Il barbiere di Siviglia

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 Gioachino Rossini, Il barbiere di Siviglia

★★☆☆☆

Roma, Teatro dell’Opera, 11 febbraio 2016

(diretta TV)

Almaviva ha perso la testa

Il barbiere di Siviglia è di scena a Roma. Non al Teatro Argentina, dove duecento anni fa furono proprio i romani a decretare il maggior fiasco nella carriera di Rossini, bensì all’Opera ex Costanzi – con esiti neanche troppo diversi da quelli della burrascosa serata del 20 febbraio 1816: allora tirarono un gatto, stavolta in scena ci sono già un ratto e un orso.

Durante l’ouverture un video in stile gilliamesco, tributo alla grafica surreale dei Monty Python (1) che si rivelerà la cosa migliore della serata, il rasoio di Figaro serve a mozzare le teste di vari tiranni, da Luigi XVI a Sadam Hussein, passando per Stalin, Franco e Mussolini – e qui qualche nostalgico di quest’ultimo in teatro ci doveva essere (2) poiché sono partiti subito degli sparuti intempestivi dissensi che poi però sono diventati una valanga alla fine dello spettacolo quando il regista è salito sul palcoscenico.

Ma andiamo per ordine. La testa la perde subito anche il conte d’Almaviva, sotto la lama di una ghigliottina, così come succede ad altre comparse che affollano acefale la scena assieme a un Bartolo in sedia a rotelle, un Lindoro travestito da jettatore, un orso che flirta con Berta, un topo radiocomandato e tant’altro. Chi pensava che con Dario Fo si fosse raggiunto il massimo delle invenzioni teatrali nella messa in scena di quest’opera, qui si deve ricredere perché Davide Livermore supera di gran misura il maestro: tra videografica e personaggi reali è una continua serie di gag da farsa o da cinema muto, siparietti, ‘a parte’ e numeri di prestigio suggeriti dal mago Alexander.

Dall’Ancien Régime nel primo atto si passa nel secondo a un secolo dopo e infine ai giorni d’oggi. Le diverse ambientazioni sono realizzate tramite le immagini dello studio D-wok, da tempo presente nelle regie di Livermore. I mirabolanti costumi di Gianluca Falaschi, in un bianco e nero che ricorda quello del suo Ciro in Babilonia, e i trucchi pesanti trasformano i personaggi della commedia di Beaumarchais in maschere caricaturali. L’umorismo del libretto di Sterbini viene quasi annientato dalle continue immissioni di trovate e trovatine in un horror vacui che la ripresa video cerca faticosamente di catturare e che causano spesso scollature tra scena e buca. Idee buone per almeno tre spettacoli sono qui stipate in modo tale da far quasi dimenticare la musica che Donato Renzetti si ostina a eseguire con brio senza che sul palco qualcuno riesca a seguirlo. L’unica che in parte tiene testa a quello che avviene davanti e dietro, a dritta e a manca, sopra e sotto è Chiara Amarù, che esprime una Rosina di buona musicalità e padronanza vocale, ma quasi tutti gli altri sembrano sopraffatti, pur in ruoli che hanno già portato in scena diverse volte. Così è per Edgardo Rocha, pallido riflesso di suoi precedenti Conti d’Almaviva, Florian Sempey, qui Figaro senza carattere o Ildebrando D’Arcangelo, troppo impegnato con la gag ripetuta del braccio finto per riuscire a dare una qualche verità al personaggio di Basilio. Degli altri interpreti si salva forse solo il Bartolo di Simone del Savio nonostante l’eccesso di caratterizzazione richiestogli.

Si capisce quanto Livermore si sia divertito ad allestire questo suo Barbiere, ma la mano pesante non ha incontrato il gradimento del pubblico che ha ravvisato nella sua lettura un ritorno indietro di oltre quarant’anni, quando la messa in scena di questo “dramma comico” non era aliena da sguaiatezze, lazzi e cachinni di una cattiva tradizione spazzata via dall’opera di pulizia effettuata in orchestra – e conseguentemente in scena – da un Claudio Abbado in primis. C’era voluta la sua autorevole sensibilità per togliere al teatro di Rossini le superfetazioni incongrue accumulate in decenni e che qui invece sembrano essere ritornate prepotentemente in auge per mano di un regista moderno che ha dato altrove prove di grande intelligenza. Ed è sintomatico che l’anteprima riservata ai giovani abbia invece riscosso successo: un pubblico avvezzo alla ridondanza visiva e alla videografica – e digiuno di musica, per lo meno di questa musica – sembra abbia apprezzato il bailamme in scena.

La serata è stata trasmessa in diretta da RAI 5 e l’ineffabile presentatrice ha da subito dimostrato la sua competenza interpellando prima dello spettacolo un signore barbuto tra il pubblico: «Lei che ha interpretato come tenore quest’opera molte volte…». «Veramente, mai!» ha risposto Plácido Domingo.

(1) E di Terry Gilliam sarà un prossimo spettacolo dell’Opera di Roma, il Benvenuto Cellini di Berlioz.
(2) È sintomatico il fatto che non sia mai stata cancellata la dedica al Duce sopra il boccascena!

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7 comments

  1. L’ha ribloggato su Amneris vagante e ha commentato:
    Ribloggo volentieri. Non ero presente in teatro e ho solo seguito la trasmissione Rai. Mi auguro che le riprese in video abbiano migliorato lo spettacolo, come spesso avviene per produzioni controverse.

  2. Da profana non ho apprezzato l’allestimento. La mia prima opera al Teatro è stata una delusione immensa, questo non è Rossini io volevo vedere Rossini.
    Non ho la possibilità di andare al teatro, con i prezzi elitari presenti, ma sono sicura che certamente non andrò a vedere la Traviata a Giugno (se questo è quello che ci si deve aspettare).
    “É la visione personale del Barbiere di una determinata persona”, non mi sta bene, rappresentate Rossini così come è stato composto da Rossini.
    Se si vuole innovare perché non trovare ed investire in voci più imponenti e che diano emozioni vere, profonde, quello che deve dare la lirica.
    Tutto troppo freddo, distaccato, impersonale.
    Che delusione, la mia prima opera, prima di comprare il biglietto avrei dovuto chiedere ” ma è di Rossini vero? ”
    Il rimborso no vero?

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