rosmene di Anna Dennis per qualità vocali che includono bel timbro, voce ottimamente proiettata e precise agilità.
Premesso che non è facile per un regista rendere digeribile al pubblico di oggi (quello dell’epoca di Händel almeno poteva passeggiare, mangiare, chiacchierare, giocare, flirtare…) la vicenda di una signorina in un «lovely grove» che si tormenta per due ore sulla scelta tra due spasimanti, la lettura della regista e coreografa Sigrid t’Hooft si basa sulla ricreazione di quello che si pensa fosse lo spettacolo dell’epoca, con lo scenario (sempre lo stesso) dipinto, il sipario con gli amorini, i costumi di seta, i nastri, le parrucche, i parasoli, i gesti, le mossettine, le pose da statuine di biscuit – come se un quadro di Watteau si fosse animato all’improvviso – e con l’illuminazione a candele, de riguer per completare la finzione. Due ore poi non sembrano sufficienti alla t’Hooft, che aggiunge interludi ballati dalla sua compagnia Corpo Barocco su musiche tratte dalle suite per clavicembalo e dalla Water Music. E qui i passettini e i saltelli “storicamente informati” imperversano per un’altra mezz’ora buona. Bisogna dire però che rispetto alla sua produzione di Amadigi di Gaula, sempre a Göttingen nel 2012, la scelta della t’Hooft qui è più giustificabile e qualche gag godibile.
L’ascoltare per la seconda volta il larghetto di Tirinto «La mia bella, perduta Rosmene» e le interminabili riprese di «Se potessero i sospir’ miei» della sua prima aria – succede solo questo infatti nei primi venti minuti – mette a dura prova anche un fanatico dell’opera barocca come me. Per fortuna molte arie sono deliziose, ma questa volta voglio i rinfreschi e le carte da gioco anch’io…
⸪