★★★☆☆
L’inferno può attendere
Con La muette de Portici (Auber, 1828), Guillaume Tell (Rossini, 1829) e Robert le Diable (Meyerbeer, 1831) nasce in Francia un nuovo genere che soppianta la tragédie lyrique, in voga da due secoli. Si instaura il grand opéra i cui libretti, incentrati su soggetti storici, prevedono forti contrasti passionali, colpi di scena, innumerevoli comparse, cortei, balletti, cori e un’orchestra fortemente ampliata per accentuare la spettacolarità della vicenda. Scribe è uno degli autori prediletti per i libretti di questo nuovo genere e qui è affiancato da Germain Delavigne. Essi traggono spunto dall’omonima leggenda medioevale basata su Roberto I duca di Normandia (1000-1035) e padre di Guglielmo il Conquistatore.
Atto primo. Nei pressi del porto di Palermo. Robert attende di partecipare a un torneo, la cui vittoria dovrebbe guadagnargli la mano dell’amata Isabelle, principessa normanna, dalla quale infauste circostanze lo hanno separato. Con lui sono numerosi cavalieri: tra loro il sinistro Bertram, suo intimo amico, e il contadino Raimbaut, lì convenuto con la sua fidanzata. Durante il banchetto Raimbaut rievoca in una ballata la leggenda di Roberto il diavolo, figlio di un demonio e di una principessa normanna. La sua canzone scatena l’ira di Robert, che vorrebbe ucciderlo, ma lo grazia quando scopre che la sua fidanzata è Alice, sua sorella di latte. Ella gli reca le ultime parole della madre morta e lo mette in guardia da un pericolo incombente. Ma Robert non le presta ascolto; anzi, su consiglio di Bertram perde al gioco tutti i suoi averi compresa l’armatura che gli avrebbe permesso di partecipare al torneo.
Atto secondo. Robert e Isabelle si riconciliano in un duetto durante il quale alcuni paggi portano al cavaliere nuove armi per partecipare al combattimento. Ma ancora una volta Robert si fa fuorviare da Bertram, che lo conduce in una foresta vicina, con la scusa che il suo rivale, il principe di Granada, lo attende lì per un duello. Intanto la corte al completo si prepara ad assistere alla gara, cui Isabelle dà il segnale d’inizio, dopo aver atteso inutilmente l’arrivo dell’amato.
Atto terzo. Su una tetra montagna. Bertram si libera facilmente di Raimbaut regalandogli dell’oro, poi invoca i demoni per conoscere la loro volontà. Il verdetto è terribile: se a mezzanotte Robert non si sarà schierato con le forze del male, egli lo perderà per sempre. A tale scena assiste per caso Alice, che sperava di incontrare Raimbaut, verso il quale esprime tutto il suo amore in una romanza. Bertram la minaccia di morte, ed ella non trova il coraggio di raccontare a Robert la verità. Il cavaliere, disperato, si lascia convincere dal demonio a compiere un sacrilegio, ossia a penetrare in un chiostro abbandonato per rubare un ramo dai magici poteri. Le monache si levano dalle tombe circondando il giovane e la più bella tra tutte lo convince a strappare il ramo; quando il misfatto è compiuto esse ripiombano nel loro sonno eterno.
Atto quarto. Preso il ramo, che ha il potere di addormentare, Robert si reca nel palazzo di Isabelle per rapirla. Ma ella lo convince a ritornare sulla sua decisione; il giovane, spezzato il ramo, sfugge a stento all’ira dei cortigiani ridestatisi.
Atto quinto. Il conflitto tra il bene e il male giunge a conclusione: Bertram tenta di convincere Robert a utilizzare i poteri infernali e gli rivela, in un supremo sforzo di legarlo a sé, di essere suo padre. Robert si ritrova a dover scegliere tra l’amore filiale e la ricerca del bene. L’arrivo di Alice, che gli reca il testamento della madre, è decisivo; ella prega per lui fino a che, ai rintocchi della mezzanotte, Bertram svanisce nelle viscere della terra. Appare improvvisamente la cattedrale di Palermo addobbata a festa: presso l’altare Isabelle attende Robert.
Destino ingrato di quest’opera quello di aver fortemente influenzato tutta la musica di teatro dell’800, francese (Berlioz, Offenbach, Gounod…) e no (Wagner, Verdi, Boito…), ma dopo il successo della prima (in platea c’era anche un entusiasta Chopin: «Meyerbeer con quest’opera si è guadagnato l’immortalità») (1) e delle innumerevoli rappresentazioni in tutto il mondo che ne fecero un fenomeno sociale e uno dei più grandi successi del teatro in musica, finì per essere poi rinnegata e dimenticata.
A riscattarla in parte da quest’oblio viene ora questa discussa produzione della Royal Opera House del 2012 coprodotta con il Grand Théâtre di Ginevra.
Laurent Pelly alla regia e ai costumi e Chantal Thomas alla scenografia creano un medioevo naïf da illustrazione di carte da gioco con praticabili su rotelle dipinti come nel Rake’s Progress disegnato da David Hockney, ma qui colorato. Anche troppo. Il torneo di cavalieri sembra una giostra da luna park e le dame del corteo hanno il viso dipinto dello stesso colore dell’abito. Più riuscita l’ambientazione per il paesaggio montano del terz’atto che si rifà all’immaginario medievale e con un efficace gioco di luci per ricreare i bagliori infernali. Da morality play il quadro finale che vede contrapposti un’Alice tra le nuvole di cartone e un Bertram che finirà inghiottito dalle fauci diaboliche del mascherone che vediamo ritagliato sulla sovracoperta del disco.
Manca completamente il bersaglio il coreografo Lionel Hoche. Al terz’atto, come sarà di prammatica negli spettacoli parigini, c’è un balletto. Qui è un po’ particolare: le monache defunte del chiostro ove è sepolta la santa Rosalia escono dai loro sacelli per irretire Robert e fargli compiere l’azione sacrilega per cui era stato istigato da Bertram. In una produzione di un’opera così desueta, ma nello stile del suo metteur en scène, ci saremmo aspettati un’ironica rivisitazione dei classici passi di danza – perfetti sarebbero stati qui i ballerini del Trockadero. In scena invece vediamo i contorcimenti scomposti di suore zombie infoiate con la lingua di fuori e si fa fatica a riconoscere in questo quadro il primo ballet blanc, quello cioè in cui le ballerine vestono di tulle svolazzante che le fa sembrare creature spettrali (succederà con Giselle, Les Sylphides e molti altri balletti romantici). Edgar Degas aveva addirittura dipinto la scena in due tele ora visibili ai musei Metropolitan di New York e Victorian & Albert di Londra (2). Alla prima il ruolo della badessa era stato affidato all’étoile indiscussa dell’epoca, Maria Taglioni. Una curiosità: questa scena viene richiamata nell’opera di Korngold Die tote Stadt.
Sul podio Daniel Oren naviga con maestria tra le acque turbolente di un’orchestra che fonde il contrappunto tedesco con il lirismo italiano e la pompa di uno Spontini.
Alla prima il ruolo del titolo era stato sostenuto da Adolphe Nourrit, idolo del momento. Qui abbiamo il giovane ma già ampiamente affermato Bryan Hymel che affronta la parte con coraggio e ottimi risultati, sparando sicuri acuti. Bertram ha la figura autorevole, il carattere e la voce possente di John Relyea. Meno convincente la prova dei personaggi femminili, Marina Poplavskaya e soprattutto Patrizia Ciofi, che non sempre hanno la forza di sovrastare le note dell’orchestra. Qui occorrevano dei soprani di peso ben maggiore.
Qualità video e audio che ci si aspetta da un disco blu-ray e un breve documentario sull’eredità dell’opera.
(1) Non è l’unico: Heinrich Heine, Alexandre Dumas fils, George Sand, Honoré de Balzac, Herbert Spencer sono solo alcuni di quelli che si sperticarono in lodi per questo primo esempio di Gesamtkunstwerk romantico. E che dire delle infinite trascrizioni e parafrasi dei temi tratti dall’opera da parte di Adam, Chopin, Czerny, Diabelli, Liszt, Strauss padre e figlio, Thalberg…
(2)
Edgar Degas, La scena del balletto da “Robert le diable” di Meyerbeer, 1876
© Victoria & Albert Museum
⸪