L’elisir d’amore

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La folle journée di Nemorino

Il 2005 è l’anno del sodalizio artistico (ma anche passionale) di Rolando Villazón con Anna Netrebko (in parallelo alla coppia Alagna-Gheorghiu). Messico e Russia si alleano per portare sulle scene e dar loro un soffio di nuova vita capolavori come La traviata (Salisburgo), Manon (Berlino), Roméo et Juliette (Los Angeles), Rigoletto (New York), Bohème (San Pietroburgo), oltre a numerosi concerti e dischi.

Questo Elisir d’amore viennese è dello stesso anno e oltre all’affiatatissima coppia presenta un Belcore stagionato come quello di Leo Nucci e l’aitante Dulcamara di Ildebrando d’Arcangelo – detto così ci si chiede se non era meglio scambiare i ruoli, poi però nel corso della recita gli interpreti si dimostrano convincenti nelle loro rispettive parti.

Atto I. L’azione ha luogo in un villaggio dei paesi baschi alla fine del XVIII secolo. La giovane Adina se ne sta in disparte, leggendo delle vicende di Tristano e Isotta, mentre i mietitori riposano all’ombra. Intanto, l’umile contadino Nemorino la osserva da lontano, esprimendo per lei tutto il suo amore e la sua ammirazione, dolendosi della propria incapacità di conquistarla. I contadini chieno ad Adina di renderli partecipi delle sue letture; lei comincia a leggere delle peripezie di Tristano e del filtro magico che lo ha aiutato a far innamorare di sè la regina Isotta. Mentre Nemorino sogna di trovare questo magico elisir, arriva in paese il sergente Belcore, con lo scopo di arruolare nuove leve. Belcore – anch’egli innamorato di Adina – le chiede di sposarlo; lei evita una risposta e dice di volerci pensare un po’ su. Adina espone a Nemorino la sua teoria circa l’amore: l’amore fedele e costante proprio non fa per lei… in quel mentre arriva in paese il dottor Dulcamara; egli in realtà è un truffatore che, girando di paese in paese, vende i propri miracolosi preparati medicinali. Nemorino coglie la palla al balzo e gli chiede se abbia un elisir che faccia innamorare le persone. Il ciarlatano pesca dal mucchio una bottiglia di vino bordò e gliela vende, fornendo precise istruzioni: la pozione avrà effetto dopo ventiquattro ore (il tempo utile per permettergli di fuggire indisturbato dal paese…). Nemorino beve tutta l’ “elisir” e si ubriaca. Ciò lo fa diventare disinvolto, quel tanto che basta per mostrarsi indifferente nei confronti di Adina. La giovane contadina, abituata com’è a sentirsi desiderata, prova fastidio verso Nemorino. Per ripicca decide dunque di accettare la proposta di Belcore e sposarlo quel giorno stesso, prima che lui riparta. Nemorino crede fermamente nell’elisir da lui bevuto, cerca per questo di convincere Adina a spostare la data delle nozze per permettere all’elisir di fare effetto. Adina non lo ascolta e se ne va con il sergente Belcore.
Atto II. Fervono i preparativi per le nozze. Adina vuole aspettare che venga sera per celebrare le nozze, perche vuole che assista anche Nemorino, per punirlo della sua indifferenza. Intanto Nemorino vorrebbe comprare un’altra bottiglia di elisir da Dulcamara, ma non ha i soldi. Decide quindi di arruolarsi per avere la paga. Il sergente Belcore riesce così ad allontanare lo scomodo rivale. Giannetta sparge in paese la notizia che Nemorino ha ottenuto una grande eredità da un parente recentemente deceduto. Questo non lo sanno né l’interessato, né Adina, né Dulcamara: la novità fa sì che le ragazze del paese corteggino Nemorino e questi pensi sia l’effetto dell’elisir. Dulcamara resta perplesso, Adina si ingelosisce. Quando Dulcamara racconta ad Adina di aver venduto l’elisir d’amore a Nemorino, lei capisce che di essere la sua amata. Una lacrima negli occhi di Adina tradisce i suoi sentimenti; Nemorino, vedendola, capisce di essere ricambiato. Adina entra in possesso del contratto di arruolamento di nemorino e glielo rende, consigliandogli di rimanere in paese. Nemorino, dopo aver tanto penato, vorrebbe una dichiarazione d’amore da lei. Quando infine dichiara di volersene andare, Adina cede e dichiara il suo amore. La scena si conclude con Belcore che se ne va, convinto di trovare altre ragazze da corteggiare, e Dulcamara trionfante e incredulo per il successo ottenuto dal suo improbabile elisir.

Scene e costumi della messa in scena di Otto Schenk risalgono al 1980, ma un classico di tradizione non dimostra la sua età se si avvale della presenza di grandi interpreti che infondono vivacità e verità scenica a questo assoluto capolavoro andato in scena nel 1832 su libretto del Romani tratto da quel Le philtre che Scribe aveva scritto l’anno prima per Auber.

L’originale mestiere di Schenk, quello di attore, si evince dalla sua regia: i duetti Nemorino-Dulcamara sono da consumati mattatori che fanno ricorso a tutte le capacità attoriali senza però mai scadere nella volgarità. Ma altrettanta vivacità si trova anche negli altri cantanti. Una Netrebko spigliatissima e simpaticissima (quanto distante da certe insopportabili acide Adine del passato e del prresente), dimostra sincera affezione per Nemorino e fra i due c’è un rapporto di empatia innegabile. Vocalmente il soprano russo è eccellente nelle agilità e perfetta nei momenti più pateticamente lirici.

Villazón è un attore comico perfetto: metà Harpo Marx e metà Mr Bean, utilizza ogni possibilità espressiva (la mimica facciale, gli occhi sgranati, quelle folte sopracciglia sempre mobili), ogni muscolo del corpo, ogni gesto per la definizione del personaggio. Il confronto con uno dei memorabili Nemorini di ieri, Luciano Pavarotti, mette in luce questo fatto: ai tempi di Lucianone il 90% delle opere era fruito tramite radio e vinili, ora la stessa percentuale è data da DVD, streaming e live televisivi. Se allora quello che contava era praticamente solo la prestanza vocale, per il pubblico di oggi la presenza scenica non è più un optional e lo dimostrano i moderni interpreti, tutti, chi più chi meno anche grande attori. Con questo però, nel tenore messicano non viene mai meno la compostezza vocale di uno strumento felice che ricorda molto da vicino la scuola dominghiana – del Domingo giovane. La sua «Furtiva lagrima» è un esempio di fraseggio, fiati e legati perfetti, e la chiusa in piano suggella una versione da manuale, tant’è che il pubblico richiede a gran voce, e ottiene, il bis in cui il cantante esegue una cadenza variata.

Non è da meno Nucci, che disegna una macchietta irresistibile ma non grottesca del suo Belcore, ma è D’Arcangelo che dimostra una verve comica insospettata e che fa del personaggio di Dulcamara, pur con una sua eleganza, un carattere altamente spassoso. Non c’è differenza nella qualità della dizione tra i due cantanti stranieri e i due italiani: è semplicemente perfetta.

La direzione è di Alfred Eschwé, un direttore poco conosciuto fuori dall’Austria, che si dimostra un concertatore di buon gusto anche se cede alla tentazione dei tagli di (cattiva) tradizione.

La serata si conclude con il compassato pubblico dello Staatsoper tutto in piedi che non si stanca di acclamare gli artisti. Una serata memorabile anche per una città come Vienna avvezza a spettacoli di grande successo.

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